Di Luciano Cerasa
Dal 2000 al 2024, il Pil in Italia è aumentato del 9,3 per cento in termini reali: nello stesso periodo la crescita è stata di circa il 30 per cento in Germania e Francia e di oltre il 45 per cento in Spagna.
L’occupazione è cresciuta, ma trainata da settori a bassa produttività. Tra il 2000 e il 2024 il numero degli occupati è aumentato del 16 per cento, in linea con Francia e Germania. Tuttavia, questa crescita è stata sostenuta soprattutto dalle attività dei servizi a basso contenuto tecnologico e ad alta intensità di lavoro, e non compensata dall’espansione delle attività a produttività elevata. Come conseguenza, il Pil per occupato in Italia si è ridotto del 5,8 per cento (mentre in Francia, Germania e Spagna è cresciuto di circa l’11-12 per cento) e il Pil per ora lavorata è aumentato di appena lo 0,7 per cento, condizionando negativamente la dinamica salariale.
Nel mercato del lavoro, nonostante l’occupazione abbia raggiunto il massimo storico, l’Italia presenta ancora tassi di partecipazione tra i più bassi d’Europa, in particolare per giovani e donne. La qualità dell’occupazione è migliorata in termini di stabilità, ma persistono forti vulnerabilità.
Nel 2023 si è registrato un nuovo slancio degli espatri di giovani laureati, 21mila ragazzi tra 25 e 34 anni (+21,2 per cento sul 2022). I rientri in patria di giovani laureati sono contenuti, pari a 6mila unità, e in calo (-4,1 per cento sul 2022). Ne deriva una perdita netta di 16mila giovani risorse qualificate (97mila in 10 anni).
l capitale umano giovane risulta un fattore chiave per la digitalizzazione e la crescita: l’aumento di un punto nella quota di giovani (sotto i 35 anni) sul totale degli addetti laureati ha migliorato di oltre un punto percentuale la probabilità di successo nell’adozione delle tecnologie prima della crisi pandemica e il livello dell’occupazione e del fatturato nel periodo 2018-2022.
Risiedere nel Mezzogiorno rappresenta uno svantaggio nella probabilità di migliorare la propria condizione reddituale (intesa come passaggio a un quarto superiore nella distribuzione del reddito) pari a quasi 8 punti percentuali rispetto al Nord-ovest. Per contro, chi decide di cambiare SLL ha una probabilità aggiuntiva di avanzamento economico di circa 4 punti percentuali.
Le condizioni economiche delle famiglie restano fragili. La povertà assoluta è stabile rispetto all’anno precedente ma in aumento nel confronto con il 2014. Anche tra chi lavora si diffonde la vulnerabilità economica con l’aumento delle persone i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato.
La dinamica demografica e sociale
La dinamica demografica e sociale dell’Italia continua a riflettere trasformazioni profonde, che attraversano generazioni, territori e gruppi sociali. La popolazione residente è in costante calo, spinta da una dinamica naturale fortemente negativa, solo parzialmente compensata da un saldo migratorio positivo.
I cambiamenti demografici si intrecciano con quelli familiari. Le famiglie diventano sempre più piccole: cresce il numero di persone che vivono da sole, aumentano le libere unioni, le famiglie monogenitore e quelle ricostituite, mentre si riduce la presenza dei nuclei familiari con figli.
Sul fronte dell’istruzione si registra un miglioramento dei livelli medi, ma persistono ampi divari rispetto alla media dell’UE27. Le competenze digitali, sempre più centrali nel mondo del lavoro e nella vita quotidiana, mostrano livelli ancora insufficienti soprattutto se confrontati con l’obiettivo fissato dal programma strategico UE per il decennio digitale.
Nel mercato del lavoro, nonostante l’occupazione abbia raggiunto il massimo storico, l’Italia presenta ancora tassi di partecipazione tra i più bassi d’Europa, in particolare per giovani e donne. La qualità dell’occupazione è migliorata in termini di stabilità, ma persistono forti vulnerabilità.
Le condizioni economiche delle famiglie restano fragili. La povertà assoluta è stabile rispetto all’anno precedente ma in aumento nel confronto con il 2014. Anche tra chi lavora si diffonde la vulnerabilità economica con l’aumento delle persone i cui redditi non sono sufficienti a garantire un livello di vita adeguato.
Le condizioni di salute mostrano segnali contrastanti. La speranza di vita alla nascita ha superato i livelli pre-pandemici, ma gli anni vissuti in buona salute si riducono, soprattutto tra le donne e nel Mezzogiorno. La rinuncia alle prestazioni sanitarie è in aumento, in particolare a causa delle lunghe liste di attesa o per motivi economici. Il disagio psicologico cresce e le condizioni di salute soggettive dichiarate dalle persone con disabilità restano critiche. Per loro la prevalenza di malattie croniche è molto elevata, colpendo in particolare gli anziani, con un impatto più marcato sulle donne.
L’invecchiamento della popolazione continua. Circa un quarto della popolazione (24,7 per cento al 1° gennaio 2025) ha almeno 65 anni. Tra questi, cresce in particolare il numero di persone di 80 anni e più (4 milioni e 591mila).
I cittadini stranieri e i nuovi cittadini italiani sono l’unico segmento in crescita della popolazione. Al 1° gennaio 2025, i cittadini stranieri residenti sono 5,4 milioni (+3,2 per cento sul 2024), pari al 9,2 per cento della popolazione. Gli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana nel corso del 2024 sono 217mila, in crescita rispetto all’anno precedente (214mila).
Le previsioni demografiche indicano che l’Italia continuerà ad affrontare un calo delle nascite e un aumento della mortalità, con un saldo naturale sempre più negativo. L’incertezza sulle dinamiche migratorie, che potrebbero contribuire a contrastare la crisi demografica, rimane alta, legata a fattori economici e geopolitici. La popolazione residente in Italia, secondo lo scenario mediano, è destinata a diminuire, passando da circa 59 milioni al 1° gennaio 2023 a 58,6 milioni nel 2030 e a 54,8 milioni nel 2050.
Gli occupati e i disoccupati
Nel 2023, solo il 65,5 per cento dei 25-64enni possiede almeno un diploma di scuola secondaria superiore, contro il 79,8 per cento della media UE27. Il divario è ancora più ampio sul fronte dei laureati: appena il 21,6 per cento in Italia, a fronte del 35,1 per cento nella media europea e quote doppie in Francia e Spagna. Il ritardo riguarda anche le generazioni più giovani, in particolare per l’istruzione terziaria: tra i 25-34enni, il 31,6 per cento ha un titolo terziario nel 2024, un dato in crescita ma ancora lontano dall’obiettivo europeo del 45 per cento entro il 2030.
L’abbandono scolastico precoce, seppur in calo, rimane una criticità. Nel 2024, il 9,8 per cento dei giovani tra 18 e 24 anni lascia il sistema di istruzione e formazione senza aver conseguito un titolo secondario superiore. Il fenomeno è più diffuso tra gli uomini (12,2 per cento), nel Mezzogiorno (12,4 per cento) e tra i giovani con cittadinanza straniera (24,3 per cento).
Le competenze digitali restano insufficienti per raggiungere gli obiettivi europei. Nel 2023 solo il 45,8 per cento degli italiani tra i 16 e i 74 anni possiede competenze digitali almeno di base, contro una media UE27 del 55,5 per cento e obiettivi europei che puntano all’80 per cento entro il 2030.
Nel 2023, nell’UE27 oltre 94 milioni di persone (21,3 per cento del totale) sono a rischio di povertà o esclusione sociale. In Italia, nello stesso anno, si trova in questa condizione il 22,8 per cento della popolazione residente, un dato in sostanziale diminuzione rispetto al passato (era 28,4 per cento nel 2015), a differenza di Paesi come la Francia e la Germania, nei quali il rischio di povertà o esclusione sociale (rispettivamente, 20,4 per cento e 21,3 per cento) è in aumento rispetto al 2015 (+2,0 e +1,3 punti percentuali).
Nel 2024, oltre un quinto della popolazione residente in Italia è a rischio di povertà o esclusione sociale: il 23,1 per cento della popolazione, sostanzialmente stabile rispetto al 2023, ricade in almeno una delle tre condizioni che definiscono il rischio di povertà o esclusione sociale: rischio di povertà (18,9 per cento), grave deprivazione materiale e sociale (4,6 per cento), bassa intensità di lavoro (9,2 per cento)
Il Mezzogiorno resta l’area più esposta al rischio di esclusione sociale. L’incidenza raggiunge il 39,8 per cento nel Sud e il 38,1 per cento nelle Isole. L’incidenza è più bassa per chi vive in coppia senza figli, soprattutto se la persona di riferimento della famiglia ha almeno 65 anni (15,6 per cento), ed è invece quasi doppia per gli individui che vivono in famiglie in cui il principale percettore di reddito ha meno di 35 anni (30,5 per cento).
Nel 2023 la povertà assoluta resta stabile, ma su livelli elevati. Le famiglie in povertà assoluta sono 2,2 milioni (8,4 per cento del totale), mentre gli individui coinvolti sono circa 5,7 milioni di persone, pari al 9,7 per cento della popolazione residente. Rispetto al 2014, l’incidenza è aumentata di 2,2 punti percentuali a livello familiare e di 2,8 punti a livello individuale.
Le famiglie con minori restano le più esposte alla povertà assoluta. Nel 2023, tra le famiglie con figli minori l’incidenza di povertà assoluta raggiunge il 12,4 per cento (13,8 per cento a livello individuale), con un incremento di oltre 4 punti rispetto al 2014. I minori in povertà assoluta sono circa 1,3 milioni.
Sebbene aumenti la speranza di vita alla nascita, la quota di anni vissuti in buona salute si riduce, soprattutto per le donne. Nel 2024, gli uomini possono aspettarsi di vivere in buona salute 59,8 anni in media, in linea con il 2019. Per le donne, invece, il valore scende a 56,6 anni, il minimo dell’ultimo decennio.
Nel 2024 circa una persona su 10 (9,9 per cento) ha rinunciato a visite o esami specialistici, principalmente a causa delle lunghe liste di attesa (6,8 per cento) e per le difficoltà nel pagare le prestazioni sanitarie (5,3 per cento).
La rinuncia alle prestazioni sanitarie è in crescita sia rispetto al 2023 (7,5 per cento), sia rispetto al periodo pre-pandemico (6,3 per cento nel 2019), soprattutto per l’aggravarsi delle difficoltà di prenotazione.
Nel 2024 l’indice di salute mentale si attesta a 68,4 punti in media. Il disagio psicologico peggiora con l’aumentare dell’età.