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domenica 19 Maggio 2024
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Catasto: solo l’11,5% degli annunci ad alto prezzo riguarda case che il Fisco ritiene di pregio (Il Sole 24 Ore)

Di Rocco Curto

(Già direttore del dipartimento di Architettura e design del Politecnico di Torino)

Che il sistema della fiscalità immobiliare sia iniquo per il mancato aggiornamento del catasto è ormai noto. Molti ignorano però l’estensione del fenomeno, che premia alcuni e penalizza altri. Un caso delicato è quello delle abitazioni accatastate molti anni fa in categoria A/1 come signorili, che oggi non sono più ritenute tali per le mutate caratteristiche degli immobili e del mercato. Queste abitazioni – ricordiamo – sono soggette all’Imu anche quando sono abitazioni principali e, al momento dell’acquisto, non sono ammesse all’agevolazione “prima casa” (perciò non hanno l’imposta di registro al 2%, ma al 9%). Per analizzare l’iniquità determinata dalle categorie catastali, sono state selezionate tra gli annunci immobiliari del 2021 per sei grandi città (Milano, Firenze, Napoli, Bologna, Torino e Palermo) le prime cento abitazioni che, presentando i prezzi più elevati, potevano essere considerate signorili o, più verosimilmente, di lusso. Stando ai 600 dati solo il 6,8% delle abitazioni è classificato in A/1, il 3,5% in A/7 e l’1,1% in A/8 (villini e ville): complessivamente, perciò, l’11,5% dei loro proprietari non beneficia delle agevolazioni fiscali. Tra le sei città ci sono differenze significative. Ai due estremi troviamo Milano, dove il 95% delle abitazioni poste sul mercato nella fascia di prezzo elevato non ricade in categorie catastali di pregio, e Firenze, dove il dato si ferma al 73 per cento. A Milano, inoltre, il 30% delle abitazioni outstanding è classificato in categoria economica (A/3) o popolare (A/4), percentuale cumulata che arriva al 34% a Bologna e all’11% sia Torino che a Palermo. A fronte di questi dati, i proprietari delle abitazioni classificate in A/1, ma di minor valore commerciale, pagano di fatto le imposte dovute dai proprietari delle abitazioni che si attestano sui valori più elevati del mercato, ma hanno categorie catastali più povere. Dal punto di vista del Fisco, invece, il mancato corretto inquadramento – anche ragionando a parità di gettito – si traduce nell’applicazione del carico fiscale a soggetti con una minor capacità contributiva. L’iniquità è ancora più evidente se consideriamo che le richieste di cambio di categoria delle abitazioni A/1 non sono accettate dall’Agenzia se la loro superficie supera la soglia dei 200 metri quadrati, quando non è la dimensione, ma sono i prezzi al metro quadrato e le caratteristiche intrinseche ed estrinseche a definire le tipologie signorili o di lusso. I 600 annunci presi in esame, infatti, riguardano immobili in location di assoluto pregio, in stabili di elevata qualità architettonica, in perfetto stato di conservazione, con livelli di finitura, vani scala e parti comuni di rappresentanza, dotati di portinerie, cortili e giardini. I dati, in definitiva, danno ragione ai proprietari delle abitazioni in A/1 superiori ai 200 metri quadrati che ritengono di essere ingiustamente penalizzati. Nelle circolari ministeriali e nelle norme in materia catastale, come nel Dpr 138 del 1998, la dimensione è citata, ma sempre insieme ad altri parametri. Il suo peso relativo emerge, inoltre, dai manuali prodotti dalla stessa Agenzia per valutare gli immobili. In questi i procedimenti monoparametrici, che consideravano la sola superficie, sono stati letteralmente soppiantati da quelli pluriparametrici, che stimano gli immobili sulla base dei parametri estrinseci ed intrinseci che incidono nella formazione dei valori di mercato. Un’ulteriore conferma è data dal fatto che i prezzi al metro quadrato sono correlati negativamente alle dimensioni delle abitazioni. L’iniquità della fiscalità immobiliare determinata dalle categorie catastali costituisce in realtà solo la punta di un iceberg. La portata raggiunta dai processi redistributivi, dovuti alla mancata riforma del catasto, emerge tra l’altro da un’analisi condotta su Torino, su un campione di 5.614 dati particolarmente significativo sul piano statistico. A prescindere dalle categorie catastali, dalle elaborazioni emerge che i processi redistributivi (orizzontali e verticali) hanno raggiunto a Torino – e si presume in Italia – un livello elevatissimo sul piano quantitativo e che a essere sempre più colpiti sono i ceti medi e medio-bassi, già penalizzati dalla perdita di valore delle loro proprietà. Stando ai dati, a Torino, il numero dei proprietari favoriti dalle imposte pagate su valori catastali inferiori a quelli di mercato è quasi pari al numero di quelli penalizzati dalle imposte invece pagate su valori catastali superiori a quelli di mercato. All’iniquità così generata si deve aggiungere quella determinata dal fatto che un numero rilevante di proprietari paga l’Imu e – in caso di acquisto – l’imposta registro per case che non sono più signorili.

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