Dopo una prima fase caratterizzata dall’emergenza e dalle soluzioni eccezionali è oggi possibile esaminare
con più attenzione gli effetti della pandemia sulla nostra Pubblica Amministrazione e tracciare un bilancio di
ciò che è successo e di ciò che potrebbe succedere nell’immediato futuro.
Cominciamo dicendo che tutto il nostro sistema di regole e organizzazione dei servizi pubblici non aveva
minimamente al proprio interno le contromisure per fronteggiare l’emergenza dovuta alla diffusione del
Covid 19. Le tipiche rigidità del pubblico impiego si conciliano malissimo con eventi imprevisti come quello
che stiamo ancora affrontando. Come peraltro è successo in altri Paesi, si è così messo mano a un ampio
sistema di deroghe normative per fronteggiare la situazione. A cominciare dal lavoro a distanza. L’apparato
giuridico inizialmente previsto per disciplinare lo smart working nella nostra Pa era assolutamente troppo
complesso e articolato per reggere all’urto della pandemia. Solo con una deroga in grado di superare i lenti
riti della contrattualistica collettiva è stato possibile far lavorare da casa milioni di dipendenti pubblici.
L’effetto è stato duplice: si sono fortemente accelerate istanze che si stavano cominciando timidamente ad
affacciare nel mondo del pubblico impiego ma in modo difforme tra amministrazioni e con un pesante
costo per la collettività in termini di mancata erogazione dei servizi tradizionali. Lavoro a distanza e offerta
dei servizi digitali sono stati e saranno le due facce della stessa medaglia. Chi è riuscito a coniugare il lavoro
a distanza con l’erogazione di nuovi servi digitali è stato in grado di mantenere un buon livello di
performance, chi non aveva una minima struttura di base per gestire il binomio lavoro a distanza –
digitalizzazione ha per lunghi mesi solo erogato un sussidio a chi era impossibilitato a svolgere una
prestazione lavorativa.
Differenze rilevanti che hanno posto in evidenza come sia assolutamente anacronistico continuare a
insistere con una visione grettamente “organicistica” della pubblica amministrazione. L’idea che si possa
gestire sotto un’unica bandiera e con le medesime logiche il lavoro dei medici e del personale sanitario
pubblico e quello degli insegnati o del personale degli enti locali non ha ormai più alcun fondamento. La
pandemia ha solo messo drammaticamente in evidenza quello che molti in questi anni non hanno voluto
vedere. Un’idea unica di funzione pubblica serve solo ad appiattire tutti su posizioni al ribasso, a garantire
la sopravvivenza di una inutile sovrastruttura autoreferenziata, con una duplicazione di centri decisionali,
ipersindacalizzazione e costi ingiustificati senza alcun beneficio in termini di servizi erogati alla collettività.
Le singole pubbliche amministrazioni, invece, hanno solo bisogno di comprendere appieno la loro missione
istituzionale e di interpretarla con forza e coraggio, di trovare soluzioni organizzative innovative che
consentano di conciliare il lavoro a distanza con i servizi da erogare, nell’ambito di un quadro regolatorio
che spinga verso la responsabilizzazione, il merito, la professionalizzazione del personale, l’introduzione di
nuove competenze digitali, nuovi percorsi di carriera e un modello retributivo correlato proprio alle
competenze a alla qualità percepita dei servizi.
A fronte di questi bisogni, chi decide sulle sorti del pubblico impiego continua a spingere per una forte
omogeneizzazione delle regole, dalle assunzioni alle remunerazioni, con una spiccata propensione a
mantenere in vita vecchie garanzie e complessi processi di concertazione sindacale in grado di tutelare oggi
solo chi conserva una visione puramente assistenzialistica della pubblica amministrazione.
L’attuale pubblico impiego è assolutamente incapace di cogliere queste nuove sfide e di stimolare un
profondo cambiamento nella direzione auspicata. La pandemia ci ha regalato la plastica rappresentazione
di una Pubblica Amministrazione che passa nel giro di pochi mesi dall’introduzione dei sistemi biometrici
per rilevare la presenza al lavoro a distanza generalizzato. Con questi presupposti non si va da nessuna
parte mentre le politiche di intervento della fase post-pandemica impongono un cambio di passo proprio
alle Amministrazioni che devono gestire la ripartenza. Serve dunque un cambio radicale di approccio,
basato sulla valorizzazione e sull’autonomia delle singole amministrazioni, abbandonando miti e riti che
ormai appartengono a un passato che non c’è più.
Pa: utilizzare l’emergenza Covid per una riforma radicale
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