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martedì 1 Luglio 2025
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Parte la voluntary, tra silenzi normativi e ambiti di impunità

Le problematiche legate alla circolazione del contante, tra politiche insufficienti e strategie incorerenti. Non ultima la voluntary disclosure, che da strumento prezioso per conoscere le infinite vie dei proventi illeciti potrebber trasformarsi in un salvacondotto penale e anonimo. Un’analisi di Fabio Di Vizio*. (Vai al documento).

Se la voluntary disclosure è davvero “l’ultima chiamata” per gli evasori, se davvero di confessione piena e spontanea si tratta, allora che lo sia fino in fondo. Che consenta davvero di far conoscere come i fiumi di denaro siano stati riciclati, trasferiti, taciuti e nascosti. Che non si riduca a una semplice sanatoria quello che, viste le condizioni, potrebbe risultare uno strumento prezioso per comprendere le forme attraverso cui si esplicita l’evasione. Perché l’operazione abbia un senso compiuto, le informazioni collegate alla procedura dovrebbero essere fruibili per ragioni istituzionali: in modo trasparente e verificabile, senza timidezze né timori. Solo così si potrà dare un nome alle cose, associare una volta per tutte gli strumenti ai fenomeni. Come il contante al sommerso, ad esempio. Perché si può negare la relazione fra soglie e pratiche illegali, ma non disconoscere le ragioni dissuasive delle prime sulle seconde.

Solo contanti. E nemmeno l’importanza di queste ragioni. Secondo studi recenti, l’utilizzo del contante costa all’Italia 8 miliardi l’anno, pari allo 0,52% del Pil contro lo 0,40% della media Ue. Costi che gravano sulle finanze pubbliche: se si riducesse l’uso del contante a vantaggio dei moderni sistemi di pagamento elettronico si avrebbe un indubbio vantaggio in termini di efficienza con la dematerializzazione. Eppure la banconota resiste, anche al progresso. Da un lato perché consente di far fronte a bisogni imprevisti; dall’altro perché è il mezzo di pagamento che assicura il maggior grado di anonimato e segretezza. Non lascia tracce.

In Italia il mezzo di gran lunga più utilizzato è il contante. Per i pagamenti al di sotto dei 20 euro il contante è impiegato nel 91% dei casi (come Germania e Spagna), ma all’aumentare degli importi le distanze si allargano: per i pagamenti tra i 30 e i 100 euro in Italia lo si usa nel 77% dei casi, contro il 66% della Spagna, il 20 Olanda e il 15 Francia; per pagamenti fra 200 e mille euro si fa ricorso alla banconota il 31% delle volte contro il 21% della Germania, l’ 8% dell’Olanda e appena il 3% della Francia.

La tendenza europea a limitare la circolazione del contante ha spinto anche l’Italia ad adottare misure in questo senso. Che però si sono rivelate sostanzialmente innocue, come certificano le relazioni del Comitato di sicurezza finanziaria del Mef (e relative al periodo 2010-2014): nonostante il tetto all’utilizzo del contante sia stato modificato cinque volte tra il 2008 e il 2011, non sono stati rilevati effetti in termini di riduzione del numero di violazioni e sanzioni.

L’autoriciclaggio zoppo. Nel novero delle misure innocue potrebbe presto aggiungersi quella che ha introdotto il reato di autoriciclaggio. Connessa alla procedura di rientro dei capitali, la norma punta a impedire che il profitto collegato al delitto non sia nuovamente iniettato nel mercato. Che sia in grado di realizzare ciò che promette è questione dubbia, però. Si pensi al “finanziamento soci” o a nuovi conferimenti di capitale che derivano da imposte non versate e ricavi non dichiarati. Se si prendono in considerazione le piccole imprese italiane, tradizionalmente poco capitalizzate e che operano prevalentemente con risorse di terzi, appare chiaro che riconoscere le risorse occulte contenute nei finanziamenti di soggetti terzi risulta questione problematica. E non è l’unica zoppia. Nella formulazione del nuovo reato infatti, si stabilisce che il reato è commesso in considerazione della condotta, che deve essere tale da ostacolare l’identificazione della provenienza illecita. Così, chi ne fa un uso manifesto non corre pericoli. Al più si espone al rischio di essere scoperto per la consumazione del reato a monte, che nella maggior parte dei casi risulterà prescritto. Non solo: il piccolo perimetro in cui opera l’autoriciclaggio è esposto alle critiche di coloro che osservano un diverso trattamento tra re-immissione del provento illecito e utilizzo personale. Critiche che finora sono state attenuate dalla finestra temporanea della voluntary.

 

Vecchi scudi. La voluntary dislosure non è paragonabile agli scudi di tremontiana memoria, ma le analogie ci sono. Come il nuovo rientro dei capitali, anche quei condoni fiscali furono presentati come un ultimatum per regolarizzare le infedeltà passate, agitando lo spettro di una normativa più rigida che avrebbe introdotto nuove presunzioni fiscali contro i capitali detenuti nei paradisi fiscali, aumenti sanzionatori e termini di accertamento più lunghi. Gli scudi varati in quegli anni escludevano la punibilità penale per molti reati tributari e garantiva robusti effetti premiali, come l’estinzione delle sanzioni amministrative, tributarie e previdenziali (collegate a violazioni valutarie e relative alla disponibilità degli importi dichiarati) o l’esclusione degli accertamenti per i periodi d’imposta che avevano termine al 31 dicembre 2008. Non solo: consentivano un rimpatrio solo virtuale dei capitali portati all’estero e sottovalutavano in modo pesante la natura extra-tributaria e penale delle condotte. Il combinato disposto di questi elementi- unita a una misera imposta straordinaria, prima del 5%, poi elevata al 6 e al 7 per cento-  favorì il “successo” della procedura, che contò la presentazione di oltre 206mila dichiarazioni riservate per un valore complessivo di attività scudate pari a 104,5 miliardi di euro (cinque miliardi delle quali in contanti) e un gettito per l’erario di soli 5,6 miliardi.

La nuova sanatoria. La voluntary (estesa anche alle società di capitali) prevede invece sconti sulle sanzioni a fronte dell’integrale pagamento degli importi dovuti. Accedere alla procedura esclude la punibilità penale per un numero ampio e vario di delitti, a cominciare dai reati tributari (dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, dichiarazione fraudolenta mediante artifici, della dichiarazione infedele, dell’ omessa dichiarazione, dell’omesso versamento di ritenute certificate o di iva), di riciclaggio e reimpiego.

E prevede effetti premiali collaterali non secondari: ad esempio nel caso si esercitasse un’azione penale nei confronti del riciclatore (che è a conoscenza del procedimento che lo riguarda ma nel quale non sia emersa l’identità dell’autore del delitto tributario presupposto), quest’ultimo potrebbe tranquillamente avvalersi dell’immunità penale garantita dalla voluntary. O ancora: nel caso in cui l’oggetto di una intestazione fittizia derivasse da un provento illecito punibile con una pena non superiore a cinque anni (si pensi al mancato versamento Iva), allora l’integrazione con il reato di autoriciclaggio produrrebbe paraddossalmente la non punibilità della condotta.

Non sono gli unici ambiti d’impunità. Ce ne sono altri, alcuni ben più gravi e pericolosi. Come noto, la procedura obbliga i richiedenti ad integrare la domanda di accesso con una relazione di accompagnamento. Nella quale i contribuenti non dovranno spiegare puntualmente l’origine di investimenti o attività finanziarie detenute all’estero, ma solo “fornire la documentazione che ne attesti la precedente esistenza”. In pratica, solo l’estensione dell’istruttoria amministrativa consentirebbe di conoscere le modalità con cui la violazione è stata realizzata. Si pensi alla violazione dei vincoli al trasferimento del contante tra privati (nella fase di acquisizione di proventi e ricavi “in nero”) oppure alla trasgressione della disciplina sulla sorveglianza nei trasferimenti infra ed extracomunitari del contante (nella fase di nascondimento del capitale liquido all’estero): in entrambi i casi le corrispondenti violazioni amministrative, poste in atto per impedire l’evidenziazione dei reati, non verrebbero prese in considerazione dalla legge n. 186/2014. Non è ancora chiaro se il tutto finirà in un limbo di incertezza. Quel che è certo, però, è che estendere l’istruttoria consentirebbe di riconoscere la genesi penale dell’accumulazione dei redditi collegati alle attività estere e degli imponibili tributari. (Vai al documento).

*L’autore è Sostituto Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Pistoia.

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