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martedì 17 Giugno 2025
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730 precompilato, con riforma Irpef semplificare agevolazioni spese mediche

Gran parte del lavoro dipendente, appartenente al settore privato, soprattutto quello della grande impresa, gode della possibilità, concessa dalle regole alla base della determinazione dell’Irpef, della deduzione per i contributi versati ai fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale per un importo complessivo non superiore a 3.615,20 € (art. 10, comma 1, lettera e-ter del Tuir).
Questi fondi, come le assicurazioni sanitarie, a causa della sempre minore copertura e tempestività del Servizio sanitario nazionale sono in forte espansione all’interno del mondo del lavoro e quindi i contribuenti interessati crescono sempre più ogni anno. Di norma questi contributi al fondo integrativo sono trattenuti direttamente dal datore di lavoro in busta paga e da questo indicati in uno specifico punto della Certificazione Unica. Ovviamente le spese sanitarie sostenute e rimborsate dal fondo integrativo non sono detraibili al 19%. Il 730 precompilato, al fine di evitare errori al contribuente iscritto al fondo integrativo, segnala al contribuente i rimborsi effettuati da questo nell’anno che vanno ovviamente decrementati dalle spese portate in detrazione al 19%.

C’è una prima problematica di complessità in quanto non è raro che i rimborsi erogati dal fondo non sono relativi all’anno oggetto di dichiarazione e il contribuente li ha già portati in detrazione al 19% l’anno o gli anni precedenti. In questo caso questi rimborsi sono soggetti a tassazione separata. Una seconda complessità deriva dal fatto che l’importo pagato al fondo dal dipendente può superare
l’importo limite ed in questo caso parte della spesa rimborsata è detraibile in percentuale sul totale per la parte pagata che eccede il limite contributivo di 3.615,20 €. Tutto, ciò sebbene di difficile comprensione da parte del contribuente lavoratore dipendente interessato, è tuttavia ben gestito dalla dichiarazione precompilata anche se la verifica da parte del contribuente, su quanto esposto in merito nella precompilazione risulta piuttosto macchinosa. La questione si fa assai più oscura e sarebbe opportuno che l’Agenzia facesse ulteriore chiarezza in merito, soprattutto nelle istruzioni al modello 730, quando il lavoratore dipendente va in pensione e continua a contribuire individualmente al fondo. A questo proposito apparentemente dalle istruzioni al 730, così come sono oggi formulate, il contribuente che continua ad essere iscritto al fondo, continua a godere del diritto alla deduzione dall’imposta fino a 3.615,20 €.

In realtà non è così in quanto il fatto di rimanere iscritti al fondo, anche in quiescenza, non è sufficiente a garantire il diritto poiché è necessario che l’impresa continui a contribuire a nome del soggetto e che tale contribuzione continui a costituire reddito non imponibile per il soggetto stesso documentato in una Certificazione Unica contenente solo il contributo indicato nell’apposito punto.
Tutto questo, a parere dell’associazione, andrebbe ulteriormente chiarito e ribadito da parte dell’Agenzia, anche se c’è una vecchia circolare in proposito, perché può indurre in errore, tenendo conto che la deduzione è molto più conveniente della detrazione al 19% della spesa rimborsata. Quanto esposto in precedenza induce ad un’ulteriore considerazione che, probabilmente, andrebbe tenuta presente nelle scelte che verranno adottate nella prossima riforma dell’Irpef. La deduzione delle spese mediche, poi trasformata in detrazione dell’importo al 19%, fu introdotta nella riforma dell’Irpef del 1973 perché allora non esisteva il Servizio sanitario nazionale che garantiva il diritto all’assistenza a tutti i cittadini. Nel 1978 con la legge 833 fu istituito il Servizio sanitario nazionale (Ssn) e l’agevolazione fiscale della deduzione delle spese mediche non fu tolta in attesa dell’andata graduale a regime del Servizio. L’agevolazione, seppur sensibilmente ridotta al 19%, perdura ancor oggi.

Poiché anche la pandemia ha evidenziato che l’universalità del SSN è ancora abbastanza lontana dall’esser raggiunta e che la detraibilità di questa tipologia di spesa nel tempo si è notevolmente complicata sia per il numero, centinaia di milioni, degli importi richiesti, molto spesso minimi, che per le regole alla base della loro spettanza e che un buon numero di contribuenti non ne possono godere perché incapienti, c’è da chiedersi se non sia il caso, nell’ambito di una semplificazione dell’Irpef, di abolire questa agevolazione. In sostituzione si potrebbe procedere erogando un rimborso diretto della spesa da parte del Ssn per garantire l’universalità del diritto alla salute e non con la restituzione di una quota minima del 19% attraverso il fisco. Si rimborserebbero in questo modo solo quegli interventi indispensabili che il Ssn non è in grado di garantire in tempo utile. In alternativa ma questa soluzione suscita dei dubbi dal punto di vista dell’equità in quanto si ratificherebbe il fatto che il diritto alla salute è garantito da una struttura mista pubblico-privata si potrebbe estendere l’attuale deducibilità a tutti i contributi versati per l’assistenza sanitaria, fondi ed assicurazioni. Dal punto di vista logico questa soluzione, adottata da molti paesi con un’economia comparabile alla nostra, metterebbe sullo stesso piano i contributi previdenziali integrativi con quelli, del pari integrativi, destinati all’assistenza sanitaria, abolendo ovviamente sempre la detrazione al 19%.

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