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sabato 5 Luglio 2025
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Delega fiscale (2): Costi per l’erario notevoli e non quantificati. Una lettura critica dell’articolo 5

Di Francesco Ferrari

Proseguiamo con la lettura critica di alcuni aspetti significativi della Delega fiscale che il governo si appresta a chiedere al Parlamento, passando a commentare l’articolo 5. Si tralasciano volontariamente le previsioni contenute nelle lettere a), b) e c) per svolgere alcune riflessioni sulle successive.

La lettera d) prevede un’ambiziosa riforma dei redditi di natura finanziaria da intendersi come i redditi derivanti dall’impiego di capitale, attualmente suddivisi nelle categorie reddituali dei redditi di capitale e dei redditi diversi. La riforma prevede che tali redditi vengano ricondotti ad un’unica categoria reddituale assoggettata a tassazione mediante imposizione sostitutiva sulla base del principio di cassa, con possibilità di compensazione delle perdite (ivi comprese quelle derivanti dalla liquidazione di società ed enti) e riporto ultra annuale delle stesse. Ci si prefigge, inoltre, il superamento degli attuali 3 regimi “della dichiarazione”, “del risparmio amministrato” e del “risparmio gestito” prevedendo che il regime della dichiarazione venga comunque affiancato da un regime opzionale semplificato che rimetta il prelievo dell’imposta ad intermediari specializzati con esonero del contribuente dall’obbligo dichiarativo. Vengono inoltre previste la riduzione delle aliquote per i redditi di natura finanziaria conseguiti dagli enti di previdenza obbligatoria, il mantenimento del ridotto livello di tassazione sui redditi derivanti da titoli di Stato ed equiparati, una revisione del sistema di tassazione dei rendimenti dei fondi pensione complementari (che viene prevista secondo il “principio di cassa” ma prevedendo la tassazione del risultato annuale di gestione) con mantenimento di un’aliquota agevolata.

La riforma è volta al superamento dell’attuale situazione che vede i redditi di capitali tassati “al lordo” delle spese di produzione e senza possibilità di compensazione con le perdite se non all’interno del regime del “risparmio gestito” e si prefigge di affrontare una normativa complessa e frastagliata. Le principali criticità sono collegate alla difficoltà di stimare finanziariamente l’impatto della misura che potrebbe essere significativo, con necessaria individuazione di adeguate coperture. Le modifiche proposte, infatti, consentirebbero di compensare dividendi e interessi con minusvalenze, e la prima conseguenza sarebbe quella di azzerare nella sostanza il flusso di imposte derivanti dalla distribuzione di dividendi da parte delle società quotate. Deve inoltre osservarsi come in presenza di un tale regime le frequenti riaperture (o la “messa a sistema”) delle norme sulla rivalutazione delle partecipazioni porteranno, in via sistematica, all’annullamento del prelievo sulla distribuzione di utili sostituito, nei fatti, da un’imposta di tipo patrimoniale, versata su base volontaria che comporta ulteriori riduzioni di gettito. Ulteriori oneri, inoltre, potrebbero derivare dalla necessità di consentire, in sede di determinazione dei redditi di natura finanziaria conseguiti dai non residenti (per i quali sarà eventualmente necessario individuare nuovi criteri di collegamento atti ad individuare l’Italia come stato della fonte), la deduzione degli oneri di produzione degli stessi, quali gli interessi passivi altrove corrisposti per finanziare l’investimento in Italia.

La lettera f) si prefigge di intervenire sul reddito di lavoro autonomo, con una serie di interventi che comportano, anch’essi un notevole costo per l’erario. La disposizione di cui al punto 1.1, se da un lato prevede il concorso alla formazione del reddito “di tutte le somme e valori in genere” a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta in relazione all’attività artistica e professionale, dall’altro esclude esplicitamente dagli stessi le spese riaddebitate al cliente e indeducibili dalla determinazione del reddito del professionista. Tale ultima previsione, nel regime ordinario non avrebbe alcun effetto significativo qualora fosse previsto di ricomprendere i riaddebiti tra i componenti positivi ammettendo la deduzione delle relative spese. Deve tuttavia osservarsi come la scelta del legislatore sia finalizzata a ridurre l’ammontare dei proventi considerati imponibili con conseguente estensione dell’ambito di applicazione del regime forfetario (c.d. “flat tax”) in quanto le spese riaddebitate al cliente non concorreranno al raggiungimento della soglia dimensionale e, conseguentemente, le relative spese non saranno, astrattamente, parzialmente deducibili come implicato dal meccanismo di determinazione forfetaria del reddito imponibile.

Viene inoltre previsto un allineamento tra il criterio di imputazione dei compensi e quello di applicazione della ritenuta a titolo di acconto da parte dei committenti, la riduzione dell’aliquota della ritenuta in presenza di impiego continuativo di collaboratori e dipendenti (come attualmente previsto per gli agenti di commercio), l’eliminazione del favor attualmente garantito all’acquisto in leasing degli immobili strumentali rispetto all’acquisto in proprietà e la neutralità fiscale della trasformazione delle associazioni professionali in società tra professionisti.

La lettera g) si propone di reintrodurre un meccanismo di tassazione dei redditi di impresa, anche prodotti in forma associata, del tutto paragonabile a quello introdotto con l’”IRI” di cui all’abrogato articolo 55-bis del TUIR. Il regime opzionale era stato introdotto dalla legge di bilancio per il 2017 e l’entrata in vigore era dapprima stata differita al 1 gennaio 2018 venendo poi la disposizione ad essere abrogata dalla legge di bilancio per il 2019, e non entrando, di fatto, mai in funzione. I motivi che portarono alla prematura soppressione del regime furono individuati nella onerosità della misura: infatti la nota tecnica al bilancio per il 2019 stimava le coperture rinvenienti dalla soppressione della disposizione, in termini netti, circa 1,99 miliardi nel 2019, 1,24 miliardi nel 2020 e 1,26 miliardi nel 2021.

La lettera h) è dedicata ai redditi diversi e l’aspetto più saliente appare la definitiva “messa a sistema” del regime di rivalutazione di partecipazioni e terreni, ormai in vigore, da oltre 20 anni la cui disciplina “temporanea” è attualmente contenuta negli articoli 5 e 7 della L. 448/2001, i cui termini sono stati costantemente “riaperti” con modifiche dell’aliquota dell’imposta sostitutiva attualmente fissata al 16% e con la novità, già prevista dalla Legge di bilancio 2023 e probabilmente confermata dalla legge delega di ricomprendere anche le partecipazioni negoziate nei mercati regolamentati. Peraltro, la previsione di un’aliquota differenziata in ragione del periodo di possesso del bene, lascia presagire che anche il gettito di tale imposta verrà ad essere eroso attesa la presumibile riduzione delle aliquote applicate ai beni più risalenti che, proprio per l’esiguità dei costi storici di carico risultano quelli maggiormente oggetto di rivalutazione in previsione (o a seguito) della loro dismissione.

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