Di Lelio Violetti
Nella Delega al governo per “la revisione del sistema fiscale” all’articolo tre “Revisione del sistema di imposizione personale sui redditi” è prevista una “… revisione dell’Imposta sui redditi delle persone fisiche (Irpef) finalizzata a garantire che sia rispettato il principio di progressività dell’Irpef e a ridurre gradualmente le aliquote medie effettive.”
Pertanto, in vista della prossima emanazione del dettaglio della legge di bilancio 2022, che prevede una riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, è ipotizzabile e possibile un primo intervento di riduzione delle aliquote IRPEF propedeutico alla successiva riforma prevista nella Delega.
C’è, tuttavia, da rilevare che per abbassare il carico fiscale sui redditi da lavoro si può intervenire, in alternativa, solo sulle detrazioni di specie (lavoro dipendente, lavoro autonomo, pensioni) aggravando ulteriormente una situazione precaria dove già pesano numerose incongruenze ed iniquità, dalle aliquote marginali più alte delle teoriche per la decrescenza delle agevolazioni al crescere del reddito al credito d’imposta che ad un certo punto si trasforma in detrazione e così via.
È, quindi, assai probabile che l’azione del governo si concentri sulle detrazioni di specie poiché questo consentirebbe d’intervenire in modo diverso sulle differenti tipologie di reddito; addirittura, si potrebbe intervenire solo sul lavoro dipendente per abbassare il cuneo.
Una modifica delle aliquote, inoltre, potrebbe evidenziare delle scelte d’indirizzo sulla riforma dell’IRPEF sulla cui impostazione non c’è accordo tra le forze politiche che sostengono il governo.
È comunque auspicabile, in tale prospettiva, che questo sia l’ultimo intervento di questo tipo prima di una riforma che applichi la progressività attraverso le aliquote e non attraverso una contorta applicazione delle detrazioni.
Nel caso in cui si decida d’intervenire sulle aliquote, alleggerendo in modo equo il carico fiscale di tutti i contribuenti, tra le ipotesi in discussione da parte del governo c’è sicuramente la riduzione dell’imposta dovuta IRPEF per i redditi imponibili compresi fra 28.000 e 55.000 € sui quali grava la considerevole aliquota del 38%.
Sarebbe quest’ultimo l’intervento più lineare, diremmo più logico e razionale, anche per non degradare ulteriormente un’imposta che già soffre di numerose iniquità ed ingiustizie.
I contribuenti interessati a un intervento di questo tipo sono 8,79 milioni pari al 21,2% del totale contribuenti.
Una diminuzione dell’aliquota d’un punto percentuale, portandola al 37%, genera una riduzione dell’imposta lorda pari a 1,1 miliardi di € con un guadagno medio annuo per i contribuenti di 30 € per i redditi compresi fra 28.000 e 35.000 €; di 85 € per i redditi compresi fra 35.000 e 40.000 €; di 160 € per i redditi compresi fra 40.000 e 50.000 €; di 235 € per i redditi compresi fra 50.000 e 55.000 € e di 270 € per i redditi superiori a 55.000 €.
La stima è stata effettuata sui dati statistici, pubblicati sul sito del Dipartimento delle Finanze, delle dichiarazioni IRPEF del 2020, relative ai redditi 2019.
Sempre dalle stesse statistiche sulle dichiarazioni dei redditi relative all’anno d’imposta 2019 si può stimare che i contribuenti interessati con almeno un reddito da lavoro dipendente saranno 5,5 milioni pari al 24,4% dei contribuenti con almeno un reddito da lavoro dipendente; quelli con almeno un reddito da pensione saranno 3,1 milioni pari al 21,2% dei contribuenti con almeno un reddito da pensione; quelli con almeno un reddito da professione con partita IVA saranno 0,34 milioni pari al 72,4% dei contribuenti con almeno un reddito da professione con partita IVA; quelli con almeno un reddito da imprenditore persona fisica saranno 0,37 milioni pari al 30,0% del totale degli imprenditori persona fisica e, infine, quelli con almeno un reddito da imprenditore agricolo sono 0,04 milioni e fisiche pari al 16,0% del totale degli imprenditori agricoli.
Il principale elemento che emerge dalla stima è che la riduzione di uno o due punti percentuali per tutto lo scaglione provoca nei redditi compresi fra 28.000 e 40.000 € una riduzione dell’imposta lorda annuale esigua, per non dire ridicola, che va da 30 a 85 € (da 2,5 € a 7 € mensili) per un solo punto e da 60 a 170 € per due punti di riduzione al 36% (da 5 € a 15 € mensili).
Dai 40.000 € la diminuzione è più consistente e significativa poiché va da 160 a 270 € (da 13 € a 22,5 € mensili) per un solo punto e da 320 a 540 € per due punti (da 26,5 € a 45 € mensili).
La modestia della diminuzione per i redditi compresi fra 28.000 e 40.000 € dipende principalmente sia dal cospicuo incremento dell’aliquota, dal 27% al 38%, ben 11 punti percentuali, sia dall’ampiezza dello scaglione, 27.000 €, rispetto ai 15.000 € del primo con aliquota al 23%, ai 13.000 € del secondo con aliquota al 27% e ai 20.000 € del quarto con aliquota al 41%.
Probabilmente per mantenere una progressività che non penalizzi, come avviene attualmente, i contribuenti con redditi nello scaglione fra 28.000 e 40.000 € sarebbe necessario suddividerlo in due applicando un’aliquota del 32% fra 28.000 e 40.000 € e del 36% fra 40.000 e 55.000 €.
In questo modo ci sarebbe maggiore continuità nell’aumento progressivo dell’imposta e maggiore equità nei confronti dei contribuenti che si trovano in questo scaglione di reddito.
Un intervento di questo tipo si stima costerebbe alle casse dello stato 4,3 miliardi e comporterebbe una rilevante riduzione d’imposta che va da 180 a 1.020 € ai due estremi dello scaglione.
I dati della stima, in sintesi, evidenziano, tra l’altro, che più è piccolo lo scaglione e più è garantita l’equità dell’aumento progressivo dell’imposta. A questo punto ci si chiede se, nell’ipotesi di un mantenimento della progressività, non sia più giusta e razionale la sua applicazione lineare con l’aliquota che cresce al crescere del reddito imponibile.
Si raggiungerebbe in questo modo l’obiettiva necessità di salvaguardare con un’imposizione proporzionalmente minore i redditi medi e bassi. Certo una scelta di questo tipo va armonizzata con una drastica riduzione delle detrazioni il cui numero esorbitante oltre a rendere complesso il sistema, soprattutto per i contribuenti più comuni, lavoratori dipendenti e pensionati, distorce anche la progressività, a vantaggio dei settori e dei gruppi di potere a cui il parlamento le ha concesse fondamentalmente per allargare il consenso elettorale.
Per comprendere la portata di questo assunto basta fare riferimento ai dati delle dichiarazioni dell’anno d’imposta 2019 in cui l’imposta lorda è pari a 227,9 miliardi di € e le detrazioni d’imposta sono pari 70,1 miliardi di €, oltre il 30% dell’imposta lorda. Tra l’altro il dato delle detrazioni manca di gran parte dell’incapienza cioè di quegli importi che non è stato possibile portare in detrazione perché l’imposta lorda è inferiore.
Un’ultima notazione, infine, rilevabile dalla stima riguarda le elevate percentuali di professionisti e imprenditori persone fisiche interessati alla riduzione dell’aliquota del 38%, rispettivamente 72,4% e 30,0% del totale con quel reddito.
Dal punto di vista dell’equità queste percentuali fanno emergere con chiarezza lo squilibrio creato dal regime forfetario per professionisti e imprenditori persone fisiche con ricavi inferiori ai 65.000 € che nei fatti godono, rispetto a tutti gli altri contribuenti, compresi quelli con la stessa tipologia di reddito, del privilegio e del consistente vantaggio economico di sfuggire alla progressività.