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martedì 17 Giugno 2025
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Irpef, quel ‘pasticciaccio brutto’ del documento della commissione d’indagine

Leggendo il documento conclusivo della “Commissione sull’indagine conoscitiva sulla riforma dell’Imposta sul reddito delle persone fisiche e altri aspetti del sistema” l’indicazione più importante che si rileva è che tra tassazione e sviluppo economico c’è uno stretto legame d’inversa proporzionalità nel senso che maggiori sono le entrate fiscali e minore è lo sviluppo economico. L’obiettivo del documento, pertanto, sembra quello di sfrondare, ridurre o eliminare tutte le imposte esistenti. Una impostazione che suscita forti perplessità in quanto con le entrate fiscali si finanziano i servizi comuni e in quest’epoca di pandemia lascia abbastanza disorientati che una priorità del documento sia l’eliminazione dell’Irap, la principale entrata che sostiene la nostra sanità pubblica. Nel documento non c’è il minimo accenno allo stretto legame fra entrate e servizi pubblici di qualità. Quei servizi a cui alludeva l’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa nella celebre frase ‘Le tasse sono bellissime. Un modo civilissimo di contribuire insieme al pagamento di servizi indispensabili’. Il motto del documento sembra l’esatto contrario e può essere sintetizzato in ‘è bello ridurre o eliminare qualsiasi tipo di tassa o balzello fiscale’. D’altra parte quando la politica sceglie di ignorare il legame tra imposizione e servizi alla collettività tutto diventa possibile. Anche proporre l’eliminazione di una imposta che cifra un gettito significativo senza indicare come sostituire le entrate.

Anche dal punto di vista di come riformare l’attività di finanza pubblica e su quali tipi d’imposta fissare l’attenzione il documento è molto confuso, contraddittorio e carente e non traccia le principali linee d’indirizzo da seguire per impostare una riforma degna di questo nome come lo fu quella del 1973. Si tratta, piuttosto, d’un elenco d’interventi parziali che abbozzano un “ridisegno dell’IRPEF”, il “superamento dell’IRAP”, la “semplificazione dell’IRES” e “il fisco della transizione ecologica”. In particolare, per quanto riguarda l’IRPEF, oltre all’ovvio auspicio che la progressività si applichi con le aliquote e non con le detrazioni/deduzioni decrescenti al crescere del reddito, si mantengono in vita tutte quelle scappatoie in cui l’imposta è determinata con un’aliquota fissa e sfugge alla progressività, le cosiddette cedolari (immobili in affitto, attività economiche con ricavi inferiori ai 65.000 €, ecc.) e si accenna all’introduzione di ulteriori e costose agevolazioni (minimo esente per tutti, imposta ridotta per i coniugi giovani, prolungamento dell’agevolazione per almeno un biennio dal superamento dei 65.000 € di ricavi per chi esercita un’attività economica, abolizione/riduzione della ritenuta d’acconto per il lavoro autonomo). In merito al contrasto all’evasione si ribadisce l’ovvietà che la tracciatura digitale delle transazioni aumenta l’adesione spontanea all’obbligo e si fa riferimento ad un ennesimo e indefinito patto con il contribuente ma non si accenna minimamente ad un impiego proficuo della “montagna” di dati attualmente disponile nel sistema informativo dell’Agenzia delle entrate; ricchezza d’informazioni che potrebbe essere utilizzata, come avviene in gran parte delle amministrazioni fiscali estere dei paesi economicamente avanzati, in fase preventiva, nella precompilazione della dichiarazione.  

Altra carenza significativa del documento riguarda l’assenza di indicazioni tecnico organizzative su come agevolare il contribuente nell’adempimento degli obblighi fiscali ad esclusione di una agevolazione che rateizza i versamenti IRPEF di chi esercita un’attività economica. In ambito semplificazione il documento si limita a promuovere una riorganizzazione del groviglio normativo esistente e non va oltre senza delineare specifiche azioni procedurali che accompagnino in concreto il riaccorpamento delle leggi fiscali in Testi unici. Dal punto di vista tecnico-organizzativo la riforma del 1973 si basava su presupposti, come l’autotassazione, l’autoliquidazione dell’imposta, il sostituto d’imposta, ecc. che ne garantivano l’attuazione sia da parte dell’amministrazione che da parte del contribuente. Questa problematica gestionale non è neanche sfiorata dal documento, eppure è una delle maggiori criticità del nostro sistema; basti pensare che ogni anno circa venti milioni di contribuenti, lavoratori dipendenti e pensionati, sono costretti al rito della dichiarazione, supportati da decine di migliaia di assistenti, in parte pagati dallo stato stesso, perdendo ore ed ore, anche di lavoro, per decifrare la validità della documentazione, fotocopiando e scannerizzando centinaia di milioni di documenti. Un costo sociale inaccettabile e completamente sconosciuto nei Paesi esteri comparabili con il nostro. 

In conclusione, il documento non fornisce le indicazioni necessarie per procedere ad una riforma organizzata ma è figlio d’un parlamento che ha come obiettivo prioritario quello di aumentare il consenso in termini di voti, elargendo a dritta e a manca agevolazioni, e per di più senza porsi minimamente il problema di come reperire le risorse per concedere tali agevolazioni senza intaccare e peggiorare la qualità dei servizi erogati dallo Stato. A questo punto c’è solo da sperare che nella messa a punto della legge delega il governo promuova autonomamente un disegno organico di riforma, eliminando non le imposte ma le iniquità come i regimi speciali ad aliquota piatta, garantendo la progressività, utilizzando al meglio le basi informative esistenti, semplificando gli aspetti procedurali degli adempimenti, a costo zero, con l’abolizione di tutte quelle agevolazioni settoriali che producono solo carta e favoriscono pochi contribuenti.

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