Gli immobili di interesse storico adibiti ad abitazione o utilizzati per ricevimenti godono di ingiustificati vantaggi fiscali. Il reddito viene calcolato applicando la tariffa d’estimo minore tra quelle previste per le abitazioni della zona censuaria dove è ubicato l’immobile a prescindere da eventuale locazione a canone più alto.
di Lelio Violetti
Il criterio adottato dal legislatore per tassare gli immobili di interesse storico è l’esatto contrario di quanto stabilito dall’articolo 53 della Costituzione. Succede così che Palazzo Orsini, messo in vendita dai proprietari per la bella cifra di 32 milioni di euro con un annuncio sul quotidiano americano Herald Tribune, per il nostro fisco deve essere tassato applicando la stessa tariffa d’estimo del più fatiscente immobile situato nella stessa zona censuaria. Un criterio a dir poco originale e che è difficile spiegare a chi le tasse sulla sua casa normale le paga senza sconti. Quello delle dimore storiche è un patrimonio certamente significativo del quale manca una aggiornata e dettagliata catalogazione di tipo fiscale. Da questo punto di vista bene ha fatto l’Agenzia delle Entrate ad inserire nel modello di dichiarazione dei redditi per il 2012 un apposito codice utile a censire tale patrimonio dato in locazione per procedere ad una più equa tassazione.
In questo momento di crisi, in cui si chiedono sacrifici a tutti, l’elevato importo richiesto per l’acquisto dei locali situati in Palazzo Orsini, è l’occasione per riflettere sui benefici fiscali concessi alle abitazioni sottoposte a vincolo storico-artistico dalle Soprintendenze regionali per i Beni Culturali.
Infatti Il reddito degli immobili di interesse storico e/o artistico è in ogni caso determinato mediante l’applicazione della minore tra le tariffe d’estimo previste per le abitazioni della zona censuaria nella quale è collocato l’immobile, a prescindere dalla eventuale locazione del bene ad un canone superiore (Articolo 11, comma 2, della Legge n. 413 del 1991).
I proprietari persone fisiche, pertanto, nel caso di immobile dato in affitto pagano l’Irpef solo sulla rendita minima della zona censuaria.
Per i proprietari l’agevolazione risulta piuttosto rilevante in quanto, seppur obbligati dalle Soprintendenze a sostenere spese consistenti per la tempestiva manutenzione ordinaria e straordinaria dell’immobile, si tratta nella stragrande maggioranza dei casi di abitazioni di pregio situate nei centri storici e con una redditività elevatissima. Occorre anche far presente che le spese per la manutenzione dell’immobile storico-artistico, rimaste a carico del proprietario, sono oneri detraibili al 19% e sono cumulabili al 50% con quelle di ristrutturazione degli immobili detraibili al 36%.
È evidente la condizione di vantaggio fiscale in cui vengono a trovarsi i proprietari di questi immobili; condizione di favore oggi non più sostenibile a fronte delle attuali esigenze di bilancio che impongono di recuperare risorse riducendo le aree di privilegio. Una eventuale rivisitazione di tutta la normativa alla base di questa agevolazione richiederebbe anche l’adozione di misure che rendano trasparente a tutti i contribuenti le dimensioni economiche del beneficio. Infatti attualmente il vincolo di immobile storico-artistico non è registrato in catasto ed è presente solo negli elenchi delle Soprintendenze regionali che di norma hanno interesse a classificare gli edifici per tipo (religioso, villa, palazzo, collegio, ecc) e non per unità immobiliare con la relativa destinazione d’uso (abitazione, negozio, cantina, ecc.). Tenendo conto dell’ampiezza dei nostri centri storici, sia delle grandi città che dei piccoli borghi, e consultando alcuni elenchi pubblicati sui siti delle Soprintendenze di Lombardia e Liguria si ha l’impressione che il patrimonio edilizio vincolato è piuttosto ampio.
Suscita, pertanto, qualche perplessità la perdita di gettito, comprensiva delle addizionali, relativa a questa agevolazione, stimata, per le persone fisiche, solo in 23,40 milioni di €, nella tabella pubblicata nella Relazione Finale del Gruppo di lavoro sull’erosione fiscale (sito del Ministero dell’Economia e Finanze – Roma 22 novembre 2011) che valuta, ai fini di una loro eventuale riduzione, i regimi di esenzione, esclusione e favore fiscale. Tra l’altro nella Tabella, al contrario delle altre agevolazioni, non è indicato il numero di contribuenti che né usufruiscono.
In tale valutazione, inoltre, sono inclusi solo gli immobili classificati in catasto nelle categorie A/9 (castelli, palazzi di eminenti pregi artistici e storici) ed A/11(abitazioni ed alloggi tipici dei luoghi) mentre è probabile che godano dell’agevolazione anche abitazioni classificate nelle altre categorie residenziali.
Da una stima di massima, fatta estrapolando a livello nazionale i dati contenuti negli elenchi delle Soprintendenze di Lombardia e Liguria, risulta che, presumibilmente, l’importo indicato nella citata Tabella per l’agevolazione concessa agli immobili destinati ad uso abitativo d’interesse storico e/o artistico è sottostimato e di un ordine di grandezza diverso da quello indicato per i seguenti motivi:
– il numero delle abitazioni prese a base è di gran lunga inferiore a quello reale;
– il canone di locazione di queste abitazioni è probabilmente di gran lunga più elevato di quello ipotizzato nella stima, trattandosi in molti casi di ville o residenze di pregio situate in palazzi dei centri storici.
Per trasparenza ed equità sarebbe utile conoscere anche l’importo medio dell’agevolazione o meglio il numero di immobili e di contribuenti interessati.
A tal fine, tenendo conto della scarsità di dati disponibili, è auspicabile che la caratteristica di immobile riconosciuto storico o artistico venisse registrata anche in catasto con l’indicazione della rendita effettiva e di quella agevolata.
Questa informazione colmerebbe l’attuale carenza informativa consentendo di conoscere con precisione lo stock immobiliare interessato e di quantificare con certezza il privilegio fiscale di cui godono questi immobili.