La suprema Corte pronunciandosi nella causa che contrappone l’ex calciatore del Milan Fernando De Napoli al fisco ribadisce il principio antielusivo generale che vieta al contribuente di trarre vantaggi fiscali da operazioni che non hanno alcuna ragione economica se non quella di un risparmio fiscale.
Le somme corrisposte al calciatore Fernando De Napoli per lo sfruttamento dell’immagine attraverso un complesso schema contrattuale in realtà erano una integrazione del compenso in evasione d’imposta. Ne è convinta la Corte di Cassazione che ha respinto nel merito il ricorso del calciatore rinviando comunque la causa ad altra commissione tributaria per carenze nella motivazione dei giudici tributari di secondo grado. La vicenda risale al 1993-’94, stagione in cui De Napoli giocava nel Milan e ottenne una integrazione dell’ingaggio da 3,2 a 3,7 miliardi di vecchie lire.
Il tutto parte da un accertamento che coinvolge la società Sport Manangement Ltd. ( SM Ltd.), con sede a Dublino, la quale stipula con la consorella Sport Image Internationale Ltd. (SII Ltd.) un contratto per l’ acquisizione dei diritti di sfruttamento dell’immagine passiva di atleti ingaggiati da società appartenenti alla medesima holding – Fininvest, tra cui il centrocampista Fernando De Napoli, con la funzione di garantire agli atleti, individuati da un codice identificativo costituito dalle ultime due lettere del nome e del cognome, una consistente integrazione dell’ingaggio in evasione d’imposta. Una tesi, quella dell’amministrazione, confermata dalle Commissioni tributarie. La Ctr ritiene che la contrattazione dei diritti di sfruttamento del diritto d’immagine con una società estera avente sede in un paradiso fiscale , costituisce già il primo indizio dell’interposizione fittizia, intesa ad occultare la reale destinazione delle somme. Inoltre manca il reale sfruttamento dell’immagine del calciatore e le due società cessionarie dei diritti di sfruttamento dell’immagine passiva del calciatore, fanno parte entrambe del gruppo Fininvest, di cui fa parte anche la società calcistica Milan che ha ingaggiato il calciatore.
Un quadro, quello ricostruito dal fisco che convince anche la suprema Corte. Nella sostanza, ad avviso dei giudici della Cassazione, De Napoli non è semplicemente terzo consapevole del contratto nel quale la SM Ltd. sarebbe il soggetto interposto e la SII Ltd. il soggetto interponente, giacché le relative somme fittiziamente pattuite per lo sfruttamento dell’immagine del calciatore costituirebbero ( contratto dissimulato) una copertura per integrare, in evasione d’imposta, lo stipendio di De Napoli. Nell’occasione viene richiamato l’indirizzo affermato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte con le sentenze del dicembre 2008, n.30055, 30056 e 30057, fondato sul riconoscimento di un principio generale antielusivo , immanente nel sistema tributario italiano. In particolare la Suprema corte afferma che “non può non ritenersi insito nell’ordinamento, come diretta derivazione delle norme costituzionali, il principio secondo cui il contribuente non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall’utilizzo distorto, pur se non contrastante con alcune specifiche disposizioni, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio fiscale, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quel risparmio fiscale”.
Di particolar erilievo il richiamo da parte dei giudici della suprema Corte al principio dell’abuso del diritto. Sembrebbe che, a prescindere dalla natura simulata o meno delle fattispecie contrattuali impiegate e dai relativi effetti civilistici, il distorto schema giuridico elaborato, in assenza di apprezzabili ragioni economiche, se ha l’unico effetto di sottrarre all’imposizione una parte delle somme corrisposte a De Napoli, cade nella tagliola dell’abuso del diritto e come tale non è opponibile al fisco. Spetterà comunque ad una nuova sezione della Ctr pronunciarsi di nuovo e motivare meglio la sentenza soprattutto relativamente alla prova della percezione dei compensi da parte del De Napoli, evidenziando, anche in via presuntiva, come il calciatore fosse identificabile nella sigla risultante dalla fatturazione. E affrontando il tema dei rapporti tra De Napoli e la società interposta, in relazione ai movimenti di denaro relativi, nonché ai rapporti tra le società coinvolte dell’accordo riguardante la cessione dei diritti di sfruttamento dell’immagine del calciatore ed il contratto intercorrente tra il calciatore e la società sportiva Milan. Il fatto che la Corte abbia ritenuto censurabile il complesso schema contrattuale per violazione del principio dell’abuso del diritto, fa comunque ritenere che in sede di riassunzione si possa fare sufficiente chiarezza sulla base degli elementi di prova descritti nel pvc e nell’avviso di accertamento , per dimostrare – anche in via presuntiva – che il calciatore sia l’effettivo destinatario delle somme in contestazione, a titolo di integrazione della sua retribuzione.