La bozza di legge di Bilancio 2023 lascia drammaticamente congelati tutti i nodi ereditati dal precedente governo, che ora sono destinati a ingarbugliarsi ancora di più con il deteriorarsi del quadro economico. L’inflazione nel solo settore alimentare tocca punte del 40%, spingendo i consumatori meno abbienti a rivolgersi a prodotti di qualità inferiore e scarsa. I trasferimenti pubblici destinati a mitigare il rincaro delle bollette sono largamente insufficienti, per mettere al riparo le nostre imprese dalla concorrenza e le famiglie dal calo della capacità di acquisto. Il Mezzogiorno e le aree interne vengono ancor più penalizzati in termini relativi dalla riduzione del welfare destinato a famiglie e disoccupati. Aumentano le spese militari senza che sia segnalata nessuna apprezzabile attività sul piano diplomatico per arrivare a una composizione pacifica delle controversie. Si distraggono risorse dal Pnrr per finanziare ingiustificabili e inique mance fiscali a favore delle clientele elettorali. Il tutto nel quadro di una totale assenza di una politica industriale e di programmazione economica degne di questo nome.
Da tanta inadeguatezza spiccano in totale controtendenza – e anzi a favore di un ciclo economico che rallenta sempre più – pochi ma evidentemente imprescindibili provvedimenti, come l’aumento del limite di fatturato entro il quale si può usufruire del regime forfetario, da 65mila a 85mila euro. Si tratta di peggiorare gli effetti di quella flat tax bandiera del centrodestra largamente incostituzionale per molti aspetti, a cominciare dall’abolizione della progressività dell’imposizione. Ma c’è di più. Dipendenti e pensionati a parità di reddito si trovano a pagare in alcune fasce reddituali un’imposta anche tre volte maggiore sullo stesso ammontare denunciato da un lavoratore autonomo. Quel che fino ad oggi costituiva la gran massa dell’evasione delle due imposte principali, Irpef e Iva, viene “legalizzata” allargando a dismisura la coperta dell’aliquota unica al 15%, applicata per giunta su una base imponibile forfettariamente ridotta. Il tutto si traduce per il bilancio pubblico in un drammatico calo del gettito.
La fuga del lavoro indipendente dall’Irpef
L’Irpef è la principale imposta diretta e la prima fonte di entrate tributarie per lo stato italiano: quasi 200 miliardi nel 2021, circa il 10 per cento del Pil. Il ministero dell’Economia e delle Finanze ha ripartito il gettito dell’imposta secondo la fonte di reddito per ciascun anno dal 2000 al 2018. Per completare la serie con i due anni successivi si sono utilizzati i dati delle statistiche fiscali sui contribuenti distinti per tipologia di reddito prevalente.
Le tendenze di fondo sono risultate le seguenti: il lavoro dipendente (inclusi i redditi assimilati) genera mediamente il 55 per cento dell’Irpef.
il contributo dei pensionati è in crescita: all’inizio del secolo generavano il 20 per cento dell’Irpef, ora si è arrivati al 30 per cento.
Di contro il contributo in termini di gettito del lavoro autonomo è continuamente sceso: prima della crisi del 2008 oscillava tra il 18 e il 19 per cento dell’Irpef totale, ora si attesta dopo una continua contrazione al 12 per cento
Il ruolo dei regimi fiscali agevolati
il gettito Irpef del complesso del lavoro indipendente (autonomo, imprenditori, società) nel triennio 2018-2020 è diminuito significativamente e non solo per l’effetto della pandemia.
Tra il 2018 e il 2020 i lavoratori indipendenti sono scesi da 3,2 milioni a 2,4 milioni, quasi 800 mila in meno, pari a un quarto del totale. L’Irpef generata è diminuita di oltre 4 miliardi, passando da quasi 24 miliardi a 19,5. La platea risulta fortemente selezionata: meno contribuenti, con maggior reddito medio e maggior imposta media.
La ragione di questo andamento è riconducibile all’adesione ai regimi fiscali agevolati come il regime forfetario, allargato nel 2019 ai redditi fino a 65 mila euro. I contribuenti approdati al nuovo, accogliente lido, sono aumentati di quasi 600 mila unità tra il 2018 e il 2020.
Lo evidenziano anche le analisi presentate nella recente Relazione sull’economia non osservata che accompagna la Nadef, che mettono in risalto l’imponente migrazione dal regime ordinario al regime forfetario: nel 2019 vi ha aderito il 74 per cento della platea di riferimento (era il 36 per cento nel 2018), quota che potrebbe ancora allargarsi perché non tutti i contribuenti con ricavi inferiori a 65 mila sono già transitati. L’analisi statistica sugli effetti della soglia di 65 mila euro “sembra confermare per il 2019 un effetto di autoselezione dei contribuenti con ricavi e compensi al di sotto della soglia massima di 65 mila euro al fine di beneficiare dell’agevolazione prevista dal regime forfetario. Questo risultato può dipendere da una riduzione dell’attività produttiva da parte dei contribuenti oppure da una tendenza a sotto-dichiarare i ricavi pur di non superare la soglia dei 65 mila euro”.