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sabato 27 Luglio 2024
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Cassazione: esenti da sanzioni tributarie solo in caso di obiettiva incertezza della norma

L’obiettiva incertezza delle norme viene spesso invocata dai contribuenti come possibile esimente per la disapplicazione delle sanzioni. Se si dovesse seguire una interpretazione “estensiva” del concetto di incertezza, vista la non elevata qualità del nostro tessuto normativo tributario, le sanzioni potrebbero essere in sostanza sempre disapplicate. Ma così non è e la Corte di Cassazione, con la recente Ordinanza n. 36145 del 28/12/2023, ha chiarito esattamente quali sono i presupposti in presenza dei quali il contribuente possa a ragion veduta invocare l’esimente per le sanzioni.

Nel caso di specie, la società contribuente, dopo aver liquidato, nella dichiarazione dei redditi relativa all’anno d’imposta 2004 il versamento Irap dovuto, ne ometteva il pagamento. Pertanto, l’Ufficio, a seguito di controllo ex art. 36-bis Dpr. 29/09/1973, n. 600, notificava la cartella di pagamento per l’importo dovuto a titolo di imposta, interessi e sanzioni per il ritardato versamento.

La società impugnava l’atto presso la Commissione Tributaria Provinciale di Roma, la quale accoglieva in parte il ricorso in relazione al versamento del tributo, ma lo rigettava quanto alle sanzioni, la cui inapplicabilità era sostenuta dalla società invocando l’esimente di cui all’art. 10, comma 3, L. 27/07/2000, n. 212, ritenendo sussistente l’obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma, atteso che, durante il decorso del termine per effettuare il versamento, era pendente, dinnanzi alla Corte di Giustizia delle Comunità Europee, il giudizio relativo alla compatibilità dell’Irap con il diritto comunitario e due Avvocati Generali della Corte avevano già rassegnato conclusioni nel senso dell’incompatibilità.

Tale giudizio si era poi concluso nel senso della compatibilità dell’Irap con la direttiva comunitaria in materia d’Iva (Corte Giustizia Unione europea, Grande Sezione, sentenza 3 ottobre 2006, nel procedimento C-475/03). Proposto appello dalla contribuente, la Commissione Tributaria Regionale del Lazio lo rigettava e la società proponeva infine ricorso per Cassazione.

La ricorrente lamentava, tra le altre, la violazione dell’art. 10, comma 3, L. n. 212 del 2000, per avere la CTR ritenuto che la pendenza della questione pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea fosse assimilabile all’ipotesi di legge della pendenza di giudizio di legittimità della norma tributaria, prevista dall’art. 10, comma 3, cit. come ipotesi derogatoria dell’esimente in esame.

La contribuente censurava poi la pronuncia di secondo grado per avere la CTR escluso l’applicabilità, al caso di specie, dell’esimente, applicabile nella ricorrenza delle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e l’ambito di applicazione della norma, come a suo avviso derivanti dalla pendenza della questione relativa alla legittimità dell’Irap dinnanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, e dal fatto che dottrina e giurisprudenza avessero comunque assunto posizioni discordanti sul punto.

In sostanza, la questione oggetto del giudizio atteneva alla configurabilità, in tema di sanzioni Irap, dell’esimente della oggettiva incertezza normativa, in pendenza di questione pregiudiziale unionale e in presenza di contrasti giurisprudenziali e dottrinali.

Nel respingere il ricorso, la Suprema Corte rileva che l’art. 10, comma 3, L. n. 212 del 2000 ha introdotto la disposizione secondo cui «in ogni caso non costituisce condizione di incertezza la pendenza di un giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria». Pertanto, la sanzione tributaria va applicata anche nel caso in cui il contribuente non abbia assolto il proprio obbligo tributario confidando (nella specie, peraltro, come visto, erroneamente) nella caducazione della norma relativa, in relazione ad un giudizio pendente circa la legittimità della norma stessa.

La novella, di cui all’art. 1, D.l. n. 106 del 2005, che aveva introdotto la specifica disposizione, era stata del resto prevista proprio allo scopo di scoraggiare l’omissione dei versamenti dovuti ai fini Irap, in considerazione del giudizio già pendente, a seguito di rinvio pregiudiziale, presso la Corte di Giustizia, circa la compatibilità del tributo con la disciplina comunitaria in materia di Iva.

In questo senso si leggano ad esempio i relativi lavori preparatori, ed in particolare la nota di lettura del servizio del bilancio del Senato, nella quale si richiamava altresì la relazione tecnica circa «la necessità di neutralizzare i possibili effetti, in termini di riduzione dell’autotassazione IRAP, delle conclusioni formulate dall’Avvocato generale della Corte UE nei confronti dell’IRAP (di cui si chiede la soppressione) e che ancora non si sono tradotte in sentenza definitiva», e si considerava che «il presente articolo è volto ad introdurre disposizioni di tutela del gettito preventivato a titolo di IRAP».

La esplicita ratio della novella, secondo la Cassazione, conduce quindi ad interpretarela formula «giudizio in ordine alla legittimità della norma tributaria» come comprensiva, oltre che della pendenza di un giudizio di legittimità costituzionale,anche della ipotesi di rimessione alla Corte di Giustizia della Comunità Europea di una domanda di pronuncia pregiudiziale sulla legittimità comunitaria della norma tributaria nazionale.

Entrambe le fattispecie, del resto, sono accomunate dalla circostanza che l’oggetto del giudizio, sia pur in base a parametri e con effetti diversi tra loro, è la stessa norma tributaria, cosicché per entrambe la riserva posta dall’art. 10, comma 3, L. n. 212 del 2000 risponde all’esigenza di regolare gli effetti della pendenza di tali procedimenti rispetto alla certezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della disposizione tributaria sub iudice.

In definitiva, il presupposto per il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia – ovverosia il dubbio sull’interpretazione del diritto dell’Unione – non implica, di per sé solo, quelle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma tributaria italiana, contemplata dall’art. 10, comma 3, dello Statuto del contribuente.

In tali casi si dovrà quindi sempre verificare se emergano altre condizioni obiettive di incertezza, indipendenti dalla pendenza dei predetti giudizi sulla legittimità della norma tributaria. Nella specie, proprio in riferimento agli elementi di fatto che la parte assumeva indicativi della invocata incertezza oggettiva normativa in tema di versamenti Irap nel 2005, la Corte ne aveva del resto già escluso la rilevanza, evidenziando come «In tema di sanzioni amministrative tributarie, l’incertezza normativa oggettiva – che deve essere distinta dalla ignoranza incolpevole del diritto, come si evince dall’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997 – è caratterizzata dalla impossibilità di individuare con sicurezza ed univocamente la norma giuridica nel cui ambito il caso di specie è sussumibile e può essere desunta da alcuni ‘indici’, quali, ad esempio: 1) la difficoltà di individuazione delle disposizioni normative; 2) la difficoltà di confezione della formula dichiarativa della norma giuridica; 3) la difficoltà di determinazione del significato della formula dichiarativa individuata; 4) la mancanza di informazioni amministrative o la loro contraddittorietà; 5) l’assenza di una prassi amministrativa o la contraddittorietà delle circolari; 6) la mancanza di precedenti giurisprudenziali; 7) l’esistenza di orientamenti giurisprudenziali contrastanti, specie se sia stata sollevata questione di legittimità costituzionale; 8) il contrasto tra prassi amministrativa e orientamento giurisprudenziale; 9) il contrasto tra opinioni dottrinali; 10) l’adozione di norme di interpretazione autentica o meramente esplicative di una disposizione implicita preesistente» (Cass., 13/06/2018, n. 15452).

In sostanza, in tema di sanzioni amministrative per violazioni di norme tributarie, sussiste incertezza normativa oggettiva solo quando sia ravvisabile una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, riferita, non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata e neppure all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento a cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr., Cass., 01/02/2019, n. 3108).

Tanto premesso in ordine allo specifico caso processuale, in termini più generali, sempre in riferimento al concetto di obiettiva incertezza, giova anche evidenziare quanto segue.

Ai fini della fattispecie in esame viene esclusa qualsiasi rilevanza delle condizioni soggettive. L’incertezza normativa oggettiva, pertanto, non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità di pervenire allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria.

L’incertezza normativa oggettiva tributaria, che consente di non applicare le sanzioni, deve pertanto essere caratterizzata dall’impossibilità, accertata dal giudice, di individuare, con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie.

Inoltre, trattandosi di un’esimente prevista dalla legge a favore del contribuente, l’onere di allegare la ricorrenza di tali elementi di confusione grava comunque sul contribuente, secondo le regole generali in materia di onere della prova ex. art. 2697 cod. civ. (cfr, Cass. 7/12/2017, n. 29368), dovendosi anche escludere che il giudice possa decidere d’ufficio l’applicabilità dell’esimente, o che la questione possa essere tardivamente introdotta in corso di causa (cfr., Cassazione n. 20504 del 12.10.2016).

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