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martedì 17 Giugno 2025
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La riforma della dirigenza pubblica, più ombre che luci

Fisco Equo pubblica un’analisi di Giuseppe Farina* sulla riforma della Pubblica Amministrazione, in particolare sulle norme che regolano il rapporto d’impiego dei dirigenti pubblici. (Vai al documento)

 

Doveva essere “la volta buona”, ma a ben guardare, la riforma della dirigenza pubblica, somiglia più che altro a un’occasione persa. Al netto di qualche – isolato- elemento innovativo, il testo appena entrato in vigore non risolve vecchi equivoci né sembra in grado di garantire un assetto migliore per la Pa, anzi. Da un lato si rinnova il falso mito della privatizzazione del rapporto, dall’altro si peggiorano le contraddizioni ereditate dal passato. Il tutto in assenza di un chiaro disegno di riorganizzazione, vero punto debole dell’intera riforma.

 

Poche luci quindi, ma soprattutto tante ombre. In primo luogo perché, e non è la prima volta, il testo è ai limiti della comprensibilità. Un groviglio di tecnicismi, rinvii e lungaggini che non risponde a un’esigenza primaria: quella di predisporre regole chiare e sintetiche.

In secondo luogo perché, contrariamente agli intendimenti della riforma, per i dirigenti della Pa non si configura un vero rapporto di diritto privato. Ancora una volta il Legislatore tende a considerare come privatizzato il rapporto d’impiego dei dirigenti, quando nella realtà la procedura di conferimento dell’incarico non è poi così diversa dal “vecchio” provvedimento autorizzativo: sia in termini di retribuzione (che nel rapporto privatistico deve essere oggetto di contrattazione), sia in tema di revoca, visto che il presupposto del “mancato raggiungimento degli obiettivi” non trova collocazione nel rapporto di diritto privato.

 

Terzo, la riforma non riguarda tutti i dirigenti. Col risultato che da un lato ci saranno dirigenti per i quali vige il regime di diritto pubblico e che, in caso di controversia, sono tutelati dinanzi al giudice amministrativo; dall’altro dirigenti “regolati” dal diritto privato che dovranno ricorrere al giudice civile (ordinario). Il tutto senza che vi sia una specifica giustificazione alla disparità di trattamento.

 

L’aspetto più preoccupante, però, è che alla base della riforma non vi sia un disegno di radicale riorganizzazione. Non è chiaro, ad esempio, perché il Legislatore abbia voluto istituire tre ruoli di dirigenti: quelli di Stato, quelli regionali (camere di commercio, enti pubblici, servizio sanitario nazionali) e quelli degli enti locali (nel quale confluiscono pure i segretari comunali). Non solo. Per ciascun ruolo sarà istituita un’apposita commissione che avrà il compito di valutare le performance ai fini dell’attribuzione o revoca degli incarichi, ed è lecito supporre che un lavoro così intenso determinerà ritardi nelle nomine e negli atti di conclusione degli incarichi. La creazione di dette commissioni induce però anche a un’altra considerazione: in sostanza, il Legislatore conferma implicitamente la totale sfiducia nei confronti degli organi a quali spetta l’attribuzione degli incarichi, compresi quelli di vertice politico.

 

Altro elemento fortemente critico è l’eliminazione della distinzione fra dirigenti di prima e seconda fascia. Si tratta di un’innovazione assoluta, non sostenuta da alcuna esperienza, e che non convince per diversi motivi: in primis perché non risponde all’esigenza – imprescindibile per organizzazioni anche minimamente complesse- di fissare scale di responsabilità; in secondo luogo perché determinerà diversificazioni scoordinate, sia sul piano dell’equità che su quello della retribuzione. 

 

Punto dolente della riforma è pure quello relativo alla valutazione dei risultati. Se è lo stesso Legislatore a rimarcare che deve esservi il “rilievo dei suoi esiti per il conferimento dei successivi incarichi”, vuol dire che finora non molti si sono attenuti a questa banale e ovvia considerazione. Eppure basterebbe stabilire una regola semplice, ma precisa e generale: chi ha requisiti e meriti può accedere alla dirigenza o proseguire nell’incarico; chi non li ha, invece, no. (Vai al documento)

 

 

*(L’autore è stato consigliere di Stato ed ha svolto, tra gli altri, gli incarichi di capo dell’Ufficio legislativo del Ministero delle finanze (1993), di capo di gabinetto del Ministro delle finanze (dal 1996 al 1999) e del Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica dal 2000 al 2001). 

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