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venerdì 24 Ottobre 2025
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Thomas Piketty, la tassazione progressiva stimola l’aumento della produttività

Mentre in Italia fervono incontri e dibattiti sulla riforma dell’Irpef per valorizzarne la funzione redistributiva sancita dalla Carta costituzionale, il tema della progressività della tassazione viene rilanciato da Thomas Piketty, autore di “Il Capitale del XXI secolo”, studio approfondito sull’andamento dell’economia e delle diseguaglianze, e special guest del Festival dell’Economia svoltosi a Trento dal 3 al 6 giugno. Partendo dalla constatazione che livelli alti di tassazione servono allo Stato non solo per regolare processi
sociali ed investire in settori chiave come la sanità e l’istruzione ma anche per rilanciare la produttività, l’economista francese ha ripercorso l’evoluzione della fiscalità delle democrazie occidentali a cavallo tra il XIX° ed il XXI° secolo. A base della teoria di Piketty è il ruolo svolto dalla progressività fiscale nella costruzione dello Stato sociale e del successo e dell’affermazione delle maggiori economie europee e degli Usa. Basti osservare, suggerisce Piketty, l’aumento progressivo della percentuale delle entrate fiscali destinato dalle economie europee (tra cui Francia, Germania e Regno Unito) al perseguimento di scopi di carattere sociale nell’arco temporale che va dal 1870 al 2015.
Tra il 1870 e il 1910 le entrate tributarie non superavano il 10% delle entrate nazionali complessive e di esse solo una percentuale irrisoria (0,1%) viene destinata all’istruzione, costituendo gli investimenti nelle forze armate e nell’ordine pubblico la maggiore voce di spesa. Solo a partire dagli anni ’20 si registra una significativa incidenza della spesa “sociale”: le entrate fiscali cominciano a costituire una fetta importante del bilancio statale ed anche una importante fonte di finanziamento delle spese per i sussidi alla disoccupazione e per l’investimento in sanità ed istruzione. Nel 2015 le entrate fiscali rappresentano quasi il 50% delle entrate delle democrazie europee. Di esse il 10% viene speso per la realizzazione di infrastrutture, amministrazione della giustizia, difesa e polizia (cd. “regalian expenditures”) mentre circa il 47% viene destinato alla spesa sociale. L’effetto moltiplicatore è evidente: l’aumento delle entrate fiscali e il correlato aumento della loro destinazione alla spesa sociale ha consentito in Europa la costruzione di un modello che ha funzionato bene ed ha permesso l’accesso generalizzato all’istruzione e all’assistenza sanitaria e al più ampio utilizzo degli ammortizzatori sociali. Con il rimarchevole risultato, segnala Piketty, di una sensibile riduzione delle diseguaglianze e della conflittualità sociale.
Rileva, inoltre, l’economista francese che il descritto aumento dei livelli di tassazione non ha comportato frizioni sociali significative: non solo perché diluito nel tempo ma soprattutto perché percepito dalla collettività come necessario ed opportuno a fronte della correlata crescita dei livelli di spesa sociale. Ciò segna, a parere di Piketty, l’importanza di un ritorno effettivo alla progressività dell’imposizione. Tema, a suo avviso, sempre più diluito considerata la tassazione di estremo favore dei flussi di capitale e la
incapacità dei governi di stabilire per multinazionali e giganti del web forme di tassazione parametrate agli effettivi guadagni. A dimostrazione che elevati livelli di tassazione non bloccano la crescita economica, Piketty riporta l’esperienza statunitense della prima metà del XX° secolo nel corso del quale l’applicazione, tra il 1930 e il 1980, di una aliquota marginale stabilmente sopra il 70% non compromise affatto la crescita e la affermazione del sistema capitalistico. Al contrario: furono registrati alti livelli di produttività e le maggiori entrate erariali consentirono al governo Usa robusti investimenti nella spesa sociale. Per contro, l’abbandono delle politiche fiscali ispirate alla progressività voluto dall’amministrazione Reagan a partire dagli anni ’80 – in base all’assunto che la riduzione dei livelli di tassazione avrebbe potenziato la crescita economica e stimolato la produttività in previsione dei maggiori guadagni assicurati agli imprenditori stanchi di lavorare ed essere tassati così duramente – condusse a risultati diametralmente opposti. Il tasso di crescita dell’economia Usa crebbe, difatti, solo dell’1% rispetto alla crescita del 2,2%
sperimentata negli anni ’50.
La motivazione, secondo Piketty, sarebbe da ricercare nella stagnazione degli investimenti per l’istruzione che negli Usa è ferma dagli anni ’80. Ma, a prescindere dalla spiegazione, ciò che è accaduto negli Usa dimostra, ritiene Piketty, che riducendo la tassazione dei “ricchi” non si stimola la crescita economica ma si creano diseguaglianze e conflitti. La progressività della tassazione sembrerebbe restare la ricetta più efficace per uno Stato che si ponga come obiettivo fondamentale delle proprie politiche una crescita equa, sostenibile e, soprattutto, inclusiva. L’intervento di Piketty si chiude con un assist alla proposta di Enrico Letta circa la introduzione di una tassa sulle eredità dei patrimoni più consistenti. La proposta dell’economista francese guarda, però, più lontano strutturandosi non come tassa una tantum ma su base annuale la cui finalità, analogamente alla proposta del segretario del Pd, è assicurare una dote ai giovani ma di importo ben superiore ai 10 mila euro.

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