Il concordato preventivo biennale potrebbe presentare profili di ‘incoerenza costituzionale’ rispetto all’articolo 53 della Carta e assumere la forma di una sorta di ‘condono surrettizio’. A sottolinearlo è l’ex presidente della Corte Costituzionale Franco Gallo in una analisi pubblicata su Rassegna Tributaria (1/2025) in cui evidenzia, tra l’altro le principali criticità dell’istituto su cui il Governo Meloni punta per racimolare un po’ di soldi in cambio di maggiore tranquillità fiscale offerta ai lavoratori autonomi.
Scrive Gallo: “devo dire che potrebbe anche sorgere, a prima vista, qualche dubbio sulla stessa coerenza costituzionale dell’istituto per violazione
Dell’articolo 53 della Costituzione. Potrebbe, cioè, ritenersi che esso si traduce in un nuovo metodo di determinazione del presupposto di tipo “contrattuale” operante in via anticipata rispetto alla sua realizzazione e, perciò, indipendente dal reale ammontare della ricchezza prodotta.
Il vulnus costituzionale che si intravede proverrebbe, in particolare, dall’effetto negativo che il meccanismo di catastizzazione e standardizzazione su cui esso si fonda viene a produrre sull’“effettività” del presupposto d’imposta; con la conseguente possibile lesione del principio di capacità contributiva”.
Insomma, tenendo conto sia alla disciplina della
legge delega n. 111 che, soprattutto, del decreto
Omnibus (dl 113 del 24), scrive Gallo, “potrebbe intravedersi una possibile violazione del principio
costituzionale di proporzionalità tanto nell’ipotesi in cui il reddito concordato risulti maggiore di quello effettivo, quanto in quella in cui risulti inferiore. Riguardo alla prima ipotesi potrebbe ritenersi, in linea di massima, che il dovere contributivo prevalga in maniera costituzionalmente sbilanciata sul diritto individuale alla corretta imposizione. Riguardo alla seconda ipotesi – e cioè quella, più frequente, in cui il reddito concordato risulti minore di quello effettivo– l’esistenza di un vantaggio per il contribuente sembra rompere il vincolo sociale
che “lega” tutti secondo l’art. 53 Cost.. A stretto rigore si potrebbe sostenere, cioè, che saremmo in presenza di una forma di esenzione, voluta dal legislatore, che determina una compromissione dei principi di solidarietà e di uguaglianza, con una disparità a svantaggio di chi, non aderendo al concordato preventivo, a parità di reddito dichiarato
sopporta un’imposizione superiore, con conseguente lesione anche del principio di progressività.
“Chi ha scritto questa normativa (di favore) -ragiona Gallo- ha ritenuto evidentemente che la disparità di trattamento, risolventesi in un’esenzione di maggiori redditi, possa essere in qualche modo
costituzionalmente giustificata, nel solco della sentenza n. 120 del 2020 della Corte costituzionale, dalla sola esigenza di stimolare la crescita economica, oltre che dalla temporaneità dell’accordo.
“Questa problematica costituzionale potrebbe essere aggravata dall’involuzione che il già discutibile regime del concordato preventivo ha subito a causa delle successive modifiche via via
apportate alla sua disciplina.
Ricordo che il testo originario, in attuazione del disegno generale di rifondazione del rapporto fisco-contribuente, ipotizzava un concordato finalizzato ad “accettare e rispettare” una predeterminazione del reddito imponibile proposta dall’Agenzia delle
Entrate previa l’instaurazione di un effettivo contraddittorio; una predeterminazione, cioè, elaborata, da una parte, in coerenza coi dati
dichiarati utilizzando le banche dati e le nuove tecnologie a disposizione, dall’altra, sulla base degli indicatori sintetici di affidabilità dei soggetti cui si rendono applicabili. In questo seppur discutibile contesto normativo emergevano in qualche modo tre elementi essenziali del contraddittorio, e cioè la proposta, la discussione e l’accettazione; elementi che potevano superare i dubbi di costituzionalità che ho appena espresso e riportare il concordato
preventivo nel solco del rapporto-confronto fisco-contribuente. È accaduto però che, strada facendo, le già limitate occasioni di contraddittorio si sono sempre più ridotte e per certi versi annullate a
causa dell’applicazione di una disciplina sempre più automatizzata,
fondata esclusivamente su standardizzazioni per insiemi di classificazioni omogenee. È accaduto, cioè, che nella nuova regolazione del concordato la proposta dell’Agenzia delle Entrate è divenuta ormai solo un numero espresso da una procedura all’esito della compulsazione volontaria di un programma informatico da parte del contribuente.
L’aver omesso qualsiasi forma di un sostanziale
contraddittorio anticipato è venuto, dunque, a porsi in contrasto non tanto e soltanto con i principi enunciati nello Statuto dei Diritti del Contribuente (art. 6-bis), quanto con la tesi che la Corte costituzionale ha affermato con la sentenza n. 47 del 2023, e cioè che il contraddittorio deve essere definito come «espressione del principio
del giusto procedimento» e, dunque, annoverato tra i diritti del privato a fronte dell’esercizio del potere pubblico.
Ci si è così dimenticati che nel concordato, come in ogni altro caso, il contraddittorio dovrebbe perseguire lo scopo di “ottimizzare” l’azione di controllo fiscale ed essere per tale via strumentale «al buon andamento dell’Amministrazione finanziaria». Deve essere, cioè, un elemento essenziale del procedimento, un elemento che consente all’Amministrazione medesima di assicurare a se stessa la dimostrazione anticipata della correttezza delle risultanze della sua
attività, così da dare piena attuazione all’art. 97 della Costituzione. È la mancanza di un contraddittorio così inteso che dovrebbe portare a
ritenere che la nuova disciplina ha il grave effetto negativo, da una parte, di escludere la possibilità di una specifica “pesatura” del caso e, dall’altra, di consentire solo la verificabilità della correttezza
predittiva della riconduzione del caso medesimo alle classificazioni della nota metodologica.
“Nel contesto normativo che si sta come sopra profilando,-scrive ancora Gallo- ci si deve perciò domandare se la proposta di concordato dell’Agenzia così costruita possa ancora ricondursi legittimamente alla fase terminale di un procedimento amministrativo del caso singolo. E la
risposta che finora la maggior parte della dottrina ha dato è stata negativa. Si è fatto rilevare infatti che, secondo la nuova richiamata normativa, ogni contestazione da parte del contribuente di una siffatta proposta non può basarsi sulla mancata effettività della tassazione, ma deve rivolgersi solo ai vizi, alle incongruenze e, in generale, alle errate
valutazioni contenute nelle note metodologiche del caso di specie. Il che dà ragione a chi sostiene che stiamo entrando, quasi inavvertitamente, in una disciplina del contraddittorio che, più marcatamente di quella preesistente, è automatizzata e dovrebbe considerarsi compatibile col nostro stato di diritto e con le relative
garanzie costituzionali solo perché volontariamente (contrattualmente) accettata dal contribuente. Così ragionando, il concordato viene però ad iscriversi nella categoria degli atti negoziali di adesione (meglio, di acquiescenza) ad una base imponibile artificialmente sintetizzata e stimata solo in modo unilaterale dal Fisco, in contrasto perciò coi
fondamentali principi di congruità e di proporzionalità costituzionalmente garantiti. Potrebbe essere uno dei casi, forse il primo, in cui l’ottimizzazione dei costi dell’azione amministrativa e l’obiettivo della riduzione del contenzioso giustificano scelte sproporzionate, quanto preoccupanti, del legislatore che voglia farsi
forte delle potenzialità della tecnologia fuori da un’effettiva sostanziale dialettica con il contribuente e, quindi, anche fuori dal
contesto, negoziale o provvedimentale, su cui dovrebbe formarsi l’obbligazione tributaria”.
Quanto al rischio che il concordato diventi un condono surrettizio Gallo scrive: “la prima domanda cui si deve rispondere è la seguente: sulla base di quali elementi l’Agenzia delle
Entrate formula la proposta di definizione biennale della base imponibile? Il testo della legge delega e dei provvedimenti attuativi ci dice che tali elementi sono quelli frutto dell’utilizzazione delle banche dati e delle nuove tecnologie digitali a disposizione
dell’Agenzia. Il riferimento è evidentemente all’utilizzo sistematico della fatturazione elettronica, all’interoperabilità delle banche dati e
all’intelligenza artificiale, oltre che agli indicatori sintetici di affidabilità fiscale (ISA), introdotti nel 2018 in sostituzione degli studi di settore.
Il primo dubbio che viene al riguardo è se le informazioni massive acquisite attraverso queste nuove tecnologie digitali e utilizzate per determinare gli effetti del concordato siano, sempre e per definizione, sufficienti ad evitare che esso si trasformi in un vero e proprio condono preventivo sganciato dalla determinazione del
reddito effettivo. Il difetto di origine di questo sistema è, infatti, che esso presuppone una vera e propria contrattazione ex-ante del contribuente sulle tasse dovute nei due anni successivi, contrattazione che, in quanto atto volontario, viene da lui apprezzata e sottoscritta solo se gli permetterà di pagare meno e, comunque, non più di quanto normalmente pagherebbe. In altri termini, l’effetto è quello, negativo, di coprire o nascondere la sottrazione al tributo attraverso accordi su
parametri standardizzati di reddito e, perciò, di legalizzarla nella sostanza alla stregua di un condono e non di prevenirla.
Queste considerazioni mi portano ad essere d’accordo con coloro che, ragionando su questa lunghezza d’onda, hanno sostenuto
che dietro le parole “rottamazione”, “sanatoria”, “scudo”, “conciliazione”, “tregua fiscale”, “stralcio” e “ravvedimento operoso” usate per giustificare il concordato e il regime che gli fa da contorno si
nasconde, in termini di politica fiscale, un disegno più ampio diretto ad introdurre forme di perdono e condono surrettizio.
Insomma, conclude Gallo, la mia impressione è che il rischio maggiore dell’introduzione del concordato preventivo nei suddetti termini è la cristallizzazione della situazione attuale, caratterizzata da un forte
tasso di evasione e non la sua rimozione, la quale dovrebbe essere invece uno degli obiettivi indicati dal Pnrr”.
Gallo: il concordato preventivo biennale una sorta di condono surrettizio
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