La nuova tassazione opzionale del lavoro autonomo e delle imprese individuali, delineata nella manovra all’esame del Parlamento, introduce gravi sperequazioni e iniquità, al limite dell’incostituzionale, che riguardano il confronto con l’imposizione sul lavoro dipendente e tra gli stessi comparti produttivi, con un implicito incentivo all’evasione nel passaggio tra il forfettario e l’imposta sostitutiva. Riportiamo uno stralcio della “Audizione del Presidente dell’Ufficio parlamentare di bilancio nell’ambito dell’attività conoscitiva preliminare all’esame del disegno di legge recante bilancio di previsione per l’anno finanziario 2019 e bilancio pluriennale per il triennio 2019-2021” alle Commissioni riunite V della Camera dei deputati (Bilancio, Tesoro e Programmazione) e 5a del Senato della Repubblica (Bilancio).
Alcune considerazioni in tema di efficienza ed equità
Le norme in esame comportano, come mostrato in precedenza, un importante riassetto della tassazione del lavoro autonomo e delle imprese individuali, con rilevanti effetti sull’efficienza (in termini di incentivi al lavoro e alla crescita dimensionale dell’attività) e
sull’equità verticale e orizzontale complessiva del sistema. L’applicazione di un’imposta ad aliquota unica, sostitutiva della tassazione progressiva, abbassa sensibilmente il disincentivo all’attività lavorativa, riducendo l’aliquota marginale complessiva. Ad esempio, nel caso del regime forfettario, in corrispondenza di un ricavo pari a 50.000 euro, l’incremento di un euro di ricavi consente un aumento del reddito disponibile di circa 70 centesimi (aliquota marginale pari al 29,2 per cento), contro i circa 44 centesimi attuali (aliquota marginale pari al 55,6 per cento). Nel caso dell’imposta sostitutiva, la riduzione delle aliquote marginali è minore, sia per la più elevata aliquota di tassazione sostitutiva, sia per l’assenza dell’agevolazione contributiva. In questo caso in corrispondenza di un aumento di ricavi di un euro, il
reddito disponibile nel nuovo regime incrementa di circa 59 centesimi mentre attualmente l’incremento del reddito disponibile ammonta a circa 44 centesimi. Si consideri tuttavia che in corrispondenza del passaggio tra regime forfettario e quello con imposta sostitutiva (in corrispondenza della soglia di 65.000 euro di ricavo), si verifica una cosiddetta trappola di povertà (aliquota marginale superiore al 100 per cento) dovuta al disegno della tassazione per classi e non per scaglioni. Infatti se un aumento dei ricavi fa superare la soglia del regime forfettario, tutto il reddito subisce un incremento di aliquota di cinque punti e non solo la parte eccedente, come accade nel caso di imposta per scaglioni. L’incremento dei ricavi di un euro oltre la soglia dei 65.000 euro fa perdere circa 5.900 euro di reddito disponibile, sia per l’incremento dell’aliquota sia per la perdita dell’agevolazione contributiva; tenendo fissi i costi, occorrerebbero circa 10.000 euro di maggior reddito per recuperare tale perdita. Un salto di aliquota si verifica anche attorno alla soglia dei 100.000 euro oltre il quale si torna ad applicare il regime ordinario progressivo. In questo caso il superamento della soglia implica maggiori imposte per circa 4.300 euro, anche in questo caso recuperabili con circa 10.000 euro di maggior reddito. In corrispondenza delle soglie, dunque, emergono dei forti disincentivi all’incremento dei ricavi, che possono incentivare anche l’evasione. A tale riguardo si consideri che anche l’esclusione dal regime IVA può influire sul livello di compliance fiscale: viene infatti meno il contrasto di interessi con il venditore di beni e servizi intermedi, e si riducono gli strumenti di controllo per effetto della semplificazione degli obblighi di rendicontazione documentale connessi con il regime IVA. Si sottolinea anche l’effetto del regime forfettario sulle scelte nella dotazione di fattori produttivi. Nel regime ordinario l’onere effettivo di acquisto di mezzi di produzione (beni o servizi) risulta mitigato dalla riduzione delle imposte associata con l’incremento dei costi: l’onere è pari al prezzo di acquisto, netto IVA, scontato dell’aliquota marginale complessiva. Ad esempio, l’acquisto di un bene strumentale al prezzo netto di 1.000 euro comporterebbe un onere effettivo di circa 450 euro. Con il regime forfettario invece, poiché l’imposta è determinata sulla base di un coefficiente di redditività prefissato e non si detrae l’IVA sugli acquisti, l’onere per l’acquisto dello stesso bene ammonterebbe a 1.220 euro. Un’imposta basata sostanzialmente sul livello dei ricavi e non sul reddito effettivamente prodotto, come nel caso del regime forfettario, finisce dunque per non essere neutrale rispetto alle scelte allocative dei fattori di produzione: è maggiore il costo marginale dei fattori produttivi e di fatto, a parità di reddito, chi ha costi di produzione più elevati è maggiormente penalizzato. Inoltre, per effetto della presenza di due aliquote, più alta per i contribuenti con ricavi superiori a una data soglia, finisce per svantaggiare gli assetti imprenditoriali a redditività più bassa, come risulta evidente dall’analisi degli effetti distributivi, molto meno favorevoli per le imprese individuali rispetto ai lavoratori autonomi. Infine è opportuno sottolineare che, a differenza del precedente regime forfettario, riservato a un segmento di microimprese con la finalità di semplificarne la gestione amministrativa, la riforma introdotta con il disegno di legge di bilancio si applica a una ampia porzione del lavoro autonomo: circa l’80 per cento dei lavoratori autonomi e delle imprese individuali si colloca sotto la soglia dei 100.000 euro di fatturato. Questo assetto configura un sistema speciale di tassazione per particolari tipologie di contribuenti (imprenditori individuali e lavoratori autonomi), che sussiste in parallelo a quello dell’imposta personale progressiva al quale rimangono sottoposti i lavoratori dipendenti, i pensionati e gli altri contribuenti non coinvolti. Il differenziale di carico fiscale a parità di capacità contributiva è molto ampio e crescente con il reddito (ad esempio, un lavoratore dipendente con 40.000 euro di reddito paga circa 5.000 euro di imposte sul reddito in più di un autonomo in regime forfettario; il differenziale passa a circa 11.500 euro in corrispondenza di un imponibile di 80.000 euro). La coesistenza di questi due regimi non appare coerente con i principi di equità orizzontale del prelievo. Peraltro nel sistema Irpef ordinario la discriminazione qualitativa tra redditi da lavoro dipendente e lavoro autonomo opera in senso opposto, garantendo detrazioni maggiori per il lavoratore dipendente che non deduce i costi di produzione del reddito.