Nuovo intervento di Lef nel dibattito sulla spending review. Presentati in media 14 casi l’anno in tutta Italia per una spesa di 3 milioni.
di Ipazia
L’istituto del Garante del contribuente si è rivelato sostanzialmente un flop. Almeno per quanto riguarda il numero di istanze presentate. In media si tratta di circa 14 casi l’anno in tutta Italia di un certo rilievo con alcune sedi come la Basilicata e Bolzano dove non è stata presentata nessuna domanda. Un risultato abbastanza modesto se si pensa che all’epoca dell’introduzione fu presentato come l’emblema di un nuovo rapporto tra fisco e contribuente. Al modesto appeal dello strumento fa da contraltare una spesa di funzionamento, non certo trascurabile, di poco più di 3 milioni l’anno. Forse una attenta analisi costi benefici meriterebbe di inserire la struttura nel mirino della spending review alla quale stanno lavorando i tecnici del governo. Un numero così ridotto di trattazioni suscita perplessità, sia sotto il profilo qualitativo che quantitativo, soprattutto in relazione al costo della struttura. L’impressione generale che si ricava dalla valutazione dell’istituto e dalla sua contestualizzazione nel panorama fiscale italiano è che il garante abbia svolto nel decennio trascorso solo un ruolo di secondo piano, da mesto comprimario.La norma istitutiva (art. 13 della legge n. 212 del 27 luglio 2000) aveva ipotizzato uno strumento di trasformazione epocale, che, a conti fatti, si è rivelato un’arma spuntata. Un fallimento che a leggere bene tra le righe della norma si poteva, forse, anche prevedere. Un istituto senza poteri reali, né un’identità chiaramente definita, ben difficilmente avrebbe potuto incidere su un sistema rigidamente permeato da logiche formali e strutturali che lasciano spazi molto marginali ai tentativi di rinnovamento. L’istituto del Garante era già stato ipotizzato nel lontano 1992 quando per la prima volta venne proposta, in veste di disegno di legge costituzionale, la “Carta dei diritti del contribuente”. Nella versione originale era previsto un “Ufficio centrale”, i cui membri dovevano essere nominati dai Presidenti delle due Camere, anche nelle appendici periferiche. Tra le funzioni assegnate spiccavano l’esame preventivo dei modelli delle dichiarazioni e la legittimazione ad esprimere un parere vincolante “ispirato all’esigenza di chiarezza e semplificazione dei modelli, in funzione della intelligibilità da parte del contribuente e della informatizzazione dei dati”. Per quattro anni il disegno di legge costituzionale cadde nel dimenticatoio e, solo nel 1996, fu riproposto al Senato, nella veste però di legge ordinaria. Nel frattempo però l’istituto era stato drasticamente ridimensionato. Nodo nevralgico è rappresentato ancora oggi dalla presunta autonomia, riconosciuta per legge all’istituto e che però nella sostanza non sarebbe sufficientemente tutelata, considerato che la struttura si avvale per le funzioni di segreteria di personale dipendente dall’Agenzia delle entrate e spesso le stesse sedi sono “offerte” dalle Direzione regionali.
A differenza di altri Garanti quello del contribuente esercita essenzialmente un’attività di tipo propulsivo nei confronti dell’amministrazione alla quale si rivolge perché questa corregga i propri atti anche attraverso l’autotutela. L’incarico ha durata triennale ed è rinnovabile per una sola volta.
Il garante interviene essenzialmente su iniziativa di parte, intesa come portatrice di un interesse legittimo che abbia subito una lesione a seguito dell’emanazione di un provvedimento che sia il prodotto di disfunzioni (situazione, purtroppo, assai lungi dal manifestarsi come eccezionale negli apparati amministrativi del nostro Paese di cui quello fiscale condivide la cronica endemica criticità), ovvero di mancato rispetto di procedure definite normativamente o comunque oggettivamente scorrette che diano luogo a comportamenti privi di “ratio”.
Nella veste di organismo super partes assicura il rispetto dei principi (diritto all’informazione, conoscenza degli atti e semplificazione, chiarezza e motivazione degli atti, tutela dell’integrità patrimoniale, rimessione in termini a favore dei contribuenti interessati da cause di forza maggiore, tutela dell’affidamento e della buona fede, interpello) introdotti dallo Statuto stesso, richiamandone l’osservanza e rivolgendo raccomandazioni ai dirigenti nel duplice obiettivo della tutela del cittadino e della migliore organizzazione dei servizi. Il garante comunque non ha poteri coercitivi veri e propri, né sono previste sanzioni per il mancato adeguamento dell’amministrazione ai suoi richiami; anche se più o meno velatamente l’articolo 13 fa riferimento alla conseguenza di “un eventuale avvio di procedimento disciplinare” da parte dell’autorità gerarchica superiore nei casi di particolare rilevanza “in cui il comportamento tenuto dall’amministrazione si riveli pregiudizievole nei confronti del contribuente”. Sarebbe difficile immaginare una tale soluzione nel caso in cui il pregiudizio verso il contribuente fosse determinato, come prevede espressamente la norma, “dalle disposizioni in vigore”. Sembra che il legislatore abbia riconosciuto, neppure tanto implicitamente, che la farraginosità e la complicatezza delle disposizioni di natura fiscale possono finire con il danneggiare il contribuente.
Riflessioni sullo svolgimento dell’attività: efficacia, coerenza, giurisdizione, economicità. Un delicato e controverso settore nel quale il garante è chiamato ad intervenire è quello dell’autotutela. Infatti, il garante può assumere iniziative dirette al riesame delle fattispecie nelle quali si ravvisa l’opportunità che l’Amministrazione ritorni sulle proprie decisioni adottando un provvedimento diverso. Anche in questo caso però il legislatore ha gravato il garante di un difficile compito di stimolo e pungolo per un’attività che, dalla stessa legge, è riservata alla esclusiva discrezionalità dell’Amministrazione. Resta inteso che l’intervento del garante è solo una delle forme di attivazione dell’autotutela, che, a fronte dell’insussistenza della pretesa tributaria, imporrebbe all’amministrazione di agire incontrando (ex art. 2 del DM 1997 n.37), l’unico limite nell’esistenza di un giudicato di merito favorevole all’amministrazione stessa.
Non potendo sostituirsi all’Ufficio nell’emissione di un provvedimento in autotutela, esso può semplicemente sollecitarne, su istanza della parte interessata, l’emanazione – qualora naturalmente ricorrano tutte le condizioni contemplate dalla normativa – limitandosi, negli altri casi, a meri richiami agli uffici competenti (i quali rispondono entro trenta giorni). nonché agli organi di controllo, informando l’autore della segnalazione. Inoltre possono essere oggetto di segnalazione anche le eventuali violazioni che il contribuente sottoposto a verifiche fiscali ritiene dei aver subito nel corso dell’attività di verifica, come previsto dall’art. 12, comma 6. In altre parole, oltre all’individuazione degli “aspetti critici più rilevanti” e alla prospettazione delle “relative soluzioni”, il “difensore del contribuente” non è dotato di poteri coercitivi tali da ritenersi come alternativo rispetto agli altri organi giudiziari (giudice ordinario o amministrativo) posti a tutela del ricorrente. Il garante, quindi, oltre a non aver sviluppato uno stabile rapporto fiduciario tra fisco e contribuente,. fallisce pure come strumento di deterrenza all’attività contenziosa. E questo avviene anche quando i poteri sono accordati dalla legge (c. 8 dell’art. 13 che consente “di accedere agli uffici finanziari e di controllare la funzionalità dei servizi di assistenza e di informazione nonché l’agibilità degli spazi aperti al pubblico”) perché non risulta che poi siano effettivamente esercitati. Si tratta di rassegnazione e sfiducia nel proprio ruolo istituzionale o, più ottimisticamente, del riflesso degli sforzi compiuti dall’Agenzia delle entrate, in materia di assistenza fiscale al contribuente?
La conferma della scarsa incisività dell’azione del Garante è rinvenibile pure nella giurisprudenza che (sentenze della Corte di Cassazione a sezioni unite nn. 10486 del 30/04/2010 e 10131 del 27/04/2010) qualifica come “irrilevante”, ai fini del thema decidendum, il provvedimento dell’Ufficio del Garante. Anche il rispetto della “clausola” prevista dalla convenzione tra l’Agenzia delle Entrate e il Ministero (art. 3, c. 9 relativamente al triennio 2009/11) che impone all’Agenzia di dare risposta alle segnalazioni del Garante entro trenta giorni, inviando contestualmente copia della documentazione anche al Direttore Generale delle Finanze”. Qualche perplessità desta anche la composizione dell’organo per le problematiche connesse. Il garante è composto da tre membri scelti ciascuno in tre diverse categorie professionali. Dalla prima categoria promana il Presidente, a garanzia di indipendenza, imparzialità e terzietà. Tuttavia già questa prima garanzia sembra inficiata nel caso in cui in uno stesso componente confluiscono le figure del professore universitario e del professionista, l’uno in pensione e l’altro no.
Altro delicato aspetto che meriterebbe una riflessione è la circostanza che al garante spesso si rivolgano i consulenti fiscali piuttosto che i contribuenti. Tale fenomeno non è certo impedito dalla norma, ma dimostra ancora una volta come dell’istituto nel tempo si tenda a fare un uso distorsivo, in quanto si finisce per favorire l’esistenza di un filtro tra contribuente e fisco senza raggiungere l’originario obiettivo perseguito dal legislatore; cioè stimolare e potenziare un rapporto diretto con il contribuente. Tutto ciò lasciando in disparte i non trascurabili profili di eventuale incompatibilità tra la componente che esprime gli ordini professionali in seno al garante e il rapporto che si instaura con gli stessi consulenti.
Alle considerazioni espresse va aggiunto che la composizione del garante ricalca più o meno, e senza grande sforzo di fantasia, quella delle Commissioni tributarie. Però, diversamente dall’analitica disciplina che le regolamenta, nulla è previsto in merito ad assenze, revoche o sostituzioni. A confermare, si potrebbe pensare forse con una punta di malizia, che eventuali rallentamenti dell’attività dei garanti non ne inficerebbero comunque l’azione che, come noto, non è soggetta a termini di prescrizione. Infatti, a parte la scadenza di trenta giorni attribuiti all’Agenzia delle entrate per corrispondere a richieste di chiarimenti, non risulta che a tutt’oggi le diverse articolazioni del garante si siano coordinate tanto da adottare una procedura comune con tempi rapidi e, comunque, predefiniti di intervento (ad es. tempi di lavorazione, istruttoria ed esame della richiesta del contribuente). Sembra quasi che siano state mutuate dai garanti la vischiosità e le anomalie dell’attività giurisdizionale, quasi che il garante più che costituire un utile strumento di deterrenza all’attività contenziosa di fatto abbia importato alcune patologie del sistema.
Le criticità esposte in una visione prospettica congiurano per un eclissamento dell’aura disegnata dalla norma introduttiva in difficile rapporto di sopravvivenza logico-giuridica con le successive previsioni normative. L’incertezza interpretativa che ruota intorno all’autorità indipendente del difensore civico in materia tributaria impone un chiarimento anche in vista dell’attuazione del federalismo fiscale e di conseguenza del maggiore peso che sarà assunto dai tributi di carattere territoriale. In questa materia già così magmatica si innesta, poi, il recente istituto della mediazione tributaria relativa alle liti di importo non superiore a 20.000 euro che ha l’obiettivo di abbattere il contenzioso anche attraverso l’autotutela obbligatoria. In considerazione della intervenuta stratificazione normativa sarebbe dunque inevitabile un ripensamento del legislatore sulla sistematicità della materia.