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venerdì 24 Ottobre 2025
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Irpef, l’importanza degli aspetti organizzativi nella riforma, il ruolo dell’Agenzia

Nel suo discorso d’insediamento, il Presidente del Consiglio, Mario Draghi, in merito alla prossima riforma fiscale ha fatto riferimento all’esperienza danese sottolineandone il modo di procedere, attraverso una commissione di esperti, e illustrando le linee guida elaborate da questa commissione che hanno poi determinato il nuovo sistema impositivo e le regole alla sua base. Non ha fatto, tuttavia, riferimento alcuno a quelle raccomandazioni d’indirizzo tecnico-organizzativo e gestionale che pure sono state messe a punto dalla commissione danese come presupposto indispensabile per la buona riuscita, dal punto di vista pratico, della riforma. Probabilmente, vista la situazione del contesto in cui attualmente con fatica si muove in Italia la relazione fisco contribuente, in particolare in merito all’imposta più diffusa, l’Irpef, questo accenno sarebbe stato auspicabile ed assai utile.

Come in genere avviene in tutti paesi ad economia avanzata, anche la commissione danese ha delineato i presupposti, l’ambito organizzativo, in cui la riforma avrebbe dovuto muoversi: radicale riduzione, meglio abolizione, degli adempimenti fiscali, dichiarazioni e pagamenti, dei contribuenti più comuni (lavoratori dipendenti e pensionati); compressione massima delle risorse economiche, impiegate dalla struttura pubblica, l’agenzia delle entrate, per la gestione del rapporto con il contribuente; gestione diretta di questo rapporto, senza intermediazione, come servizio; utilizzo per la gestione dei dati utili nella illustrazione del rapporto di due canali informativi esterni, datori di lavoro e banche.   

Ovviamente per rendere operativi questi presupposti era necessario che le regole formali, alla base del calcolo dell’imposta, fossero tali da consentire la loro attuabilità. Sta di fatto che in Danimarca l’obbligo dichiarativo per i contribuenti più comuni è una semplice e banale formalità che non vede impegnati nel riscontro delle informazioni dichiarative milioni di contribuenti, decine di migliaia di intermediari e miliardi di documenti cartacei da controllare, scannerizzare e fotocopiare. Un costo sociale altissimo in Italia e praticamente nullo in Danimarca. 

Per comprendere il valore e l’importanza di quanto precedentemente affermato è sufficiente fare riferimento a quanto sta accadendo da noi nella dichiarazione del 2021 (redditi 2020) con le spese mediche (consulta il precedente articolo “Dichiarazione precompilata: complessità e inutilità delle norme azzoppano l’efficacia”) dove milioni di contribuenti sono alle prese e alla disperata ricerca della documentazione che certifica il metodo di pagamento non in contanti per i servizi forniti da strutture sanitarie private. La tracciatura è sicuramente utile per il contrasto all’evasione ma in questo caso non è che un’ulteriore complicazione della vita del contribuente in quanto l’amministrazione finanziaria già possiede tutti i dati relativi alla spesa, dalla partita Iva di chi l’ha ricevuta fino e perfino al numero di fattura e/o di ricevuta di chi l’ha emessa. 

Questa modalità di gestire il rapporto con il contribuente, inutile ai fini della lotta all’evasione e nei fatti demagogica, in un altro paese, economicamente comparabile con il nostro avrebbe trovato una ferrea opposizione da parte dell’organo dell’amministrazione pubblica chiamato a gestirla. Ciò in Italia non è avvenuto e questo dovrebbe far riflettere sulla mancanza di autonomia decisionale degli organi operativi della nostra Pubblica Amministrazione. È quindi auspicabile che nella prossima riforma fiscale si tenga conto anche di questi aspetti per impostare regole semplici da applicare e che consentano al contribuente comune di presentare la propria dichiarazione senza ricorrere all’intermediazione che non aggiunge alcun valore al processo.

Da questo punto di vista, oggi la tecnologia, almeno per i contribuenti più comuni, i dipendenti e i pensionati, offre l’opportunità all’Agenzia delle entrate e al suo sistema informativo di riappropriarsi di processi negli anni esternalizzati ad altri soggetti come i datori di lavoro o gli enti pensionistici e di semplificare drasticamente la vita del contribuente, evitando di gravare sui costi per la gestione del personale delle imprese. La chiave di volta di questo cambiamento, per molti aspetti epocale, è costituita dall’identità digitale e dal suo attributo bancario (l’Iban) ormai da tutti utilizzato per la riscossione dello stipendio o della rata di pensione, per il pagamento dei servizi (telefono, luce, gas, ecc.) o per altri rapporti con la Pubblica amministrazione, come l’accredito del Cashback

Si tratterebbe di prelevare il dovuto, la ritenuta d’acconto fiscale, all’atto dell’accredito in banca della somma mensile da parte del datore di lavoro o dell’ente pensionistico. In questo modo la storia fiscale del soggetto nell’anno si trasferirebbe all’interno del sistema informativo dell’Agenzia delle entrate che potrebbe a fine periodo conguagliare la sua posizione anche relativa a più soggetti eroganti (datori di lavoro o enti pensionistici). Il colloquio con il fisco non transiterebbe più attraverso un soggetto esterno il datore di lavoro ma si svolgerebbe direttamente con l’Agenzia a cui andrebbero comunicate da parte del contribuente tutte quelle informazioni utili a completare i dati relativi alla sua posizione. Per il datore di lavoro e per l’ente pensionistico si ridurrebbero sensibilmente le spese per gestire la posizione fiscale del dipendente o del pensionato.

Certo tutto ciò richiederebbe una drastica riduzione del numero esorbitante di agevolazioni attualmente esistenti. Ma forse se si vuole veramente semplificare il sistema sarebbe necessario intervenire più sulle aliquote, abbassando il carico fiscale di tutti, che perdersi in una miriade di sconti fiscali che coprono a pioggia tutti i settori soprattutto quelli lobbisticamente più potenti che sfruttano tra i parlamentari il peso dei loro voti. 

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