Contrastare gli effetti della pandemia comporta costi elevatissimi ma inevitabili. Il ricorso a sussidi di disoccupazione e a varie misure di aiuti per alleggerire la pressione su famiglie, lavoratori e imprese sta drenando le casse statali già poco floride prima della diffusione del Covid-19. Il sostegno, tuttavia, non è un’opzione ma una necessità destinata a protrarsi per lungo tempo. Da qui l’attenzione degli Stati per la “mobilitazione” di risorse da rastrellare tra le fasce produttive che meno hanno avvertito gli effetti nefasti della pandemia ma che, anzi, hanno visto straordinariamente lievitare i propri incassi perché attive in settori – quali, la ricerca farmaceutica, la grande distribuzione alimentare, le telecomunicazioni – che hanno conosciuto uno sviluppo esponenziale nei mesi scorsi. Al riguardo il rapporto del Fondo Monetario Internazionale pubblicato ad aprile illustra le misure cui gli Stati potrebbero ricorrere per “far cassa” senza causare malcontento tra i destinatari del prelievo ma anzi favorendo il positivo diffondersi di un sentimento di coesione sociale. Le nuove diseguaglianze causate dalla pandemia e l’aggravamento di quelle esistenti richiedono l’adozione di misure di inclusione sociale e culturale altrettanto urgenti e necessarie di quelle economiche e sanitarie. Da qui la necessità di pensare a tasse mirate e limitate (auspicabilmente) nel tempo e a contributi di solidarietà capaci di fungere da “cerniera sociale” rispetto alle fasce di popolazione colpite in misura più severa dal Covid-19.
Una valida opzione potrebbe essere rappresentata dall’introduzione di contributi destinati a favorire una ripresa concretamente inclusiva. La contribuzione (il termine non è casuale in quanto fa leva sul carattere quasi “volontaristico” e spontaneo della elargizione) richiesta alle categorie più ricche, lungi dal porsi come una tassa sulla ricchezza, si atteggerebbe alla stregua di una sovrattassa sul reddito personale o su profitti “eccezionalmente” elevati. L’idea che sorregge la proposta è di stampo solidaristico-distributivo: quanti possono permettersi di pagare di più, devono essere in prima linea per sostenere la ripresa. A fronte dei tanti soggetti travolti dalla crisi – piccoli imprenditori della ristorazione, lavoratori in nero e tantissimi altri – i pochi che, invece, hanno sperimentato una crescita esplosiva del loro business e dei loro guadagni, devono partecipare alla realizzazione di una crescita inclusiva. Lo studio del Fondo Monetario Internazionale ricorda che in passato i governi hanno fatto spesso ricorso a tali misure di contribuzione: è accaduto in Germania all’alba della riunificazione, in Australia nel 2011 per contenere i gravi danni causati da disastrose inondazioni e in Giappone dopo il terremoto del 2013. Il successo di tale forma di contributo dipende sia da un fattore emotivo, in quanto il prelievo è legato ad una emergenza sociale o naturale, sia dalla sua semplicità di applicazione, consistendo in un quid pluris sui redditi personali dei contribuenti più ricchi. A cavallo delle due guerre mondiali i governi fecero ampio ricorso alle cd. excess profit taxes riuscendo a raccogliere consistenti risorse finanziarie.
L’idea ispiratrice era la medesima: richiedere un contributo una tantum ai soggetti che si erano arricchiti a dispetto della crisi colpendo, però, solo i profitti che superavano sensibilmente l’ordinario tetto di incassi. In questo modo i governi (soprattutto quello britannico e statunitense) riuscirono a reperire risorse in modo mirato, facendo leva su sentimenti di aggregazione sociale ed evitando conflitti e contrapposizioni di classe. Le analisi del Fondo Monetario Internazionale sconsigliano l’adozione di imposte a carattere temporaneo perché scarsamente efficaci e percepite con sospetto dai contribuenti. Difatti, a parte il timore di trasformazione in “permanente” di ciò che inizialmente viene presentato come contingente e temporaneo, tali tipologie di imposte suscitano diffidenza nei contribuenti in quanto la reiterazione della imposizione oltre gli originari limiti temporali porta a chiedersi se gli obiettivi che ci si proponeva di realizzare con l’introduzione del prelievo siano stati o meno raggiunti. E le patrimoniali? Dallo studio del Fondo Monetario Internazionale emerge che, se applicate una tantum e senza preavviso, è possibile evitare, prima della loro entrata in vigore, effetti distorsivi sui comportamenti dei destinatari.
Tuttavia, i precedenti insegnano che tale imposta ha riscontrato successi limitati e solo previa adozione di contromisure rigorose per contrastare fenomeni elusivi. Come accadde in Giappone ove il legislatore, dopo aver introdotto una patrimoniale sugli immobili e aver constatato che i proprietari dichiaravano i loro cespiti ad un valore sensibilmente inferiore, ne vietò la vendita a prezzi superiori al valore dichiarato. E’ di immediata evidenza la scarsa remuneratività di una tale forma di tassazione: non solo perché induce comportamenti distorsivi ma soprattutto perché ingenera nella collettività un clima di sospetto e sfiducia verso le istituzioni. La tendenza registrata a livello internazionale segna un progressivo allontanamento dall’adozione della patrimoniale come “imposta di solidarietà”. Taluni Stati, al fine di raccogliere ulteriori risorse da destinare alla ripresa post pandemia, ritengono preferibile, perché di più ampia e facile applicazione, procedere all’aumento delle imposte esistenti sulle rendite immobiliari, anche se solo per i cespiti di maggior pregio.













