Pioggia di norme ad hoc per garanire impunità ad amministratori di aziende e funzionari pubblici. Continui vulnus alle regole mettono in crisi un sistema già deficitario in tema di legalità
Nonostante le vicende giudiziarie degli ultimi tempi rendano sempre più evidente la crisi di legalità in cui si trova l’Italia, il legislatore non sembra perdere occasione per limitare i poteri degli organi di controllo e diminuire i rischi per chi viola le regole. Come ha anche denunciato l’Associazione magistrati della Corte dei conti, nella recente produzione normativa si registra una proliferazione di norme dirette ad eliminare o attenuare la responsabilità amministrativo-contabile dei pubblici operatori. Il governo ha inserito in una serie di provvedimenti salvacondotti, a volte anche preventivi, per garantire impunità ad amministratori e pubblici funzionari. Le regole del diritto vengono piegate ad esigenze particolari introducendo vulnus pericolosi nel sistema a favore di pochi e a danno della collettività.
I magistrati contabili ricordano a questo proposito l’art. 1 del decreto-legge 103 del 6 luglio scorso, concernente il commissariamento della società di navigazione Tirrenia, che esenta preventivamente da responsabilità – come già si era fatto per la vicenda Alitalia – chi (amministratori, collegio sindacale, dirigenti e funzionari) potrà cagionare danno all’erario e imputa la responsabilità stessa – direttamente ed esclusivamente – al bilancio delle società interessate. Il fine di questa norma è evidente: restringere gli spazi dei controlli giurisdizionali, a tutto vantaggio della insindacabilità degli atti gestionali, anche quando questi si rivelino scarsamente convincenti sul piano della razionalità e convenienza. Con specifico riferimento alla materia tributaria, va segnalato l’art. 29 del decreto-legge n. 78 approvato dal Senato e ora passato all’esame della Camera che, al comma 7, esclude la colpa grave dai casi di responsabilità amministrativa dei funzionari dell’Agenzia delle entrate nell’attività di definizione degli accertamenti mediante adesione o conciliazione giudiziale. In questo modo sarà possibile che palesi ed imperdonabili violazioni delle regole per le quali non risulti sussistente (o provato) il dolo vadano esenti da responsabilità senza alcuna conseguenza per gli autori.
Ed appare illuminante, al riguardo la giustificazione che della norma dà la relazione governativa, che merita di essere riportata per intero: “l’ulteriore disposizione del comma 7 ha la finalità di aumentare la deflazione del contenzioso ottenibile mediante gli istituti della transazione fiscale, nonché dell’adesione all’accertamento e della conciliazione giudiziale. Si tratta, peraltro, di norma in parte analoga a quella già esistente in materia di lavoro pubblico (articolo 66, comma 8, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, il quale, con riguardo alle proposte di conciliazione delle liti, esclude completamente la responsabilità amministrativa) che è, altresì, connessa alle caratteristiche peculiari dei suddetti istituti, finalizzati alla deflazione del contenzioso ed al perseguimento della migliore soddisfazione del credito erariale nel rispetto delle finalità evidenziate. Occorre infatti sottolineare la particolare complessità delle valutazioni cui sono chiamati i responsabili degli atti e provvedimenti in parola: tali valutazioni vengono effettuate sulla base dei mezzi di prova ammessi in materia tributaria che, come noto, soffrono di particolari limitazioni. Va altresì evidenziato come permanga la responsabilità disciplinare conseguente alla inosservanza, anche in caso di colpa, della normativa e della prassi amministrativa, la quale può determinare l’irrogazione di gravi sanzioni fino al licenziamento del dipendente”.
In pratica, secondo il pensiero governativo, l’obbligazione tributaria, da obbligazione di natura pubblicistica sembrerebbe degradare a rapporto privatistico (il richiamo all’art. 66, comma 8, del d.lgs. n. 165, cioè alla transazione nelle controversie di lavoro regolate dal diritto privato è rivelatore sul punto) che può essere “gestito” in modo personalizzato sulla base degli accordi raggiunti con il contribuente. L’unico sindacato in caso di colpa può essere esercitato dalla stessa amministrazione con i suoi poteri disciplinari. Ma allora, viene da chiedersi, che cosa accadrà se a dare causa al comportamento gravemente colpevole sono proprio le direttive impartite dagli organi superiori competenti ad esercitare il potere disciplinare, magari spinti a ciò dall’esigenza di “portare a casa” un risultato comunque utile per il raggiungimento degli obiettivi di budget? La nuova disposizione, in sostanza, sembra implicitamente spostare l’ambito dell’accordo che interviene tra il fisco e il contribuente con il procedimento di adesione o di conciliazione, dalla prova del presupposto di fatto ad uno qualsiasi degli elementi (anche solo giuridici) che danno luogo all’obbligazione tributaria, con possibile violazione dei principi costituzionali contenuti negli articoli 3 (uguaglianza), 23 (riserva di legge) 53 (capacità contributiva) e 97 (buon andamento). Come denunciato dall’associazione dei magistrati contabili, è da ritenere che questo intervento legislativo limitativo della responsabilità amministrativa per colpa grave possa essere in contrasto con l’art. 103 della Costituzione, come già ha avuto modo di affermare la Corte costituzionale con sentenza n. 340 del 2001.
D’altro canto le iniziative legislative volte ad indebolire il sistema repressivo degli illeciti sembrano essere ormai un elemento pressoché costante della politica giudiziaria italiana. Basti ricordare la sostanziale abrogazione del reato di falso in bilancio, divenuto perseguibile – nel caso delle società non quotate – soltanto in seguito a querela di parte; le norme sulla prescrizione dei reati, finalizzate a garantire l’impunità dei responsabili di gravi violazioni in materia economico-finanziaria; l’attenuazione delle già contenute sanzioni tributarie amministrative, i ricorrenti condoni fiscali, valutari, edilizi, ecc. Un’ultima recentissima conferma del lassismo che ispira l’attuale legislatore si è avuta proprio nel maxiemendamento al d.l. 78 approvato pochi giorni fa dal Senato (art. 48, comma 2-bis) che ha introdotto una esenzione dai reati di bancarotta previsti dalla legge fallimentare nel caso di pagamenti conseguenti a concordato preventivo, accordo di ristrutturazione dei debiti e piano di risanamento della situazione debitoria dell’impresa. In questo modo si rischia di giustificare, per il solo fatto che sussista un piano di risanamento, condotte che fino ad oggi hanno integrato i reati di bancarotta preferenziale e di bancarotta semplice. Usque tandem…?