di Radar
I rapporti FMI e OCSE sono una fotografia chiara dello stato in cui opera la nostra Amministrazione finanziaria. Liquidare i due rapporti come un mero punto di vista è veramente riduttivo. I due organismi internazionali hanno il pregio di mettere in evidenza luci, ombre e prospettive dell’apparato amministrativo che governa e gestisce la fiscalità nel nostro Paese con gli occhi di chi conosce tendenze e modelli di profilo internazionale e non è costretto dentro gli angusti limiti del dibattito politico interno. Questo elemento non deve essere sottovalutato. Con riferimento specifico all’analisi sul funzionamento della macchina, ciò che emerge è un sistema complesso, eccessivamente articolato, con tanti attori in gioco che non sempre riescono a recitare fino in fondo la loro parte. Un sistema però imperniato sul modello per Agenzie che non solo viene giudicato in linea con quello dei Paesi più evoluti ma di cui ne viene richiesto esplicitamente il potenziamento o meglio, il ripristino della configurazione organizzativa iniziale. Chi si aspettava la sentenza di condanna definitiva del modello per Agenzie ha puntato sul numero sbagliato e deve rassegnarsi.
L’analisi dei due organismi arriva in un momento di forte attenzione politica sul tema fiscale e apre sicuri scenari di riforma. Le direttrici di cambiamento, per quanto concerne gli aspetti organizzativi, sono ben delineate e vanno decisamente verso il ripristino effettivo del modello per agenzie. E’ evidente che le stesse forze che hanno lavorato per sterilizzare la riforma del 2001 continueranno a utilizzare ogni argomento per impedire che questo disegno si realizzi, e lo faranno appellandosi alla specificità del nostro quadro ordinamentale e utilizzando un armamentario argomentativo tristemente noto. Il modello per Agenzie (o semi-autonomous bodies) risponde ormai a standard internazionali di funzionamento della componente operativa dell’Amministrazione finanziaria perché consente ampie garanzie in termini di efficienza e capacità di risposta alle esigenze degli operatori economici non paragonabili a quelli delle strutture ministeriali. I rapporti non fanno che lodare queste intrinseche caratteristiche ed evidenziare la pericolosa erosione dei margini di autonomia e flessibilità che nel tempo ne hanno ridotto le potenzialità. Emerge in modo chiaro che il nostro ordinamento sopporta a fatica questi modelli, peraltro poco diffusi, che tende inevitabilmente a riportare dentro il perimetro delle forme tradizionali di organizzazione e funzionamento della PA. Con questa chiave di lettura i due rapporti sono un saggio di come gli anticorpi del sistema abbiano lavorato costantemente alla sterilizzazione degli effetti positivi della relazione principal-agent mediante la distorsione del rapporto di convenzione e la riduzione di autonomia dell’Agenzia nella gestione delle risorse. Il risultato è sotto gli occhi degli osservatori esterni. Partiti bene con un disegno coerente siamo tornati indietro. Nessuna separazione del livello politico-normativo da quello operativo-applicativo con compiti chiari e obiettivi ben definiti. La convenzione è diventata un piano operativo che non fornisce all’Agenzia le corrette direttrici di azione. Sul versante della gestione delle risorse i rapporti scendono nei dettagli per testimoniare un deciso “rinculo burocratico” con le agenzie ormai risucchiate dentro gli schemi di gestione degli apparati ministeriali. Margini quasi inesistenti per operare sui livelli retributivi, sulle carriere professionali e sui piani di sviluppo del personale. Azzeramento totale delle politiche di selezione e sviluppo manageriale. Un cortocircuito che ha già prodotto effetti sul funzionamento della macchina e che ha allarmato seriamente i funzionari del Fondo.
OCSE e Fondo Monetario hanno non solo competenza e autorevolezza per esaminare l’Amministrazione finanziaria, hanno anche la forza di chi è chiamato, in modo diretto o indiretto, a giudicare il grado di sviluppo del nostro Paese e del suo livello di governo dell’economia. Un dato su cui sicuramente incide il livello di funzionalità dell’apparato fiscale