di Radar
Venerdì 23 settembre il Consiglio di Stato ha sospeso l’ennesimo concorso dell’Agenzia delle Entrate per l’accesso alla dirigenza. A distanza di 18 mesi dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato illegittimi circa 600 incarichi dirigenziali conferiti dal 2001 ai funzionari dell’Agenzia, non passa settimana che un tribunale, civile o amministrativo, non si pronunci sulla legittimità delle procedure selettive adottate dall’Agenzia o sui diritti dei funzionari il cui incarico è stato repentinamente revocato a seguito della stessa sentenza. Una lunga contesa dalle alterne vicende che finora ha avvelenato gli animi, diviso l’organizzazione al suo interno, demotivato tutti e sortito un unico grande effetto: la struttura organizzativa posta al centro della fiscalità del nostro Paese, con quasi 40mila dipendenti, funziona oggi con un dirigente ogni circa 150 funzionari. Oltre ai pochi dirigenti rimasti, a tenere però in piedi (o, meglio, “in ginocchio”) la struttura sono circa 700 posizioni organizzative; funzionari a cui è attribuito un livello intermedio di responsabilità che in pratica svolgono, a tempo, gli stessi compiti assegnati ai dirigenti ma con una retribuzione notevolmente più bassa. Di questi, circa 400 posizioni organizzative (c.d. POT) cesseranno a fine anno, perché creati con una norma ad hoc (DL 78/2015) solo per il tempo necessario a completare i concorsi per l’accesso alla dirigenza. Gli stessi concorsi bocciati dai tribunali ammnistrativi.
Se non fosse tutto vero, verrebbe da sorridere. L’organizzazione da cui dipende una buona fetta delle misure che il governo si appresta a varare nel Documento di economia e finanza, a cominciare dalla nuova voluntary disclosure, e gli incassi della lotta all’evasione, è affidata al buon senso e alla responsabilità di un gruppo di funzionari che oggi opera in assoluta mancanza di prospettive professionali, in balia delle alterne vicende giudiziarie, senza un minimo quadro di riferimento su quali siano le politiche del personale e della dirigenza che l’Agenzia può e intende adottare per il futuro.
Una situazione su cui si sono inequivocabilmente pronunciati l’OCSE e il Fondo Monetario, evidenziando i limiti del quadro normativo, i gravi pericoli per il funzionamento di tutta la macchina amministrativa e indicando nell’autonomia delle agenzie e nella loro riforma la via maestra per ridare forza e vigore al modello organizzativo. A determinare questa pericolosa situazione è stata proprio l’incapacità dei vari attori in campo di cogliere il senso di questa profonda crisi. In un sistema che non conosce (e che penalizza) qualunque modello organizzativo diverso da quello ministeriale, le vicende giudiziarie che hanno visto il continuo blocco delle procedure di accesso alla dirigenza sono il risultato dell’impossibilità di adeguare le rigide regole del concorso pubblico alle esigenze organizzative delle agenzie. Il tema dell’accesso alla dirigenza nelle agenzie fiscali è rimasto purtroppo affidato all’analisi dei formalismi giuridici e alle chiacchiere da talk show senza un reale approfondimento degli aspetti che più dovrebbero interessare i cittadini-contribuenti: come si seleziona la classe dirigente in un’organizzazione autonoma, fortemente operativa, con un alto tasso di conoscenze tecniche specifiche? Quali sono i metodi che consentono di individuare dirigenti in grado di unire conoscenze tecniche a doti manageriali? Come si coniuga la crescita professionale con l’acquisizione di maggiori responsabilità in un’organizzazione che in dieci anni ha assunto migliaia di funzionari con un alto livello di conoscenze tecniche? Per risolvere una matassa ormai estremamente ingarbugliata bisogna partire proprio dalla risposta a queste domande con lo sguardo però rivolto all’evoluzione del mondo della fiscalità e alle migliori pratiche internazionali, senza restare prigionieri di vecchi schemi ormai superati e incompatibili con una moderna amministrazione finanziaria. In Europa e nel mondo le agenzie fiscali autonome attuano politiche di sviluppo professionale basandosi su modelli di competenze analoghi a quelli che l’Agenzia delle Entrate ha utilizzato fino a qualche anno fa. Hanno percorsi di carriere e selezionano dal proprio interno gran parte della classe dirigente. Il tempo per queste riflessioni però comincia a essere davvero poco. Senza un deciso intervento le agenzie fiscali rischiano ormai il collasso con gravissimo danno alla collettività, al sistema Paese e alla credibilità delle nostre politiche di riforma.













