Di Lavoisier
La metodica erosione delle basi imponibili, attraverso la moltiplicazione dei regimi sostitutivi e la costante esclusione dalla progressività di intere categorie di contribuenti, ha trasformato, nel corso degli anni, l’Irpef in un’imposta che grava essenzialmente sui lavoratori dipendenti e sui pensionati.
Esempio illuminante né è la flat- tax (o imposta piatta) prevista per i lavoratori autonomi e
le piccole imprese con volume d’affari fino a 85.000, che sono tassati ai fini Irpef secondo
il regime forfetario.
In concreto, nel caso dei professionisti la determinazione del reddito da assoggettare a tassazione (sostitutiva delle imposte sui redditi, delle addizionali regionali e comunali e dell’IRAP) si ottiene, riducendo forfetariamente il totale dei corrispettivi dell’anno del 22%, oltre che degli oneri previdenziali sostenuti. Sul reddito imponibile così
determinato si applica l’imposta proporzionale unica del 15%.
Ad esempio ad un avvocato che ha percepito nell’anno compensi pari a € 60.000,00 viene
riconosciuta una riduzione forfettaria di € 13.200,00 a titolo di spese per la produzione del
reddito. Ne consegue un reddito lordo di € 46.800,00 dal quale vanno poi dedotti i
contributi previdenziali e assicurativi. Il reddito netto, che ne scaturisce, viene tassato con
l’aliquota del 15%.
Per i lavoratori autonomi in regime ordinario (cioè quelli i cui compensi annuali superano €
85.000) il reddito di lavoro autonomo è determinato in modo analitico, ed è pari alla
differenza tra i compensi percepiti e i costi e le spese sostenute per produrre il reddito.
In pratica per questi contribuenti si sottopone a tassazione Irpef il reddito netto, applicando correttamente il principio di capacità contributiva previsto dall’articolo 53 della Costituzione. Un principio sempre più disatteso per i redditi da lavoro dipendente. Infatti i lavoratori dipendenti, non solo non possono accedere ai regimi forfetari sostitutivi, ma il loro reddito, a differenza dei redditi d’impresa e di lavoro autonomo, viene determinato al lordo, cioè senza ridurre la retribuzione o il salario percepito delle passività
e delle spese per produrre il loro reddito. Un fenomeno, che oltre a rappresentare una evidente discriminazione del reddito di lavoro dipendente rispetto a quello di lavoro autonomo e d’impresa, viola anche il principio di equità orizzontale (stesso reddito uguale trattamento fiscale). Una discriminazione che non fa scandalo, non fa parte del dibattito politico attuale, tutto concentrato su riapertura di rottamazioni e ampliamento di regimi di favore per gli autonomi come il concordato preventivo biennale.
Eppure è lungo e gravoso l’elenco delle spese che il lavoratore dipendente ogni mattina
sostiene per recarsi in Ufficio o in fabbrica o per lavorare in smartworking.
E’ probabile che per motivi di lavoro debba sostenere spese di trasporto (mezzi pubblici, autovettura ad uso promiscuo e spese carburante), spese per vitto e bevande non compensate dai tickets, che necessiti di un abbigliamento più decoroso e appropriato (soggetto a particolare usura per l’uso quotidiano) e di maggiore cura della
persona, che sostenga spese per la formazione e l’aggiornamento professionale (pubblicazioni, corsi on line, etc,), che abbia bisogno di spese per la custodia ed educazione dei figli fuori dell’orario di scuola, che subisca diseconomie legate al lavoro
(con riguardo – ad esempio – al luogo e ai tempi della spesa quotidiana). In particolare poi
per chi lavora in smartworking vanno considerati i costi e le spese connessi all’uso di spazi
domestici attrezzati, alla strumentazione tecnologica per lavorare, al consumo promiscuo
delle utenze domestiche (energia elettrica, gas, acqua e gestione dei rifiuti), etc. etc.
Le vicende fiscali delle “spese di produzione del reddito di lavoro dipendente” – lo strabismo fiscale della politica –
Il legislatore quando ha introdotto l’Irpef nel 1973 ha previsto espressamente una detrazione forfetaria dall’imposta di 36.000 lire nei confronti
dei lavoratori dipendenti per spese di produzione del reddito in sostituzione delle spese effettivamente sostenute; lo stesso trattamento era previsto a favore dei pensionati e dei
piccoli imprenditori con un reddito non superiore a lire tre milioni che rinunciavano alla determinazione analitica del reddito.
Nel 2003 (secondo Governo Berlusconi) è stata introdotta una deduzione dal reddito complessivo (cosiddetta no-tax area) di 3.000 euro, nella detrazione per i redditi da lavoro dipendente è scomparsa per sempre la correlazione con le spese sostenute per la produzione del reddito.
L’art. 13 del TUIR, attualmente vigente, prevede sotto la rubrica “altre detrazioni”, detrazioni specifiche per i redditi di lavoro dipendente, che non sono però correlate alle spese che i lavoratori sostengono quotidianamente per lavorare, ma mirano essenzialmente ad assicurare un minimo di progressività nell’imposizione per salvaguardare i redditi più bassi: variano in funzione dell’ammontare del reddito complessivo, nel senso che all’aumentare di quest’ultimo, l’importo della detrazione spettante decresce, fino ad annullarsi del tutto se il reddito complessivo supera i 50.000
euro.
Questo sistema discrimina particolarmente i lavoratori dipendenti appartenenti al ceto medio con retribuzioni medie e medio-alte, cioè proprio quelli che dichiarano di più, che per tipo di attività e modalità di lavoro sostengono i maggiori costi e spese per lavorare.
Ad esempio un dipendente, quadro direttivo di un’azienda, con retribuzione annuale di
€ 60.000, a cui corrisponde in busta paga un netto mensile di circa € 2.700/2.800, che
viaggia quotidianamente per lavoro da Milano a Brescia e talvolta lavora in smartworking,
pur affrontando non pochi costi per motivi di lavoro, non può detrarre nessuna delle spese che sostiene per recarsi a lavoro e viene assoggettato a tassazione sul reddito lordo, senza alcuna forfettizzazione.
Per i lavoratori dipendenti è stato completamente abbandonato il principio su cui si basa
la tassazione del reddito da lavoro (sia dipendente che autonomo), basato sulla tassazione della maggiore ricchezza prodotta dal lavoro che resta nella disponibilità del lavoratore, in attuazione del principio di capacità contributiva.
Il re è nudo: i lavoratori dipendenti sono i paria del fisco, rappresentano una categoria di contribuenti di serie B, per i quali è considerato accettabile applicare una tassazione Irpef molto più gravosa ( progressiva per fasce di reddito – sul reddito lordo e
non netto) rispetto a quella applicata agli altri contribuenti, siano essi lavoratori autonomi
che imprenditori, che beneficiano fino ad 85.000 euro della tassazione proporzionale sostitutiva del 15% (flat-tax). Tutto ciò nonostante essi siano i maggiori contribuenti Irpef, nonché i più onesti, atteso che il sistema di prelievo dell’imposta personale, che avviene direttamente sullo stipendio o salario a mezzo della ritenuta d’acconto, minimizza il rischio di evasione. Altrettanto vale per i pensionati, tenuto conto che anche per quest’ultimi non sono previste specifiche deduzioni connesse alle maggiori spese dovute ai maggiori
bisogni della loro età.
Che fare – Dove prendere le risorse necessarie – Basta vedere i nostri cugini francesi
soggetti all’impôt sur le revenu (I.R.) e prendere spunto da loro. Per i redditi da lavoro
dipendente è prevista una deduzione forfettaria a titolo di spese professionali del 10%
(limitata a 14.426 euro per la tassazione delle retribuzioni percepite nell’anno 2024), che
va calcolata sul reddito lordo, al netto dei contributi previdenziali.
Per assicurare le risorse necessarie a compensare la perdita di gettito che deriverebbe dall’introduzione nel nostro ordinamento di una deduzione forfettaria, ad esempio del 10%,
a fronte delle spese professionali sostenute dai percettori di reddito di lavoro dipendente,
si dovrebbe:
1- Ridare centralità alla lotta all’evasione fiscale, di cui non c’è traccia nella prossima finanziaria, che anzi si fa notare per l’introduzione di un ennesimo
condono fiscale denominato “rottamazione quinquies” e per il concordato preventivo
2025/26. Tutto ciò nonostante l’enormità dell’evasione fiscale, quantificata dalle
stime ufficiali del Mef pari a circa 91 miliardi di euro nel 2022, e la conclamata propensione all’evasione dell’Irpef da parte dei lavoratori autonomi e delle piccole imprese pari al 61,5% (media 2018-2022). Attualmente lo scarso numero di controlli
fiscali e la quasi certezza di un ennesimo condono fanno venir meno qualsiasi deterrenza. Per fare un esempio: nel 2023 l’incidenza dei controlli fiscali nei confronti dei professionisti e delle piccole imprese soggetti agli indici sintetici di
affidabilità, inclusi tra le dieci attività in cui si concentra il maggior numero di essi
(circa 2.071.051 soggetti). è pari al 4,2”%.
2- Riportare, magari gradualmente, nell’ambito dell’Irpef e della progressività i redditi che oggi rientrano nei regimi sostitutivi, ad esempio i professionisti e le piccole imprese, oggi beneficiate dal regime agevolato della Flat-tax.










