Negli ultimi anni la discussione pubblica sulla giustizia fiscale in Italia si è spesso concentrata su singoli aspetti del prelievo, come l’aliquota Irpef, l’Iva o la tassazione degli immobili. Raramente, però, si è guardato al sistema nel suo complesso, cioè non alle aliquote “nominali”, ma al peso reale dell’imposizione sul reddito complessivo delle persone, considerando sia le imposte dirette sia quelle indirette, insieme ai contributi e ai redditi da capitale. Il recente rapporto dell’Eu Tax Observatory, pubblicato nel 2025 e rapidamente ripreso da stampa e televisioni, fornisce esattamente questo sguardo sistemico e comparato. Il risultato è sorprendente per l’opinione pubblica, ma coerente con una linea crescente di evidenze scientifiche: il sistema fiscale italiano, pur dichiaratamente progressivo, presenta caratteristiche di regressività nella parte più alta della distribuzione dei redditi.
Il documento mostra infatti che il carico fiscale effettivo – cioè la quota di reddito effettivamente prelevata da tutte le imposte – è abbastanza stabile e persino moderatamente progressivo per circa il 90% della popolazione, ma si riduce in modo significativo per il top 7% e in modo ancora più marcato per l’1% più ricco. Per quest’ultima fascia, l’aliquota effettiva media scende infatti al di sotto della media nazionale, attestandosi attorno a valori dell’ordine del 32-33%, mentre per la maggioranza dei contribuenti si aggira vicino al 50%. Ciò significa, in sintesi, che chi è più ricco paga, in proporzione al proprio reddito complessivo, meno di chi si colloca nella fascia medio-alta dei redditi da lavoro.
Questo dato appare a prima vista controintuitivo, poiché l’Irpef – l’imposta personale sul reddito – è formalmente progressiva: chi guadagna di più, paga aliquote più alte. Tuttavia, il rapporto mette in evidenza un aspetto decisivo: le fasce più ricche non derivano la maggior parte del loro reddito dal lavoro, ma dal capitale. Si tratta di dividendi, plusvalenze, redditi societari, rendite patrimoniali, profitti da partecipazioni e, in molti casi, redditi finanziari allocati attraverso strutture societarie o veicoli di gestione patrimoniale. Questi redditi, a differenza del lavoro, non sono sottoposti a IRPEF progressiva, ma a regimi proporzionali, spesso denominati “cedolari”, cioè con aliquote fisse e sostitutive. Inoltre, molti di questi redditi possono essere differiti nel tempo, oppure trasformati da reddito corrente in plusvalenza, riducendo ulteriormente il prelievo effettivo.
Questa diagnosi non nasce dal nulla. Il rapporto dell’EU Tax Observatory conferma e rafforza una serie di studi che, a partire dagli anni Duemila, hanno lentamente ricostruito la struttura distributiva del reddito e della ricchezza in Italia. Il World Inequality Lab, guidato da Thomas Piketty, Emmanuel Saez, Gabriel Zucman e collaboratori, ha mostrato come, dagli anni Ottanta in poi, la quota di reddito del top 1% sia cresciuta e come la ricchezza si sia progressivamente concentrata.
Ancora più rilevante è lo studio congiunto tra World Inequality Lab e Scuola Superiore Sant’Anna, pubblicato nel 2024, che ha ricostruito non solo il reddito dichiarato, ma anche quello ricavabile da patrimoni e rendimenti. Questo studio ha mostrato che il rendimento medio del capitale è molto più alto tra i più ricchi (attorno al 5% nel top 10%) rispetto alla popolazione generale (circa 2,5% nel bottom 90%). Ciò significa che chi possiede capitali tende a vederli crescere più velocemente di chi vive principalmente di reddito da lavoro.
A queste analisi si aggiungono gli avvertimenti dell’Ocse, che negli ultimi anni ha messo in luce il peso relativamente elevato dell’imposizione sul lavoro rispetto alla media europea, insieme alla debolezza della tassazione patrimoniale e della tassazione sulle successioni. La Banca d’Italia, dal canto suo, ha più volte mostrato che la distribuzione della ricchezza in Italia è notevolmente più diseguale della distribuzione dei redditi, e che questa diseguaglianza patrimoniale ha effetti diretti sulle opportunità sociali, sulla mobilità intergenerazionale e sulla struttura produttiva.
Il nuovo rapporto dell’EU Tax Observatory si colloca dunque in continuità con questa tradizione di ricerca, ma le conferisce una forza politica nuova, perché mostra in modo grafico e comparato la “curva della regressività” nella parte alta della distribuzione. Non più solo una questione astratta o accademica, ma una forma di ingiustizia fiscale documentata con dati omogenei, comparabili e verificabili.
L’importanza di questo risultato va oltre la questione tecnica. Esso riapre il senso originario dell’articolo 53 della Costituzione, secondo cui “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva” e “il sistema tributario è informato a criteri di progressività”. La progressività non è un dettaglio amministrativo, ma una garanzia di coesione democratica: serve a evitare che la ricchezza si concentri nelle mani di pochi e che il peso delle spese pubbliche ricada sproporzionatamente sulle fasce medio-basse.
Il rapporto non indica una sola ricetta, ma suggerisce direzioni possibili per una riforma coerente:
riunificare, almeno in parte, il trattamento dei redditi da capitale con l’imposta personale progressiva;
rafforzare la tassazione delle plusvalenze realizzate e non solo dei redditi ordinari;
ridurre il carico sul lavoro, compensandolo con una maggiore tassazione sui grandi patrimoni, sulle rendite e sulle successioni elevate.
Si può discutere sulle modalità, sulle soglie e sulle gradualità, ma un punto appare oggi chiaro più di ieri: un sistema fiscale che diventa regressivo ai vertici non è sostenibile né equo. Il rapporto dell’EU Tax Observatory porta nel dibattito italiano una chiarezza nuova. Non si tratta di dichiarare battaglie ideologiche, ma di guardare i numeri così come sono. Se l’obiettivo è mantenere un patto sociale fondato sulla reciprocità e sulla solidarietà, la questione della giustizia fiscale torna al centro non come tecnicismo, ma come cuore stesso della democrazia economica.
RAPPORTO UE REGRESSIVITA FISCALE.docx
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