Di Arsa
A giudicare dai contenuti dei decreti delegati approvati dal governo, si direbbe che le criticità del sistema fiscale ruotino essenzialmente attorno alla posizione dei contribuenti e alla tutela dei loro diritti, più che alla perdurante propensione all’evasione di una parte di essi.
Non si spiegano diversamente le numerose disposizioni a favore dei contribuenti che, volta per volta, hanno inteso potenziare il legittimo affidamento (d.lgs. n. 219/2023), estendere il diritto al contraddittorio, consentire l’adesione (se conveniente) al concordato preventivo biennale (d.lgs. n. 13/2024), ampliare il regime dell’adempimento collaborativo e definire procedure di regolarizzazione delle violazioni (d.lgs. n. 221/2023), semplificare gli adempimenti (d.lgs. n. 1/2024), revisionare le sanzioni in quanto ritenute sproporzionate e vessatorie (decreto esaminato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 21.02.2024) e, da ultimo, riformare in direzione conforme il sistema della riscossione (schema di decreto approvato preliminarmente l’11.03,2024).
Nel frattempo la crisi del sistema tributario, caratterizzato dalla voragine dell’evasione, si consuma giorno per giorno nell’indifferenza generale, sotto forma di agevolazioni, rateazioni fino a 10 anni, rottamazioni permanenti, cancellazioni e definizioni varie, con il magazzino di insoluti che ha superato la soglia di 1.200 miliardi, assumendo le proporzioni di un preoccupante fenomeno senza precedenti né riscontri in altri paesi. Le dilazioni prolungate e le definizioni agevolate sono offerte a tutti indistintamente, nonostante la proclamata volontà di soccorrere i contribuenti in difficoltà economica. La conseguente sospensione delle ordinarie attività di riscossione perdura pressoché ininterrottamente da più lustri e, ove non disposta dal legislatore, è ottenuta dai contribuenti mediante pagamento della sola prima rata. Le disfunzioni si ripercuotono sull’efficacia deterrente dei controlli e di riflesso sulla propensione dei contribuenti ad assolvere spontaneamente le obbligazioni tributarie, sollecitando gli analisti a spostare l’attenzione dall’occultamento degli imponibili ai dati della riscossione che disvelano il fenomeno inquietante e fin qui trascurato dell’evasione da riscossione. La leva fiscale, piegata al perseguimento di nominali obiettivi di politica sociale, sembra aver smarrito la funzione sua propria di reperimento delle entrate “preordinate al finanziamento del Sistema dei diritti costituzionali” (Corte costituzionale, sentenza n. 288 del 2019).
A richiamare l’attenzione sulla gravità dello stato della riscossione è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza del 17 ottobre 2023, n. 190, laddove si afferma che le “gravi inefficienze del sistema” denotano una “patologica situazione…che ha messo in crisi il sistema di tutela giurisdizionale”, con conseguente “abuso di quanti approfittano della vulnerabilità del sistema.” Prendendo spunto dall’abnorme “magazzino di entrate non riscosse… dove risultano affastellate cartelle… evidentemente prescritte… [che] possono compromettere la credibilità fiscale”, la Consulta ha ricordato “che una riscossione ordinata e tempestivamente controllabile delle entrate è elemento indefettibile di una corretta elaborazione e gestione del bilancio, inteso come ‘bene pubblico’ funzionale alla valorizzazione della democrazia rappresentativa (sentenza n. 184 del 2016), mentre meccanismi comportanti una ‘lunghissima dilazione temporale’ (sentenza n. 18 del 2019) sono difficilmente compatibili con la sua fisiologica dinamica (sentenza n. 51 del 2019)”. Segue l’auspicio di intervenire “agendo in radice, ovvero sulle patologie che ancora permangono nel sistema italiano della riscossione…evitando, in particolare, il danno di gravi falle nell’adempimento del dovere tributario, ‘preordinato al finanziamento del sistema dei diritti costituzionali, i quali richiedono ingenti quantità di risorse per divenire effettivi’ (sentenza n. 288 del 2019)”.
In questo quadro a tinte fosche, l’aspettativa della Corte costituzionale di rilanciare la funzione di riscossione si è infranta nella deludente risposta fornita dal governo con lo schema di decreto approvato in via preliminare l’11 marzo u.s.
Ancora una volta, la preoccupazione principale che traspare dalle previsioni dello schema di decreto è quella di tutelare i contribuenti vessati dal fisco e in permanenti difficoltà economiche, oltre che sollevare gli addetti alla riscossione da ogni responsabilità connessa con la gestione dei carichi affidati, fatta salva l’ipotesi di dolo. Da qui la pianificazione delle attività con l’obiettivo di limitare l’attivazione dei procedimenti cautelari ed esecutivi a una sola parte dei carichi affidati (art. 1), il discarico automatico delle quote non lavorate alla scadenza di cinque anni dall’affidamento (art. 3), la dilazione dei pagamenti fino a 108 rate e oltre, accordate in assenza di documentazione e indipendentemente dalla situazione di difficoltà economica dei richiedenti, quand’anche si tratti di riversare all’erario l’IVA riscossa dai clienti o le ritenute operate sugli stipendi ai dipendenti (art. 12). A blindare infine il nuovo sistema di gestione della riscossione provvedono le disposizioni in tema di revisione della disciplina dei controlli di competenza degli enti creditori e delle responsabilità di gestione configurabili in relazione alla gestione dei carichi diversi da quelli discaricati a monte (art. 6). A voler comprendere anche l’estensione dell’accertamento esecutivo ad altre fattispecie di competenza dell’Agenzia delle entrate (art. 13), peraltro già contemplata all’art. 29, comma 1, lett. h) del d.l. n. 78 del 2010, l’elenco delle novità è pressoché esaurito.
Lo schema di decreto non fornisce risposta all’esigenza, ribadita nella legge delega n. 111/2023, di ricondurre la gestione della riscossione all’interno dell’Agenzia delle entrate e neppure al problema dello smaltimento del magazzino di carichi insoluti, rimesso alle future proposte di un’apposita commissione (art. 7). Nessuna delle norme approvate si occupa del modello organizzativo (efficienza) né della revisione dei procedimenti (efficacia). Nessuna apertura, in particolare, alle proposte formulate dalla Corte dei conti in tema di revisione degli attuali procedimenti esecutivi e dei criteri di gestione del contenzioso che hanno contribuito pesantemente alla crisi del sistema.
Qualsivoglia progetto di riforma, fintanto che non incide sul versante della riorganizzazione dell’amministrazione e del potenziamento degli strumenti di cui necessita, non può dirsi organico e risolutivo dei problemi, risolvendosi più spesso nell’immissione di nuove norme che contribuiscono ad accentuare gli aspetti di complessità del sistema e a favorire i disegni degli evasori più attrezzati. Sarà mai possibile evitare per il futuro la formazione di ingenti insoluti senza innovare l’organizzazione né revisionare i procedimenti di riscossione? Posta in questi termini, la questione paradossalmente trova risposta affermativa nello schema di decreto, dal momento che le azioni esecutive, grazie agli istituti della pianificazione e del discarico automatico, saranno estese a una sola parte dei carichi affidati, provvedendosi contestualmente al discarico della parte residua. In altre parole, quanto in passato confluiva nel magazzino-insoluti in futuro sarà discaricato ab origine (in sede di pianificazione) o alla scadenza del quinquennio (discarico automatico). In entrambi i casi però il risultato non cambia: i contribuenti continueranno a non pagare buona parte delle somme dovute.
Il “pressante auspicio” della Corte Costituzionale “di superare… la grave vulnerabilità ed inefficienza… che ancora affligge il sistema italiano della riscossione” (sentenza n. 190 del 2023) è tuttora in attesa di risposta.