Di Luciano Cerasa
Il decreto fiscale varato dal Consiglio dei ministri dopo un lungo braccio di ferro tra le due anime della maggioranza si ispira molto agli anni d’oro dei condoni tombali, dei concordati fiscali e delle dichiarazioni integrative escogitati dal governo Berlusconi nel 2002. Con la nuova “dichiarazione integrativa” gialloverde si potranno sanare imponibili nascosti all’Agenzia delle Entrate pari a un terzo di quanto denunciato l’anno prima e per un massimo di centomila euro l’anno, tornando a ritroso nel tempo per cinque annualità. Si torna così ai 500mila euro di importo sanabile che è stato la bandiera agitata dagli esponenti della Lega per settimane e mai ammainata. I contribuenti teoricamente interessati sono praticamente l’intera platea censita dal Ministero dell’Economia. Nel 2017 hanno presentato una dichiarazione Irpef 40 milioni 872 mila persone fisiche. Ma solo 35.719 hanno denunciato un reddito superiore al tetto di 300mila euro stabilito dal governo entro il quale si può usufruire del condono. Nel 2002, in tempi in cui la credibilità dell’Erario costituiva ancora uno spauracchio per gli evasori, dai condoni si attendevano sulla carta 26 miliardi di euro e se ne sono incassati finora circa 21. Un successo se pensiamo ai magri incassi delle ultime rottamazioni. Ma il buco da mancata riscossione ordinaria e “agevolata” con il passare del tempo – e con il calo verticale del numero e della qualità dei controlli effettuati dall’Amministrazione finanziaria – è diventata un’ossessione. A suo tempo la “falla” individuata prontamente nel condono tremontiano, fu costituita dall’errore (troppo evidente per non essere voluto) di rendere valida la sanatoria, che metteva a posto le pendenze, già dal pagamento della prima rata. Comunque se si aderisce si prende tempo e si pagano meno sanzioni. Sulla dilazione dei pagamenti è poggiato anche l’intero impianto dell’odierna Pace fiscale e non sappiamo allo stato se aderire vuol dire anche non essere oggetto di accertamenti ulteriori per quelle annualità. La rottamazione delle cartelle Ter, l’altra delle tre gambe su cui traballa la manovra fiscale del governo, dovrebbe portare nelle casse dell’Erario secondo le stime della ragioneria dello Stato 6,2 miliardi. Ma al ministero dell’Economia girano da tempo documenti tecnici che imputano al condono mancati incassi della riscossione ordinaria, sulla quale entra a gamba tesa, quantificati in più di 7 miliardi. “La gente smette di pagare le tasse quando aspetta il condono, solo parlarne costituisce un danno enorme, così si sostituisce un’entrata strutturale con un’entrata “una tantum” e il risultato finale sono meno soldi” predicava lo stesso Giulio Tremonti nel 2011, quando la luna di miele con Berlusconi era finita e l’abbraccio con la lega di Bossi dell’ex ministro dell’Economia era sempre più forte. E’ rimasto inascoltato. Ai potenziali clienti della terza rottamazione si offrono addirittura due facilitazioni in più rispetto alle precedenti: uno sconto dal 4,5% al 2% sugli interessi annuali e una rateizzazione di 5 anni. Beneficeranno di una sanatoria ad hoc anche quelli che hanno fatto ricorso alla giustizia tributaria. Si chiude il contenzioso se si versa l’imposta dovuta senza sanzioni e interessi. Se poi l’agenzia delle Entrate ha già perso il primo grado di giudizio si può definire la propria posizione versando il 50% dell’ammontare. Se l’Amministrazione è soccombente anche in secondo grado lo sconto sale e si versa solo il 20%. Ma il decreto fiscale va anche oltre, rompendo quel che sembrava un tabù anche per il governo Berlusconi. Grazie al “tombale” del 2002 infatti era consentito a tutti i contribuenti, anche titolari di partita Iva, di regolarizzare la loro pendenza con il fisco pagando una somma parametrata alla dichiarazione dei redditi. Il decreto varato lunedì scorso dal Consiglio dei ministri “stralcia” la cartelle esattoriali sotto i mille euro ricevute dal 2000 al 2010 da dieci milioni di contribuenti. Dentro vi è di tutto, dal bollo, alla multa, al versamento dei contributi e alla falsa dichiarazione. Non dovranno versare nulla, a dimostrazione che con il fisco italiano l’onestà non paga, anzi è incentivata l’evasione di massa.