martedì 16 Aprile 2024
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Monti, la dimensione fiscale del mercato unico

Dal Rapporto scritto dal professor Mario Monti sul mercato unico per la Commissione europea (maggio ’10)

Collaborare per salvaguardare la sovranità fiscale

La politica fiscale è una materia non gradita né ai sostenitori del mercato unico né ai critici radicali. Paradossalmente, ci sono dei motivi per i quali entrambi dovrebbero interessarsene. Ridurre gli oneri amministrativi e i costi di conformità di natura fiscale per le imprese e i cittadini Il panorama fiscale europeo è estremamente frammentato. In molti settori, l’esistenza di 27 normative differenti comporta considerevoli costi di conformità e oneri amministrativi per i cittadini e le imprese che operano a livello transfrontaliero. Quando esiste un quadro fiscale a livello di UE, questo non è trasparente, lascia aperte possibilità di evasione e incertezze per quanto riguarda le norme applicabili e dà adito a casi di doppia imposizione o di discriminazione fiscale.

È interesse delle imprese e dei cittadini rimuovere le barriere alle transazioni intra-UE affrontando la questione della compensazione transfrontaliera per le imprese, semplificando e modernizzando le norme sulla fatturazione dell’IVA per agevolare la fatturazione elettronica, introducendo un sistema vincolante per la composizione delle controversie riguardante la doppia imposizione subite dai privati ed estendendo il campo di applicazione della direttiva sulla tassazione del risparmio per colmare le lacune esistenti. Inoltre, in alcuni settori, i progressi compiuti nella politica fiscale possono offrire all’UE la possibilità di utilizzare l’imposizione come strumento per completare la normativa al fine di conseguire gli obiettivi strategici concordati. Ad esempio, la mancanza di accordo sulla proposta relativa all’IVA sui servizi postali indebolisce la prospettiva di liberalizzare tali servizi all’interno del mercato unico entro il 2010. Le imposte ambientali potrebbero fornire sostegno alle iniziative strategiche di lotta al cambiamento climatico. Affrontare l’orientamento sfavorevole al lavoro della concorrenza fiscale nell’UE Esiste tuttavia un secondo importante aspetto che conferisce alla questione fiscale un’importanza sistemica nel processo di integrazione economica. Il funzionamento del mercato unico – assieme al più ampio processo di globalizzazione – costituisce una sfida crescente per il funzionamento dei regimi fiscali nazionali e nel lungo termine può eroderne la capacità di gettito, nonché la capacità di perseguire politiche sociali e redistributive a livello nazionale. Affrontare questi attriti fondamentali fra l’integrazione del mercato e la sovranità 85 fiscale è uno dei modi per riconciliare il mercato e la dimensione sociale del mercato unico. La concorrenza fiscale è una prassi ampiamente usata in un mercato integrato, in quanto i regimi nazionali possono avvalersi dello strumento fiscale per accrescere la propria attrattiva agli occhi delle imprese e dei capitali. Sebbene svolga in qualche misura un’utile funzione spingendo i governi a tenere le spese sotto controllo, la concorrenza fiscale presenta tuttavia un’asimmetria preoccupante. La liberalizzazione dei mercati finanziari e l’espansione del mercato unico consentono alle imprese di perseguire strategie di minimizzazione dell’imposizione e di “shopping normativo” alla ricerca della localizzazione più conveniente dal punto di vista fiscale. In risposta a questo fenomeno, l’onere fiscale negli Stati membri si è spostato progressivamente da basi imponibili più mobili (reddito da capitale e reddito d’impresa) verso una maggiore tassazione di basi imponibili meno mobili, in particolare il reddito da lavoro. Negli ultimi due decenni quasi tutti gli Stati membri hanno abbassato le aliquote legali d’imposta sulle società, entrando in concorrenza per attrarre capitali mobili a livello internazionale. La media dell’UE-15 dal 1985 è scesa da quasi il 50% a poco meno del 30%. Nei dodici paesi entrati nell’Unione nel 2004 e nel 2007 la media è inferiore di circa 10 punti percentuali. Allo stesso tempo gli Stati membri hanno allargato le basi imponibili per eliminare le possibilità di evasione fiscale e salvaguardare il loro gettito fiscale. Nel 2007 nell’UE gli oneri fiscali sul lavoro hanno rappresentato, in media aritmetica, il 46% delle entrate fiscali totali, contro il 9,8% delle imposte sul reddito delle società. Nel 2007 nell’UE-25 l’aliquota fiscale implicita sul reddito delle società ammontava in media al 25,5%, contro il 34,8% di quella sul reddito da lavoro. Sulla base di questi elementi, l’onere fiscale in Europa nell’ultimo decennio si è concentrato in proporzione maggiore sulle basi imponibili meno mobili, ovvero sul lavoro, mediante le imposte sul reddito delle persone fisiche e gli oneri sociali. Il mercato unico non è all’origine di questa tendenza, tuttavia il suo funzionamento contribuisce – involontariamente – ad accentuarla. Tale fenomeno incide sull’equità dei regimi fiscali e sulla loro capacità a lungo termine di riscuotere entrate per finanziare programmi sociali, in quanto l’evasione e l’elusione fiscale creano dei divari. Di conseguenza è importante studiare delle soluzioni che minimizzino la concorrenza fiscale dannosa ed eliminino la propensione intrinseca a tassare le basi imponibili meno mobili. Ciò non significa privare i regimi nazionali di uno strumento per sfruttare appieno il potenziale del mercato unico. Da sondaggi condotti presso le imprese emerge che il livello d’imposizione sulle società è solo uno dei fattori che esse prendono in considerazione per valutare l’attrattività di siti alternativi dove realizzare investimenti diretti. 86 Altri fattori, come la stabilità del contesto politico e normativo, le infrastrutture, la produttività e i costi della forza lavoro sono reputati più importanti dell’imposizione sul reddito delle società. Al fine di una migliore efficienza ed equità della riscossione delle imposte, sarebbe inoltre opportuno migliorare gli scambi automatici di informazioni fiscali e, in generale, la cooperazione fra amministrazioni fiscali degli Stati membri. È quindi possibile studiare misure di coordinamento fiscale che attenuerebbero le differenze – fonti di distorsioni o di incentivi all’evasione fiscale – nel rispetto della sovranità fiscale. Le soluzioni bilaterali potrebbero non ottenere gli stessi effetti e non sarebbero giuridicamente sostenibili. L’armonizzazione non dovrebbe essere, di per sé, un obiettivo. La sovranità fiscale rispecchia le preferenze locali per diversi livelli d’imposizione ed è radicata nel processo democratico. Essa poggia pertanto su solide basi che rendono inutile e poco realistica ogni iniziativa di armonizzazione non riguardante aspetti limitati più strettamente connessi al funzionamento del mercato unico (in particolare l’IVA e le accise). Strategie di bilancio per uscire dalla crisi e coordinamento fiscale Le difficoltà che le autorità fiscali dovranno affrontare per predisporre credibili strategie di uscita a livello di bilancio costituiscono un ulteriore argomento a favore dell’adozione di misure di coordinamento delle politiche fiscali. La crisi economica e finanziaria ha provocato un’esplosione del debito pubblico in Europa e nel mondo. All’interno dell’UE, i consistenti pacchetti di stimolo adottati dai governi, su iniziativa e con il coordinamento della Commissione, hanno provocato un brusco aumento del disavanzo e del debito pubblico. Secondo le stime, nell’insieme dell’UE, i disavanzi pubblici nominali raggiungeranno in media il 7,5% nel 2010 e il 6,9% nel 2011, mentre il debito salirà all’83,7% nel 2011. È realistico ipotizzare che in vari paesi, per ridurre l’enorme debito pubblico, non basterà ridurre le spese e imporre una disciplina di bilancio, ma occorrerà anche aumentare le imposte. Si può anche ragionevolmente immaginare che gli sforzi di risanamento del bilancio determineranno uno spostamento dalle imposte sui redditi verso imposte indirette e saranno imperniati su imposte con minori effetti distorsivi sulla crescita, in particolare le imposte ambientali. In queste condizioni, il coordinamento delle politiche fiscali potrebbe costituire un elemento importante di una strategia di consolidamento di bilancio a livello dell’UE e potrebbe migliorare l’efficacia dell’azione nazionale. Il coordinamento avrebbe un primo vantaggio di colpire più efficacemente le basi imponibili mobili e di colmare le lacune che consentono l’evasione e l’arbitraggio fiscale. Un secondo vantaggio è 87 che permetterebbe di minimizzare le conseguenze sulla concorrenza derivanti da imposte che colpiscono prodotti che sono fattori produttivi per la produzione industriale, come esempio nel caso della tassazione dell’energia. Un terzo vantaggio è dato dal fatto che un’azione coordinata limiterebbe la frammentazione normativa e fiscale, che falsa la concorrenza nel mercato unico e aumenta i costi di conformità per le imprese. Un’azione coordinata ridurrebbe inoltre il rischio di shock asimmetrici connessi alla fiscalità nell’area dell’euro, facilitando così la gestione della politica monetaria da parte della Banca centrale europea. In sintesi, l’adozione di alcune misure di coordinamento all’interno del mercato unico potrebbe trasformare un gioco a somma negativa in un gioco dal quale tutti i partecipanti traggono beneficio. Individuare i settori adatti per le misure di coordinamento delle politiche fiscali Tre sono i settori che potrebbero offrire la possibilità di coordinamento fiscale. Il primo è quello delle imposte sulle società. I lavori per arrivare a una definizione comune di basi imponibili relative alle imprese che sostituisca la pluralità di norme esistenti in ogni Stato membro risalgono al 2001. L’elaborazione specifica della proposta richiede un’attenzione particolare ma sembra giunto il momento per progredire. Il gruppo “codice di condotta” (in materia di tassazione dannosa delle imprese) – costituito in seno al Consiglio conformemente alla risoluzione del consiglio ECOFIN del 1° dicembre 1997 – ha svolto un prezioso lavoro individuando le prassi fiscali dannose e assicurandone la soppressione. Tuttavia, nel contesto del rilancio del mercato unico, il ruolo e lo status del codice dovrebbero essere riveduti al fine di rafforzare ancora di più il coordinamento delle politiche in questo settore, analizzando più approfonditamente le conseguenze di regimi dannosi, le discrepanze e altri effetti negativi della concorrenza fiscale. Il gruppo “codice di condotta” potrebbe così estendere la sua azione ad aspetti limitati delle imposte sul reddito delle persone fisiche che sono pertinenti nel contesto della concorrenza dannosa derivante dalla tassazione delle imprese e potrebbe esaminare più attentamente le definizioni adottate di abuso fiscale. Un secondo settore possibile è quello delle imposte sui consumi. Le differenze fra le aliquote IVA si ripercuotono sulla circolazione dei capitali e sugli scambi commerciali, almeno a breve e medio termine, e incidono quindi sul funzionamento del mercato unico. Considerando che le imposte sui consumi tendono a crescere, può essere utile coordinare le politiche volte ad innalzare le aliquote IVA normali o a limitare l’applicazione di aliquote IVA ridotte. Un terzo settore eventualmente adatto al coordinamento è quello delle imposte ambientali, che probabilmente avranno un ruolo fondamentale in futuro. Sarebbe 88 estremamente utile inserire le discussioni su tale imposizione nel più ampio contesto del coordinamento fiscale in modo tale da far emergere con chiarezza i benefici in termini di alleggerimento dell’onere fiscale sul lavoro. Un gruppo per la politica fiscale Una cooperazione e un coordinamento più intensi richiedono una sede adeguata per la discussione in materia di politica fiscale. Finché le questioni fiscali sono affrontate in modo frammentario e puramente tecnico, le posizioni saranno inamovibili, provocando spesso uno stallo per la mancanza di più ampie possibilità di giungere a un compromesso. Per sbloccare la situazione, occorrerebbe creare un’istanza in seno alla quale la Commissione e le autorità fiscali degli Stati membri potrebbero condurre un dialogo politico più intenso al più alto livello politico. Un gruppo per la politica fiscale, presieduto dal Commissario per la fiscalità e composto da rappresentanti dei ministeri delle Finanze degli Stati membri, sarebbe il contesto migliore per avviare un dialogo strategico sui possibili benefici e limiti della cooperazione e del coordinamento fiscale all’interno del mercato unico. Tale gruppo fornirebbe un aiuto sostanziale alla Commissione che potrebbe esercitare il suo potere d’iniziativa appoggiandosi su un dialogo politico aperto e costruttivo che incoraggerebbe gli Stati membri a condividere le loro aspettative e preoccupazioni. In quanto strumento che permette alla Commissione di elaborare le sue iniziative con piena conoscenza delle opinioni degli Stati membri, il gruppo per la politica fiscale dovrebbe essere presieduto dal Commissario per la fiscalità. Un precedente è offerto dal gruppo per la politica fiscale, costituito nel 1996 e presieduto dal Commissario competente, che ha permesso di raggiungere l’accordo del consiglio ECOFIN sulla risoluzione del dicembre 1997. Principali raccomandazioni: ⇒Proseguire i lavori per eliminare le barriere fiscali all’interno del mercato unico, modernizzare le norme sulla fatturazione elettronica, aggiornare le norme relative alla compensazione transfrontaliera, introdurre un sistema vincolante per la composizione delle controversie riguardante la doppia imposizione subita da privati e riesaminare la direttiva sulla tassazione del risparmio. ⇒Lavorare ad una definizione comune delle basi imponibili relative alle imprese e proseguire l’attività del gruppo “codice di condotta” in materia di tassazione delle imprese. ⇒Riformare le norme che disciplinano l’IVA in modo favorevole al mercato. 89 ⇒Sviluppare il settore dell’imposizione ambientale nel contesto più ampio delle politiche fiscali e studiare i suoi effetti sulla crescita e l’occupazione. ⇒Accordarsi sull’istituzione, su iniziativa della Commissione, di un gruppo per la politica fiscale presieduto dal Commissario per la fiscalità e composto da rappresentanti dei ministeri delle Finanze degli Stati membri, che rappresenterebbe un’istanza di dibattito strategico e approfondito sulle questioni di politica fiscale.

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