Oggi il grande calciatore avrebbe potuto tranquillamente passeggiare tra i suoi tifosi nelle strade di Napoli e vivere e fare affari in Italia, senza il timore di essere fermato per evasione fiscale. Con ordinanza dell’11 marzo, 2021, n. 6854, la Corte di Cassazione, sez. 5, ha di fatto messo la parola fine alle disavventure fiscali di Maradona, accettando la tesi che il condono effettuato dal Calcio Napoli in qualità di sostituto d’imposta estende i suoi effetti anche a Maradona. Diversamente si sarebbe concretizzata l’ipotesi di una doppia imposizione sullo stesso imponibile. Della decisione della Suprema Corte ne potranno ovviamente beneficiare gli eredi del Pibe de oro.
I Fatti. Nel 1991 l’Agenzia delle Entrate, all’epoca l’Ufficio distrettuale delle imposte dirette di Napoli, emetteva sei avvisi di accertamento nei confronti di Diego Armando Maradona e della Società Sportiva Calcio Napoli, quest’ultima quale sostituto d’imposta, per gli anni 1985, 1986, 1987, 1988, 1989, 1990, quattro avvisi (1987, 1988, 1989 e 1990) nei confronti di De
Olivera Filho Antonio ‘Careca’ e due avvisi (1989 e 1990) nei confronti di De Brito Ricardo Rogerio ‘Alemao’. In particolare l’Amministrazione finanziaria sosteneva che la Societa’ sportiva avesse pagato in nero parte dei compensi dei tre giocatori,
utilizzando fittiziamente alcune societa’ estere, che si occupavano della gestione dei diritti pubblicitari degli atleti. La societa’ di calcio aveva acquistato una quota percentuale rilevante dei futuri proventi di tali diritti, ma nel corso degli anni non aveva mai ricevuto nessuna somma dalle società straniere che si occupavano di diritti pubblicitari dei tre calciatori. I verificatori avevano ritenuto che l’acquisto di una percentuale dei predetti diritti, in realtà, celasse dei pagamenti in nero di parte dei compensi
per le prestazioni dei calciatori da parte della Società sportiva. La Societa’ Sportiva Calcio Napoli non aveva, però, operato le
ritenute di legge su tali maggiori somme versate a titolo di compensi in nero ai calciatori, da ciò gli avvisi di accertamento emessi nei confronti della societa’ quale datore di lavoro e sostituto d’imposta. Nello stesso tempo nei confronti dei calciatori venivano emessi gli avvisi di accertamento per i compensi in nero, qualificati come redditi di lavoro dipendente, sui quali avrebbero dovuto comunque pagare le imposte.
Tutti gli avvisi di accertamento venivano impugnati dagli interessati tranne quelli emessi nei confronti di Maradona, il cui importo complessivo ammontava, tra maggiori imposte accertate e sanzioni, a circa 40 miliardi di lire. Nei suoi confronti nel corso degli anni venivano notificati anche alcuni avvisi di mora, con i quali il Fisco chiedeva al calciatore di pagare le somme iscritte a ruolo a seguito degli accertamenti non impugnati. In particolare gli venivano notificati tre avvisi di mora uno nel 1993 tramite Consolato di
Siviglia, poi nel 1998 presso l’aeroporto di Malpensa a Milano e ancora nel 2001. Solo l’avviso di mora del 2001 veniva impugnato da Maradona, ma la Cassazione, con sentenza n. 3231/2005, rigettava l’impugnazione del calciatore. Nel 1993 la Commissione Tributaria di primo grado di Napoli, rigettava i ricorsi della Società sportiva e dei calciatori Careca ed Alemao per quanto riguardava l’omesso versamento delle ritenute di acconto relative ai corrispettivi dovuti a Maradona, Careca ed Alemao e dava ragione al Fisco,
ma nel 1994 la Commissione Tributaria di secondo grado di Napoli, ribaltava la decisione di 1° grado, accogliendo sia l’appello del Calcio Napoli che quello dei due calciatori Careca ed Alemao. In particolare i Giudici di secondo grado ritenevano che non era stata
dimostrata l’interposizione fittizia di persona, nel senso che non era stato provato dall’Amministrazione finanziaria che le società sponsor sarebbero state interposte dai calciatori nel rapporto con la societa’ sportiva nella percezione di somme apparentemente corrisposte a titolo di corrispettivo per la cessione di quote per la gestione pubblicitaria delle immagini dei calciatori.
L’Ufficio proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Centrale e nelle more, nel settembre del 2004, veniva dichiarato il fallimento della Società Sportiva Calcio Napoli. La curatela della società sportiva fallita, pendente ancora il giudizio innanzi alla Commissione Tributaria Centrale, nonostante l’intervenuto annullamento dei sei avvisi di accertamento a suo carico da parte della
Commissione Tributaria di secondo grado, riteneva opportuno optare per la definizione delle liti fiscali pendenti ai sensi della L. n. 289 del 2002, articolo 16, pagando il 10% del valore complessivo della obbligazione tributaria. Nel luglio del 2012 nell’udienza fissata per la trattazione dei ricorsi innanzi alla Commissione Tributaria Centrale, il calciatore Maradona, per il tramite dei suoi legali, quale coobbligato in solido, spiegava intervento adesivo dipendente, chiedendo l’estensione in suo favore degli effetti del
condono, operato dalla società quale suo sostituto d’imposta. La Commissione Tributaria Centrale di Napoli con sentenza n. 598/2013, dichiarava estinti per condono il giudizio relativo alla Società Sportiva Calcio Napoli, ma rigettava la richiesta di intervento adesivo dipendente di Maradona. In particolare, si affermava che il contribuente non aveva impugnato gli avvisi di accertamento notificatogli, di conseguenza l’obbligazione tributaria nei suoi confronti si era “consolidata”.
La decisione della Suprema Corte. Con l’Ordinanza n. 6854/2021 la Suprema Corte, dopo ampia disamina della problematica, ha dato ragione ai legali del calciatore affermando che “si deve prospettare una interpretazione costituzionalmente orientata del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 14, e comunque delle norme che disciplinavano l’intervento in giudizio prima del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, sopra indicate, dovendosi ammettere l’intervento adesivo dipendente del “sostituito” di imposta (Maradona) nella controversia in cui il “sostituto” (la societa’ SSCN) abbia definito la controversia con il pagamento del condono di cui alla legge 289/2002”. L’intervento adesivo dipendente di Maradona è allora pienamente ammissibile. Con la conseguenza che, avendo il Fisco ricevuto dalla società sportiva (S.S. Calcio Napoli), che ha agito “quale sostituto d’imposta” e quindi per conto del sostituito (Maradona), il pagamento del condono per le ritenute non operate sulla parte della retribuzione del calciatore pagata in nero, del predetto condono fiscale della società calcistica beneficia anche Maradona relativamente alle obbligazioni tributarie a suo carico connesse alle retribuzioni in nero accertate dall’Ufficio per le quali vi è stata l’applicazione
della sanatoria. Se così non fosse si verificherebbe un ‘ipotesi di doppia imposizione in violazione dell’art. 163 del Tuir e del principio di capacità contributiva, sottoponendo a tassazione due volte la stessa materia imponibile (le retribuzioni in nero), una volta in capo alla Società Sportiva Calcio Napoli, quale sostituto d’imposta, un’altra volta in capo al calciatore, dipendente della Società sportiva, quale sostituito. La Suprema Corte ha infine rinviato la causa alla Commissione Tributaria Regionale della Campania limitatamente alla verifica della sua posizione tributaria per l’eventuale debito residuo nei confronti dell’Amministrazione finanziaria. Il rinvio ai giudici di merito non dovrebbe comportare alcuna conseguenza pratica sulla posizione fiscale del calciatore, visto che le rettifiche operate dall’Ufficio nei confronti di Maradona hanno riguardato i redditi di lavoro dipendente da lui percepiti dalla S.S. Calcio Napoli e condonati dalla società quale sostituto d’imposta.











