back to top
giovedì 23 Ottobre 2025
spot_img
spot_img

Osservatorio itinerari previdenziali: chi paga l’Irpef in Italia 

Dodicesima edizione dell’indagine sulle entrate fiscali a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali

Dalla rielaborazione dei dati Mef e Agenzia delle Entrate emerge che nel 2024 su una popolazione di 58.997.201 cittadini residenti sono stati 42.570.078 quanti hanno presentato una dichiarazione dei redditi Irpef. A versare però sono solo  33.540.428  residenti, poco più della metà degli italiani.  Ogni contribuente quindi si ritrova “a carico” 1,386 abitanti. Su 42,6 milioni di dichiaranti il 76,87% dell’intera Irpef è pagato da circa 11,6 milioni di milioni di contribuenti, mentre i restanti 31 ne pagano solo il 23,13%. 

“Il totale dei redditi prodotti nel 2023 e dichiarati nel 2024 ai fini IRPEF è ammontato a 1.028 miliardi,  per un gettito IRPEF generato – al netto di TIR e detrazioni – di 207,15 miliardi (di cui 185,58 miliardi,  l’89,9%, di IRPEF ordinaria): valore in aumento del 9,43% rispetto all’anno precedente. Crescono sia i dichiaranti (42.570.078, numero addirittura superiore a quello record del 2008)  sia i contribuenti/versanti, vale a dire coloro che versano almeno 1 euro di IRPEF, che toccano quota 33.540.428. Mentre salgono sia i contribuenti con redditi compresi tra i 20 e i 29mila euro (9,7 milioni) sia quelli con redditi medio-alti dai 29mila euro in su, diminuiscono i dichiaranti per tutte le fasce di reddito fino a 20mila euro, che calano da 22,356 a 21,241 milioni»” ha documentato Alberto Brambilla, Presidente del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali. Nella sua relazione, è emerso un primo importante paradosso malgrado un trend complessivamente positivo. L’Osservatorio evidenzia sì una riduzione dei dichiaranti con redditi bassi in favore di quelli medio-alti ma, anche per effetto di bonus e detrazioni, non ci sono variazioni sostanziali nella ripartizione del carico fiscale,  che pesa soprattutto sulle spalle di uno sparuto ceto medio. “Basti pensare che,  malgrado il miglioramento di PIL e occupazione – precisa Brambilla – il 43,15% degli italiani non ha redditi e, di conseguenza, vive a carico di qualcuno. Sono invece 1.184.272 i soggetti (in aumento di oltre 170mila unità sullo scorso anno) che denunciano un reddito nullo o negativo, non pagando quindi né tasse né contributi”. 

Redditi dichiarati, tipologie di contribuenti e consumi 

Meritevoli di una riflessione su equità ed efficienza del nostro sistema fiscale anche i profili di distribuzione dei contribuenti che, sulla base di quanto dichiarato nel 2024, hanno corrisposto almeno 1 euro di IRPEF nel 2023.  

Tra 15.000 e 20.000 euro di reddito lordo dichiarato si trovano circa 5 milioni di contribuenti, che pagano un’imposta media annua di 1.817 euro, che si riduce a 1.311 euro per singolo abitante; seguono da 20.001 a 29.000 euro 9,7 milioni di contribuenti, con un’imposta media di 3.750 euro che scende a 2.706 se rapportata al totale abitanti: un importo che, come per la fascia successiva, basterebbe di per sé a coprire i costi della spesa sanitaria pro capite, ma che resterebbe comunque insufficiente guardando alle altre principali funzioni di welfare non coperte da contributi di scopo, tra cui appunto l’assistenza.  Seguono quindi i redditi tra 29.001 e 35mila euro, fascia in cui si collocano 4.359.429  contribuenti pari a  6.041.664  abitanti:  questi contribuenti, il 10,24%,  pagano  un’imposta  media  di  6.254 euro l’anno,  4.512  euro  per  abitante, e versano complessivamente il 13,16% delle imposte.  Sommando tutte le fasce di reddito fino a 29mila euro, si evidenzia dunque che il 72,59% dei contribuenti italiani versa soltanto il 23,13%: di tutta l’IRPEF: “una fotografia più vicina a quella di un Paese povero che di uno Stato membro del G7 e che parrebbe oltretutto poco veritiera guardando a consumi e abitudini di spesa degli italiani, che figurano ai primi posti in Europa per possesso di abitazioni, moto e autoveicoli, smartphone e abbonamenti a pay-tv“, il commento del Professore.  

Nel dettaglio, da 0 a 7.500 euro lordi si collocano 7.288.399 soggetti, il 17,12% del totale, che pagano in media 26 euro di IRPEF l’anno (19 se rapportati ai cittadini) e sono pertanto pressoché a carico dell’intera collettività. Nella fascia subito superiore, quella dei contribuenti che dichiarano redditi tra i 7.500 e i 15.000 euro lordi l’anno sono 7.696.479: in questo caso, al netto del TIR, l’IRPEF media annua pagata per contribuente è di 296 euro (214 euro per abitante), a fronte – a titolo esemplificativo – di una spesa sanitaria pro capite pari di circa 2.222 euro. L’insieme di queste 3 fasce di contribuenti, vale a dire 16.169.510 soggetti versa solo 1,19% del totale IRPEF:  rapportato al numero di abitanti, questo significa 22,409 milioni di persone pagano, al netto di deduzioni e detrazioni un’imposta media di 100 euro annui.  

Ma quindi chi paga davvero le tasse in Italia? A salire, la scomposizione per scaglione mostra quei poco più di 7 milioni di versanti con redditi superiori ai 35mila euro che, nella sostanza, si fanno carico del finanziamento del nostro welfare state. Più precisamente, esaminando le dichiarazioni relative agli scaglioni di reddito più elevato,  sopra i 100mila euro, l’Osservatorio individua solo l’1,65% dei contribuenti che, tuttavia, versano il 22,43% del totale IRPEF. Sommando i 1.776.374 ( il 4,17% del totale,  paganti il 17,88% del totale delle imposte) titolari di redditi lordi da 55.000 a 100mila euro, si ottiene che il 5,82% paga il 40,31% dell’IRPEF. Includendo anche i redditi dai 35.000 ai 55mila euro lordi, risulta pertanto che il 17,17% paga il 63,71% dell’imposta sui redditi delle persone fisiche. Ricomprendendo infine lo scaglione 29mila-35mila euro, “autosufficiente” su quasi tutte le funzioni di welfare salvo una quota di assistenza, si ottiene che  il 27,41% dei contribuenti corrisponde il 76,87% dell’IRPEF complessiva e, si suppone, una quota altrettanto rilevante delle altre imposte. 

Volendo esemplificare la poco efficace progressività nella ripartizione del carico fiscale, basti fare un esempio:  al 2023 le imposte pagate da un lavoratore dipendente con un reddito tra 35 e 55mila euro sono 34 volte quelle di un reddito tra 7.500 e 15mila euro, mentre tra 100.000 – che valgono al netto delle tasse circa 52mila euro –  e 200.000 euro sono pari a 149 volte; con oltre 300mila euro di redditol’imposta equivale a 814 lavoratori tra 7.500 e 15mila euro (133 con redditi tra 15 e 20mila).  

La redistribuzione della ricchezza e il difficile finanziamento del welfare italiano 

Come garantire innanzitutto la sostenibilità del nostro sistema di protezione sociale ma, più in generale, produttività e sviluppo del Paese se il grosso del carico fiscale grava su una ristretta minoranza? Questo il secondo grande paradosso su cui invita a riflettere l’Osservatorio, che realizza con cadenza annuale un’analisi delle dichiarazioni individuali dei redditi IRPEF e delle altre principali imposte dirette e indirette (tra cui IRAP, IRES, ISOST e gettito IVA),  con l’obiettivo di ottenere indicatori utili a comprendere l’effettiva situazione socio-economica del Paese e a verificare la tenuta del suo sistema di protezione sociale.  

Solo per pagare la spesa sanitaria, per i primi 3 scaglioni con redditi da negativi/zero fino a 20mila euro, la differenza tra l’IRPEF versata e il costo della sanità (2.222 il valore pro capite) supera  i 56 miliardi. Considerando anche l’istruzione e la spesa assistenziale e  welfare degli enti locali,  la redistribuzione totale supera i 233 miliardi (1,13 volte l’importo dell’intera IRPEF) su circa 675 di entrate, al netto dei contributi sociali. In pratica, viene redistribuito l’80,56% di tutte le imposte dirette,  principalmente  a beneficio soprattutto del 72,59% dei contribuenti con redditi fino a 29mila euro.  Un costante trasferimento di ricchezza, sotto forma di servizi gratuiti di cui quest’enorme platea di beneficiari spesso non si rende neppure conto, in parte anche a causa delle ripetute promesse di nuove elargizioni da parte della politica che tende viceversa a trascurare i percettori di redditi medio-alti, spesso esclusi da bonus e altri benefici malgrado il forte contributo fornito al sistema. Da troppo tempo lo Stato italiano pare poggiarsi sul pericoloso binomio “meno dichiari e più avrai dallo Stato” che, in assenza di controlli, incoraggia elusione e lavoro nero. Giusto aiutare chi ha bisogno, così come garantire a tutti diritti primari, come ad esempio quello alla salute – la puntualizzazione di Brambilla – ma, al tempo stesso, non si può trascurare quanto queste cifre siano verosimilmente “gonfiate” da economia sommersa ed evasione fiscale per le quali primeggiamo in Europa: “è davvero credibile che quasi la metà degli italiani viva con circa di 10mila euro lordi l’anno”.  

Solo nel 2023 sono stati necessari 131,119 miliardi per la spesa sanitaria, oltre 164 per l’assistenza sociale e altri circa 13,4 miliardi per il welfare degli enti locali: un conto totale da oltre 300 miliardi che, in assenza di tasse di scopo (come, ad esempio, accade per le pensioni che sono in attivo al netto dell’Irpef), viene finanziato attingendo all fiscalità generale. A queste sole 3 voci di spesa sono state dunque destinate nell’ultimo anno di rilevazione  pressoché  tutte le imposte dirette Irpef, addizionali, Ires, Irap e Isost e anche 32,8 miliardi di imposte indirette, in primis l’Iva

Negli ultimi 16 anni i redditi dichiarati sono aumentati  del 28,46%, mentre la spesa per il welfare è cresciuta del 45%, trainata soprattutto da quella assistenziale,  il cui valore tende ormai ad avvicinarsi al gettito dell’Irpef ordinaria.

Dello stesso autore

RISPONDI

Please enter your comment!
Please enter your name here

Altro in Attualità

Rubriche