Di Vincenzo Visco
Il dibattito in corso sulle tasse è chiaramente viziato da inconsapevolezza, propaganda e demagogia. È opportuno riportarlo — come si dice — con i piedi per terra. Negli ultimi 20-25 anni la distribuzione del reddito in Italia e negli altri Paesi sviluppati è fortemente cambiata: i redditi da lavoro si sono ridotti dal 60-65% del passato a circa il 50% del valore aggiunto. Con sistemi tributari fondati sull’imposta sul reddito e i contributi sociali ciò ha provocato una situazione di stress fiscale ed effetti redistributivi perversi.
L’incidenza complessiva di tutte le imposte sulle famiglie negli anni ’70 del ‘900 risultava regressiva per i redditi più bassi, tendenzialmente proporzionale per le classi centrali e fortemente progressiva per classi di reddito più elevate. Ora la situazione si è capovolta. Secondo uno studio recente di ricercatori dell’Università di Pisa e di Milano la situazione attuale in Italia presenta un forte progressività in basso, una lievissima progressività nella parte centrale della distribuzione e un forte regressività per i “ricchi”.
Ciò è l’effetto delle riforme che hanno caratterizzato il periodo del neoliberismo: forte riduzione delle aliquote più elevate delle imposte personali, dimezzamento delle imposte sulle società, ampie possibilità di elusione per le imprese, soprattutto multinazionali, trattamento privilegiato delle retribuzioni dei manager, ammortamenti accelerati, patent box, e altri strumenti analoghi di detassazione, riacquisto di azioni proprie che creano plusvalenze o non tassate, o detassate, ecc. In altre parole, esiste oggi un problema di tassazione dei “ricchi”. Nessuno può negarlo.
Se appare impossibile, o molto difficile, ritornare alle normative fiscali più equilibrate del passto, l’idea di una imposta patrimoniale sui “ricchi” veri, appare come uno strumento imperfetto e impreciso per ottenere un riequilibrio della tassazione, ma del tutto ragionevole, sempre che fosse limitato ai veri grandi “ricchi, e usato essenzialmente a fini perequativi, e non per fare semplicemente gettito. Resterebbe comunque il compito, non facile, di determinare, accertare e riscuotere l’imposta.
Occorre poi essere consapevoli che a fini distributivi il contributo dei sistemi fiscali non può che essere limitato anche se non trascurabile, dato che con pressioni fiscali superiori al 40% è inevitabile che le imposte (non si tratta naturalmente solo dell’Irpef) gravino in misura sostanziale anche sui contribuenti con redditi limitati.
La vera redistribuzione nei nostri Paesi è in realtà determinata dal sistema di welfare, che ha effetti molto potenti: sanità, istruzione, previdenza, sostegno dei redditi familiari, sollievo della povertà, politiche abitative e per la piena occupazione, ecc. Perciò il welfare va difeso e rafforzato, e i ricchi devono contribuire a questo sforzo.
Sono inoltre essenziali politiche pre-distributive: rafforzamento del potere sindacale, sistemi contrattuali efficienti, salario minimo, nuove normative sui brevetti e sui diritti di immagine, stimolo della concorrenza, riduzione di tutte le forme di sussidi e trasferimenti non necessari a imprese e famiglie, scissione delle grandi imprese monopolistiche, ecc. Non tutte queste politiche, purtroppo, sono realizzabili a livello nazionale.
Per quanto riguarda il sistema fiscale italiano, sarebbe necessaria la riforma del catasto, una riforma dell’imposta di successione che, senza penalizzare i ceti medi, incentivasse a redistribuire volontariamente il patrimonio anche fuori della cerchia familiare. Ma soprattutto sarebbe indispensabile rivedere radicalmente il sistema attuale per ripristinare una sostanziale parità di trattamento tra contribuenti con lo stesso reddito oggi inesistente, superando la incivile corporativizzazione che si è prodotta negli ultimi anni, operazione che potrebbe fornire risorse molto consistenti da utilizzare per ridurre le imposte dei “tartassati”. Infine sarebbe necessario un contrasto deciso all’evasione che, con le attuali tecnologie disponibili, sarebbe del tutto possibile e praticabile con successo.
Se si vuole discutere seriamente, azzeriamo tutto e ricominciamo a ragionare, da capo.
Ci vorrebbe una sostanziale parità di trattamento tra contribuenti con lo stesso reddito oggi inesistente superando la corporativizzazione “.












