di Pietro De Sensi*
Ho già avuto occasione di scrivere sul “caso dei dirigenti delle agenzie fiscali”, una prima volta per commentare a caldo la nota Corte Costituzionale n. 37 del 17 marzo 2015, una seconda volta alcuni giorni fa per una analisi che prova a fare chiarezza sulla reale situazione venutasi a creare nelle agenzie fiscali, che è ben più articolata e di ben più ampia portata rispetto alla semplicistica rappresentazione che troppe volte viene data.
Recentemente, anche un esperto ed attento analista di questioni di pubblico impiego, quale è Luigi Oliveri, non si è sottratto da questa che, nel mio secondo articolo, ho definito una “distrazione di massa”.
Difatti Oliveri, nell’articolo intitolato “lo strano caso dei funzionari-dirigenti”, pubblicato su lavoce.info, apre con un incipit sul caso dei dirigenti delle agenzie fiscali, definendolo apoditticamente “l’emblema delle conseguenze che derivano da modi non lineari di intendere e applicare le regole”.
Nei cinque punti che seguono sono commentati i passi salienti dell’articolo di Oliveri.
- “C’è una aberrazione giuridica, che deriva da una prassi e da una legge sotto molti aspetti poco giustificabili e che ha portato alla sentenza della Corte Costituzionale”.
In verità, gli incarichi dirigenziali ai funzionari interni, nell’amministrazione finanziaria, non sono mai promanati da una prassi, bensì da precise disposizioni normative, che prima della nascita delle agenzie fiscali erano contenute nell’art. 12, c. 3, del D.L. n. 79 del 1997, convertito in legge n. 140/1997, peraltro tuttora in vigore, e successivamente nell’art. 24 del Regolamento di Amministrazione, la cui prorogata vigenza negli ultimi anni è stata rafforzata dalle leggi dichiarate incostituzionali con la sentenza n. 37/2015.
- Alla prassi di attribuire tali incarichi ne sarebbe conseguita la copertura legislativa dell’art. 19, c. 6, del D.Lgs. n. 165/2001, nella parte in cui consente di incaricare come “esterni” funzionari “interni”, evidenziandone la paradossale contraddizione in termini.
E’ evidente che qui il discorso esce dagli stretti confini delle agenzie fiscali e si allarga all’intero complesso mondo delle amministrazioni pubbliche. E non si tratta affatto di una paradossale contraddizione in termini, ma di una giusta ed opportuna disposizione legislativa (art. 14sexies, c. 3, D.L. n. 115/2005, convertito in L. n. 168/2005) che è andata a colmare un vuoto normativo in un ambito dove, qui era la prassi, molte amministrazioni pubbliche, comprese quelle che non disponevano di una esplicita e speciale previsione normativa analoga a quella esistente per l’amministrazione finanziaria, utilizzavano comunque i loro funzionari per la copertura di posizioni dirigenziali vacanti.
- Altro paradosso sarebbe quello di aver legittimato che un dipendente “conduca contemporaneamente due rapporti di lavoro con lo stesso datore”, il primo a tempo indeterminato, quiescente per effetto dell’aspettativa connessa al secondo rapporto di lavoro, a tempo determinato.
Non si comprende dove sia il paradosso. Non è mai stato vietato da nessuna norma che un pubblico dipendente a tempo indeterminato assuma un impiego a tempo determinato presso la stessa o altra pubblica amministrazione, dello stesso comparto o anche di diversi comparti. Tutti i contratti collettivi nazionali di lavoro prevedono, in simili ipotesi, il collocamento in aspettativa.
Tali situazioni possono capitare non di rado, perché il pubblico dipendente è libero di partecipare, da candidato esterno, alle selezioni pubbliche per assumere incarichi a termine nella propria o in altre amministrazioni. L’apertura degli incarichi dirigenziali, ex art. 19, c. 6, D.Lgs. n. 165/2001, anche ai funzionari interni, non ha fatto altro che aggiungere una nuova casistica alle molteplici altre già da tempo esistenti.
Tra queste rientra persino la possibilità di fruire di un anno di aspettativa per poter avviare attività imprenditoriale (art. 18, c. 1, L. n. 183/2010), persino in deroga alla disciplina sulle incompatibilità prevista dall’art. 53 del D.Lgs. n. 165/2001.
- Il vero scopo dei ricorsi giurisdizionali attivati dai funzionari delle agenzie fiscali, stante le scarse possibilità di successo, sarebbe quello di “mettere sotto pressione il governo e i vertici delle agenzie, per una soluzione ad hoc, che in un modo o nell’altro, se adottata, non potrà che essere una sanatoria”.
Solo un adeguato approfondimento della conoscenza del caso delle agenzie fiscali può far comprendere che la vicenda dei circa 1.000 funzionari che hanno perso l’incarico dirigenziale, centinaia dei quali lo svolgeva da oltre dieci anni, è molto dolorosa sul piano soggettivo e sta creando, sul piano oggettivo, un fortissimo impatto disfunzionale sulle agenzie fiscali.
Dopo la prima fase successiva alla sentenza della Corte Costituzionale nella quale tutti, con il senso di responsabilità metabolizzato in lunghi anni di funzioni dirigenziali, hanno offerto, senza sostanziale soluzione di continuità, la loro piena collaborazione, si è passati alla attuale fase nella quale, il combinato effetto delle misure legislative (art. 4-bis del D.L. n. 78/2015, convertito in legge n. 125/2015) di sostegno al rapido reclutamento dei nuovi dirigenti ed alla riorganizzazione agenziale in atto, unito alla totale assenza di un adeguato intervento legislativo di valorizzazione delle esperienze lavorative maturate e maturande, ha già indotto centinaia di questi funzionari a cercare risposte in sede giurisdizionale.
L’effetto immediato sarà certamente foriero di ulteriori negative ripercussioni sul buon andamento delle agenzie fiscali, mentre sul piano dei diritti soggettivi azionati, quand’anche dovessero arrivare positivi riscontri, porterebbero non ad una tutela reale ma al più ad un ristoro aspecifico (per equivalente), per sua natura inadeguato alla concreta salvaguardia delle esperienze lavorative.
Quindi, i moltissimi ricorsi non sono affatto uno strumento di pressione sul governo per ottenere una soluzione ad hoc ma, semmai, esattamente il contrario; ossia, è la mancata soluzione legislativa ad hoc che sta inducendo i funzionari a percorrere le vie giudiziarie.
Soluzione legislativa che, come ho avuto occasione di argomentare nel mio secondo articolo, non vuole e non può essere “una sanatoria”, bensì dovrà attenersi scrupolosamente alla tutela dell’interesse pubblico alla valorizzazione delle esperienze lavorative dei funzionari interni, atteso che, alle condizioni date, il canone costituzionale del concorso pubblico ordinario non è oggettivamente in grado di adempiere al suo compito di essere “funzionale” al buon andamento delle amministrazioni pubbliche “agenzie fiscali”.
- “E’ ingiustificabile che presso ministeri, regioni ed enti locali vi siano migliaia e migliaia di funzionari incaricati come dirigenti esattamente nello stesso modo con cui sono stati cooptati i funzionari delle agenzie, senza che nessuno abbia nulla da eccepire”.
La pubblica amministrazione non è un monolite ma si compone di una variegata e numerosissima gamma di amministrazioni pubbliche (ministeri, regioni, province, comuni di grandi e piccole dimensioni, unione di comuni, agenzie nazionali e regionali, enti pubblici non economici, enti regionali, enti ed istituti di ricerca, università, scuole, aziende sanitarie territoriali, ospedali), dirette da una altrettanto variegata e numerosa classe manageriale (dirigenti di ruolo, professori universitari, liberi professionisti, magistrati fuori ruolo o in aspettativa, manager provenienti dal settore privato, …), che possiede una diversissima base culturale e formativa e proviene dai più svariati canali di accesso (concorso pubblico per dirigenti a tempo indeterminato, selezione pubblica per il conferimento di incarico dirigenziale a termine, nomina fiduciaria di tipo tecnico non soggetta a spoil system, nomina fiduciaria a carattere politico soggetta a spoil system, …).
Pertanto, di fronte ad una così multiforme e disomogenea squadra di comando cui sono affidate le redini di migliaia di pubbliche amministrazioni, come è possibile relegare il fenomeno dei “funzionari incaricati come dirigenti”, dalle vaste dimensioni spaziali e temporali descritte, a mero genus della più ampia specie delle deteriori pratiche manageriali di abusi o favoritismi privi di qualsivoglia substrato meritocratico?
Si impone, evidentemente, un approfondimento della fattispecie.
Potremmo così scoprire che, a fronte di una minima casistica di consapevoli abusi nell’uso del potere discrezionale di scelta e di una certamente più numerosa casistica di involontari errori, risulterà molto più significativa ed ampia la casistica di “funzionari incaricati come dirigenti” che hanno efficacemente contribuito al buon funzionamento della pubblica amministrazione di cui fanno parte e che, anche grazie all’incarico ricevuto, hanno potuto successivamente consolidare il loro status dirigenziale e, talvolta, anche assumere funzioni manageriali.
Potremmo anche scoprire, andando ad analizzare le più virtuose pratiche di selezione e scelta, che spesso l’incarico dirigenziale conferito non è altro che la promozione sul campo del funzionario che aveva dimostrato, con gli atti e coi comportamenti agiti, di possedere e saper esercitare quelle particolari abilità e competenze, tecniche ed attitudinali, che costituiscono il necessario bagaglio di un buon dirigente.
Potremmo soprattutto scoprire che i connotati di temporaneità e reversibilità dell’incarico, consentono agevolmente ed in ogni momento la conferma o la revisione della scelta effettuata, a differenza della sostanziale irrimediabilità di una errata iniziale scelta definitiva, scaturita da un pubblico concorso ordinario che, su basi valutative esclusivamente teoriche, conferisce a vita lo status di dirigente.
Potremmo peraltro scoprire che la diffusa pratica del conferimento di incarichi dirigenziali a funzionari interni è una delle pochissime leve gestionali che accomuna i manager delle pubbliche amministrazioni a quelli delle organizzazioni ed imprese del settore privato.
Potremmo, sul versante legislativo, scoprire che:
a. dal 1998, la formulazione dell’attuale art. 52 del D.Lgs. n. 165/2001, nel testo proveniente dall’art. 56 del D.Lgs. n. 29/1993, come modificato dal D.Lgs. n. 80/1998, prefigurava la coesistenza, accanto al canonico percorso di carriera di tipo concorsuale, due distinti percorsi basati sullo sviluppo professionale o su altre procedure selettive, stante il dettato letterale che prevedeva la possibilità di adibire il lavoratore a mansioni “corrispondenti alla qualifica superiore che abbia successivamente acquisito per effetto dello sviluppo professionale o di procedure concorsuali o selettive“;
b. dalla fine del 2009, quindi undici anni dopo, anzichè favorire la regolamentazione di tali percorsi alternativi al concorso ordinario, con il D.Lgs. n. 150/2009 è stato riscritto l'art. 52, del D.Lgs. n. 165/2001, cancellando tali opportunità e canalizzando la possibilità di superiore inquadramento professionale nelle sole "procedure selettive di cui all'articolo 35, comma 1, lettera a)", ossia i concorsi pubblici per esami;
c. dall'agosto 2015 la riforma cd. Madia (legge n. 124/2015) apre a nuovi interessanti orizzonti sul tema dell'accesso alla dirigenza, non solo perchè detta nuovi principi guida per le procedure concorsuali pubbliche di reclutamento, ma soprattutto, con riferimento al tema che ci occupa, perchè codifica un particolarissimo e stretto legame tra la categoria dei dirigenti e quella dei funzionari, con possibilità di passaggio da una categoria all'altra all'esito del primo triennio successivo al superamento della procedura concorsuale, che rievoca molto da vicino sia la disposizione dell'art. 19, c. 6, del D.Lgs. n. 165/2001, nella parte in cui consente ad un funzionario di essere nominato dirigente nella sua stessa amministrazione, sia la speciale disposizione dell'art. 24 del Regolamento di amministrazione delle agenzie fiscali, che consentiva il conferimento di incarichi dirigenziali ai funzionari interni.
Concludendo, sono tanti gli spunti di riflessione ed approfondimento sui connessi temi dell’accesso alla dirigenza e della valorizzazione professionale dei funzionari, di estrema attualità non solo per il noto caso dei dirigenti delle agenzie fiscali ma, più in generale, per l’approssimarsi del varo dei decreti delegati di attuazione della cd. riforma Madia, chiamati a tradurre in puntuali precetti gli innovativi principi guida contenuti nella legge quadro.
* L’autore è stato dirigente presso la Direzione centrale del personale dell’Agenzia delle entrate di Roma. Dal 2012 è Direttore amministrativo dell’agenzia regionale per la protezione dell’Ambiente della Calabria.













