La riforma fiscale necessita di una attenta e complessiva riconsiderazione alla luce della crisi di credibilità sui mercati che ha investito l’Italia. Ne è convinta la Corte dei Conti che in una audizione alla commissione finanze del Senato è tornata a evidenziare l’elevata pressione fiscale e l’alto tasso di evasione nel nostro paese.
Riconsiderare la delega di riforma del fisco. L’invito è arrivato dal presidente della Corte dei Conti Luigi Giampaolino che nel corso dell’audizione sulla riforma fiscale in commissione finanze del Senato ha evidenziato le nuove problematiche poste dalla crisi dei conti pubblici determinata dall’aumento dei tassi. L’esame del disegno di legge delega si colloca, ad avviso della Corte, in una situazione in cui si combinano crescenti preoccupazioni e rinnovate esigenze. Le preoccupazioni traggono origine dalle forti incertezze che dominano la situazione economica e che rischiano di aggravare in misura inusitata gli squilibri di finanza pubblica e dai crescenti vincoli derivanti dall’impennata del debito pubblico. Nel complesso, ha spiegato Giampaolino, il disegno di legge delega rischia di risultare ormai spiazzato dagli eventi e bisognoso, comunque, di un’attenta riconsiderazione complessiva. Una situazione aggravata dalle problematiche storiche del nostro fisco caratterizzato da: un livello del prelievo fra i più elevati; una distribuzione del carico tributario che premia il capitale e i consumi rispetto al fattore lavoro; un’imposta sui redditi personali a base imponibile ristretta; un’imposizione sui consumi depotenziata dall’evasione; una tassazione delle imprese condizionata dall’erosione della base imponibile e dalla difficoltà di interventi risolutori sull’Irap; un prelievo di competenza degli enti decentrati che, soprattutto in prospettiva, rischia di modificare significativamente l’impianto distributivo riconducibile alle imposte centrali. E soprattutto un livello di evasione fiscale in cui l’Italia è seconda solo alla Grecia e che raggiunge il 18 per cento del Pil.L’elevata pressione fiscale. Ormai proiettata oltre il 43 per cento, l’elevata pressione fiscale colloca l’Italia al quarto posto nella graduatoria dei ventisette paesi Ue, a ridosso delle realtà nordeuropee. Il fenomeno è, peraltro, destinato ad accentuarsi nei prossimi anni: di poco più di un punto secondo il Def, che colloca la pressione fiscale al 43,7 per cento nel 2014; del doppio (2,2 punti, fino al 44,8 per cento, già dal 2013) ove si consideri il già contabilizzato taglio delle agevolazioni fiscali recato dalla recente manovra estiva. In entrambi i casi, peraltro, senza tenere conto degli aumenti di prelievo che potranno derivare dall’impiego della leva fiscale da parte di regioni ed enti locali.
Il prelievo penalizza i fattori produttivi rispetto alla tassazione dei consumi, dei patrimoni e delle rendite. L’Italia si colloca al primo posto per il prelievo gravante sui redditi da lavoro e sui redditi d’impresa, al ventiquattresimo posto per il prelievo sui consumi, al nono posto quanto a quota di gettito complessivo derivante dalla tassazione patrimoniale (6,7 per cento, con una flessione di quasi un terzo rispetto alla metà degli anni novanta). L’eccesso di prelievo gravante sul fattore lavoro trova conferma nei dati che l’OCSE elabora annualmente: nel 2010, la differenza fra costo del lavoro e retribuzione netta sul lavoratore italiano senza carichi familiari è rimasto fermo al livello di dieci anni prima, ma la distanza rispetto all’area Euro risulta quasi raddoppiata, per effetto della crescita della componente fiscale. In direzione opposta si è mosso il cuneo fiscale gravante sul lavoratore con carichi di famiglia; ma anche in questo caso si è registrato un aumento del differenziale con l’Europa (da poco più di 6 a 7 punti).
La dimensione dell’evasione fiscale. Con un’evasione fiscale che raggiunge fino al 18 per cento del Pil, l’Italia, secondo le recenti stime del Gruppo di lavoro Mef, si colloca al secondo posto nella graduatoria internazionale guidata dalla Grecia. Ma non basta, perché le «implicazioni del fenomeno emergono ancora più nettamente quando si va a calcolare la pressione fiscale “effettiva”, rapportando il carico impositivo solo al Pil dichiarato al fisco: la pressione fiscale effettiva va corretta verso l’alto, di circa 10 punti rispetto a quella apparente, con l’effetto, così, anche di un ampliamento della distanza dai partners europei (a causa del nostro più alto tasso di evasione) », ha spiegato Giampaolino in commissione. «L’evasione fiscale in Italia raggiunge livelli di guardia con un “tasso” che arriva al 36%, inferiore soltanto a quello della Spagna – ha aggiunto – e ovviamente ciò non fa che deprimere ulteriormente il gettito teorico acquisibile».
La concentrazione dei tre quarti del prelievo su quattro grandi imposte. L’Irpef, l’Iva, l’Ires e l’Irap: un livello di concentrazione aumentato rispetto al 2000 (era al 70 per cento), essenzialmente per effetto della dinamica segnata dall’Irpef. Interessata da una serie di successivi interventi, la nuova struttura dell’imposta sul reddito delle persone fisiche ha finito per caratterizzarsi per un’elevata progressività, che è andata ben oltre le evidenze di altre realtà europee. L’aumento risulta quasi quadruplicato (8,6 punti) per il contribuente con coniuge e due figli a carico. Lo sconto d’imposta di cui beneficia il lavoratore italiano con carichi di famiglia è nel decennio aumentato (di oltre due punti), a fronte del ridimensionamento registratosi in paesi come la Francia e la Spagna: lo sconto risulta tuttavia saldamente ancorato al livello del reddito del nucleo familiare, la cui crescita ne riduce progressivamente la portata, fino a determinarne la scomparsa. Si tratta quindi, sil legge nel testo dell’audizione, di uno strumento di discriminazione dei redditi che resta quantitativa più che qualitativa, confermando l’alternatività che, nell’esperienza italiana, tradizionalmente contrappone equità orizzontale ed equità verticale.
Si è ampliata l’area delle tipologie di redditi soggette a tassazione sostitutiva. Tali regimi agevolativi sono suscettibili di intaccare la base imponibile Irpef in misura rilevante (e variabile, in relazione ai rendimenti degli impieghi finanziari): allo stato attuale, si può stimare un’erosione non inferiore a 90 miliardi, circa il 12 per cento dell’imponibile Irpef dichiarato. Con la conseguenza di una distribuzione del prelievo ben poco sovrapponibile con quella del reddito disponibile di contabilità nazionale. Constatazione che, sostiene la Corte, ha spinto a definire l’Irpef un’imposta speciale sul lavoro dipendente e che induce, peraltro, a ritenere che la funzione redistributiva non possa essere affidata solo ad essa.
L’Irap. Secondo il documento, per quanto riguarda l’Irap il sistema di prelievo risulta meno manovrabile a seguito dell’attuazione del federalismo fiscale che, trasferendo all’autonomia impositiva di ciascuna regione la competenza sull’assetto dell’imposta, ha posto le premesse per un’accentuazione delle differenze impositive territoriali e ha ridotto gli spazi per interventi centralizzati.
L’Iva. La struttura dell’Iva invece, si legge nel testo, è rimasta quella di inizio decennio: con un livello più basso nel confronto europeo. Il rendimento dell’imposta italiana risulta intaccato dal livello e dall’estensione delle basi imponibili diverse da quella ordinaria, oltre che dai regimi speciali e di esenzione. A tali evidenze si aggiunge l’elevato tasso di evasione che caratterizza il nostro paese, con il risultato di deprimere ulteriormente il gettito teorico acquisibile dall’Iva. Secondo l’analisi svolta dalla Corte dei Conti inoltre, «considerando come “rendimento” il rapporto tra base Iva effettiva (rinveniente dalle dichiarazioni rese al fisco) e imponibile teorico (desunto dalla contabilità nazionale), il complemento a 100 costituisce il gap in base al quale si arriva a collocare l’Italia in una posizione elevata (con uno scarto superiore al 36 per cento), sopravanzata solo dalla Spagna (39,45 per cento».
Tempi stretti. Secondo Giampaolino, «i rilevanti effetti finanziari connessi alla delega, pari a 4 miliardi per il 2012, 16 per il 2013 e 20 nel 2014, sono già incorporati nel quadro di finanza pubblica delineato dalla Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza 2011 approvata dal Parlamento. Di qui, peraltro, l’esigenza di tempi stringenti di approvazione del disegno di legge delega e dei relativi decreti attuativi, per impedire che risulti inevitabile l’attivazione della clausola di salvaguardia del taglio automatico e lineare delle agevolazioni».