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martedì 17 Giugno 2025
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Pa, la partecipazione dei comuni alla lotta all’evasione non decolla, meccanismo va rivisto

L’intervento degli enti locali andrebbe focalizzato verso il controllo di elementi trascurati dalle strutture centrali per mancanza di risorse e di tempo. Inoltre dovrebbero monitorare i soggetti con capacità contributiva non riscontrabile da altre fonti.

Il coinvolgimemto dei comuni nel contrasto all’evasione fiscale non decolla. Introdotto nel 2005, con una compartecipazione del comune alle somme effettivamente incassate, finora il meccanismo è stato utilizzato poco e con scarsi risultati. Solo alcune realtà regionali hanno mostrato una maggiore sensibilità. E proprio per invogliare i comuni a collaborare di più con l’Agenzia delle entrate l’incentivo, inizialmente pari al 30% delle maggiori somme riscosse con il contributo dell’Ente, è stato elevato al 100% per il triennio 2012-2014. Una scelta alla quale andrebbero comunque accompagnati ulteriori interventi. Serve anzitutto una moderna infrastruttura tecnologica e l’adozione di linguaggi comuni in grado di agevolare l’utilizzo delle banche dati. Inoltre sarebbe opportuno orientare l’apporto dei comuni verso ambiti specifici legati al tessuto produttivo locale e alla conoscenza delle informazioni anagrafiche o del patrimonio immobiliare.

I comuni possono inviare alle Agenzie delle Entrate e del Territorio, alla Guardia di Finanza e all’Inps (per la parte previdenziale/assistenziale) le cosiddette “segnalazioni qualificate”, cioè i nominativi in relazione ai quali vengono rilevati “in loco” elementi che evidenziano, senza bisogno di ulteriori elaborazioni logiche, comportamenti evasivi. Anzi, l’effettiva partecipazione degli enti locali all’azione di contrasto all’evasione fiscale figura, anche se in modo generico, tra i criteri di “virtuosità” che determinano l’esclusione dai tagli di risorse e dall’inasprimento del patto di stabilità. In questo quadro l’Agenzia delle entrate, il destinatario istituzionale più rilevante, fornisce ai comuni, oltre ai dati delle dichiarazioni dei residenti, informazioni riguardanti: contratti di locazione, successioni di immobili, contratti di somministrazione (acqua, luce e gas) con i relativi consumi e bonifici bancari per interventi di ristrutturazione edilizia.
In specifici provvedimenti direttoriali dell’Agenzia delle entrate sono state individuate le fattispecie che possono essere oggetto di segnalazioni qualificate, individuando per ognuna un destinatario istituzionale: soprattutto Agenzie delle entrate, ma anche Agenzia del territorio e, da quest’anno, Guardia di Finanza e Inps. Inoltre, al fine di adattare lo strumento alle condizioni locali, è prevista la possibilità di definire programmi locali di recupero dell’evasione mediante protocolli d’intesa tra i Comuni interessati e le Direzioni Regionali dell’Agenzia delle Entrate.

La partecipazione dei comuni al contrasto all’evasione, fino ad oggi, ha evidenziato limiti sui quali può essere avviata una riflessione. Esamineremo prevalentemente due questioni:

– quale può essere la misura reale dell’incremento della capacità di controllo complessiva;

– di quale natura devono essere le segnalazioni qualificate.

La capacità complessiva di controllo fiscale. È bene sgombrare subito il campo da un equivoco. Il coinvolgimento dei comuni nell’accertamento dei tributi erariali non comporta “automaticamente” una proporzionale espansione della capacità complessiva di controllo fiscale “ex post”. Esiste un limite “fisiologico” costituito dal fatto che la responsabilità amministrativa del procedimento resta, in ogni caso, in capo agli Uffici territoriali delle agenzie fiscali ai quali devono essere comunicati gli elementi rilevati. A loro carico restano le attività di notifica, il rapporto col contribuente, la gestione del contenzioso e tutto quanto va oltre l’iniziale istruttoria sugli elementi rilevati.

Quindi l’equazione comuni uguale “sportelli” dell’agenzia uguale moltiplicazione della capacità di controllo dell’amministrazione a 360 gradi non funziona, o meglio può funzionare limitatamente alla parte “istruttoria” dei procedimenti e in modo circoscritto agli elementi di tradizionale competenza o conoscenza locale (immobili, commercio, disponibilità di beni indicativi di capacità contributiva).

La partecipazione degli enti locali si configura piuttosto come una ulteriore “fonte di innesco” dell’attività di controllo, che di fatto va a competere con le altre nello stesso serbatoio di capacità operativa delle strutture. Oltre tutto, in alcuni casi, gli elementi locali costituiscono un arricchimento di controlli comunque eseguiti autonomamente dalle agenzie e, quindi, pur incidendo sul gettito, non allargano la platea di contribuenti verificati. E’ il caso degli accertamenti basati sulla determinazione sintetica del reddito, per i quali sono stati introdotti gli obblighi per l’Agenzia delle Entrate di inviare una comunicazione al Comune di residenza del controllato prima della notifica dell’avviso e per il Comune di rispondere entro sessanta giorni, segnalando ogni elemento utile alla determinazione del reddito complessivo (D.L. 78/2010, art. 18).

Qualche dato. Le prime segnalazioni hanno sostanzialmente cominciato ad affluire alla fine del 2009. Dopo un anno (a novembre 2010) ne erano state inviate all’Agenzia delle entrate 10.700, esaminate per un terzo e utilizzate per la notifica di 1.700 avvisi di accertamento, con una maggior imposta accertata pari a 16,2 mln. di euro dei quali 4 giunti a definizione e 1,9 riscossi (cfr. audizione del Direttore dell’Agenzia delle entrate in Commissione Finanze e Tesoro del Senato del 9-12-2010).

La situazione non è sostanzialmente cambiata nel 2011: da fonte Ifel risulta che nel periodo novembre 2009 – agosto 2011 erano pervenute circa 21.000 segnalazioni che avevano prodotto 2700 accertamenti per una richiesta complessiva di 60 mln di euro, dei quali 15,7 definiti e 6 riscossi.

Risultati modesti sotto il profilo quantitativo, ma spiegabili, almeno in parte, con le difficoltà di avvio, la scarsa cultura dei controlli negli enti locali e il mancato inserimento dell’attività nei programmi dell’agenzia.

Su questo fronte i risultati più brillanti sono stati quelli dell’Emilia-Romagna, anche in virtù di un protocollo d’intesa siglato il 16 ottobre 2008 tra l’Anci regionale e la direzione regionale dell’Agenzia delle entrate: 11.000 segnalazioni nel primo semestre 2011, per 1.834 accertamenti, 16,4 milioni di maggiore imposta accertata, di cui 6,3 mln riscossi e 5,2 iscritti a ruolo (fonte Cgil).

Si tratta, come si vede, di dati frammentari e difficilmente confrontabili, perché riguardanti periodi non omogenei e riferiti in alcuni casi alle maggiori imposte, in altri alla richiesta comprensiva di sanzioni e interessi. Ma il quadro che emerge è comunque quello di un’attività che stenta a decollare, del tutto marginale rispetto alle circa 700.000 posizioni annualmente sotto la lente dell’Agenzia delle entrate. Il contributo dei comuni al contrasto all’evasione non sembra destinato a diventare rapidamente lo strumento attraverso il quale espandere in modo capillare e massivo i la capacità di controllo. Un aumento significativo richiederebbe investimenti rilevanti in termini di personale e probabilmente è più opportuno ancorare la strategia generale del contrasto all’evasione ad altre scelte quali una maggiore “presenza” dell’amministrazione in fase di gestione degli adempimenti e la revisione del sistema sanzionatorio, la cui eccessiva attenuazione in caso di definizione bonaria ne indebolisce la deterrenza complessiva.

Le segnalazioni qualificate. Tornando al tema, la situazione attuale si caratterizza per:

– l’esiguità del numero di segnalazioni prodotte dai comuni, imputabile alle poche risorse, alle ridotte competenze e alla scarsa “cultura dei controlli” presenti negli enti locali;

– il limite invalicabile costituito comunque dalla capacità operativa degli uffici territoriali dell’Agenzie delle entrate e del territorio;

– la scarsa integrazione informatica tra centro e periferia, limitata a servizi per il download o l’interrogazione on line dei dati e per la trasmissione delle segnalazioni.

L’idea di “segnalazione qualificata” scommette sul fatto che il comune, in piena autonomia, sia in grado di individuare, istruire e “chiudere” (anche quantitativamente) segnalazioni riguardanti elementi conosciuti e trasmetterle in forma immediatamente utilizzabile per l’avviso di accertamento. Facendo un esempio, vengono richieste segnalazioni derivanti dagli accertamenti per omessa dichiarazione Ici, avendo già verificato l’assenza di dichiarazione dei connessi redditi fondiari ai fini dell’imposizione diretta.

Fatto salvo il livello, ovvio, di collaborazione amministrativa, il valore aggiunto della cooperazione informatica è limitato, da un lato, alla possibilità di scaricare i dati centrali e alla loro accessibilità da parte degli operatori comunali mediante procedure di interrogazione on line, dall’altro alla procedura web di invio delle segnalazioni resa disponibile (e imposta) dall’Agenzia delle entrate. Nulla quindi in termini di integrazione reale delle basi dati, cioè di processi automatici che, senza intervento umano, incrocino dati per costruire “informazioni fruibili”.

Gli enti locali informaticamente più forti si sono mossi in autonomia per colmare questa lacuna laddove, a partire dai download delle basi dati centrali, hanno delocalizzato l’incrocio e l’integrazione pagando però lo scotto, costoso e rischioso, della replicazione delle banche dati. E’ il caso, come abbiamo visto in un precedente articolo, dei consorzi creati nell’ambito del “progetto Elisa”, nato nel segno della cooperazione applicativa ma poi rimasto sostanzialmente privo delle componenti che avrebbero dovuto essere sviluppate dalle amministrazioni centrali.

Oltretutto, in termini di mercato, questa impostazione consolida la presenza delle terze parti produttrici di software nel segmento costituito dalla costituzione di banche dati territoriali, che altro non sono che una replica parziale di quelle centrali. E questo non aiuterà certo ad individuare pacificamente una corretta distinzione dei ruoli, laddove l’informatica centrale è sempre soggetta all’accusa di “invasione di campo” e di concorrenza sleale del pubblico nei confronti del privato.

Le prospettive possibili. In un mondo ideale tutto sarebbe semplice: ogni parte dovrebbe contribuire con le informazioni gestite e con i servizi che le rendono disponibili. L’integrazione e gli incroci dovrebbero fare il resto in via automatica. Tornando al nostro esempio, il comune potrebbe informatizzare i propri accertamenti Ici (ora Imu) e, con questi, interrogare automaticamente i redditi fondiari attraverso un servizio esposto dall’Agenzia delle entrate. Niente repliche di banche dati, niente interrogazioni manuali, massima automazione.

Su questa strada i problemi sono essenzialmente due:

– il contenuto attuale delle basi dati permette di realizzare un modello di automazione così spinta nei pochi casi in cui è possibile un riscontro certo e diretto: Imu, Tarsu, relativi accertamenti;

– mancano l’infrastruttura tecnologica e l’omogeneizzazione organizzativa per l’adozione dei linguaggi comuni della cooperazione applicativa.

Quindi, che fare? Come dare un senso immediato a questo strumento? E’ possibile creare sinergie che, al di là della semplice distribuzione delle attività, espandano realmente la capacità di controllo complessiva? Alcune cose sono possibili, magari orientando il tiro non dove serve esperienza di verifica contabile (es. dichiarazione di ricavi incongruenti), ma verso ambiti specifici dove sono preziosi il contatto diretto con il patrimonio immobiliare e con il tessuto produttivo locale, o la conoscenza delle informazioni anagrafiche, essenziali per le indagini su aspetti legati alla capacità contributiva dei nuclei familiari e ai contratti di locazione.

Le agenzie potrebbero predisporre già da ora elenchi pre-lavorati di posizioni sulle quali il comune può svolgere l’attività istruttoria, in modo complementare e più efficiente rispetto agli uffici dell’amministrazione finanziaria. In questo senso è già prevista la trasmissione dei controlli basati sulla determinazione sintetica del reddito con lo scopo di includere ulteriori elementi legati alla effettiva disponibilità di beni indicativi di capacità contributiva conosciuti dai comuni competenti. A titolo esemplificativo, ai comuni potrebbero essere segnalati anche:

– soggetti non titolari di partita Iva per i quali risultano in Anagrafe Tributaria dati sintomatici di attività d’impresa;

– soggetti che presentano difformità tra il tipo di attività indicata nelle dichiarazioni fiscali e quello risultante da altre informazioni in possesso dell’anagrafe tributaria, se la difformità genera una sottostima dei ricavi calcolati con gli studi settore;

– soggetti con redditi d’impresa ai quali, a causa della mancanza di codice attività, non è stato possibili applicare gli studi di settore;

– soggetti che hanno beneficiato di detrazioni Irpef per ristrutturazioni edilizie, per il riscontro con le dichiarazioni di inizio attività.

Sotto il profilo tecnologico – architetturale questi servizi non pongono particolari problemi poiché possono essere configurati come servizi di fornitura elenchi da parte dell’agenzia, fruibili via web senza problematiche di cooperazione applicativa.

Inoltre, al di là del concetto di segnalazione qualificata, ai comuni potrebbero essere affidate attività di controllo specifiche da eseguire – e da remunerare – con una logica di controlli “a pezzo”, laddove il legame degli elementi da controllare con la territorialità può rendere maggiormente efficiente la verifica attraverso il coinvolgimento dell’ente locale e delle sue strutture (es. polizia municipale). Questo potrebbe essere il caso del controllo dei parametri strutturali utilizzati negli studi di settore, laddove l’Agenzia delle entrate, nei casi in cui abbia deciso di utilizzare per l’accertamento o il concordato il valore dei ricavi calcolato con questo strumento, potrebbe richiedere una verifica in loco, nei limiti di quanto verificabile visivamente o in modo cartolare. Altro campo di applicazione potrebbe essere costituito dal controllo dell’emissione degli scontrini fiscali.

Conclusioni. Dalle considerazioni fatte emerge la necessità di un riposizionamento “realistico” della partecipazione all’accertamento erariale da parte dei comuni, non chiedendo loro la capacità di essere gli autonomi “sportelli” di un’agenzia fiscale diffusa e onnipresente, ma circoscrivendone il campo d’azione alle competenze specifiche, sostenendone l’azione amministrativa con elementi conoscitivi complementari a quelli in loro possesso e creando il supporto informatico adeguato alle aspettative.

D’altronde è presumibile che le segnalazioni autonomamente “formate” dai comuni avrebbero in generale una remuneratività inferiore alla media. Quindi, piuttosto che in termini di inserimento di una autonoma fonte d’innesco tra quelle previste nella programmazione operativa dell’accertamento, il problema va posto, almeno in prevalenza, come richiesta puntuale di arricchimento dei controlli istruiti dall’agenzia con gli elementi più facilmente verificabili dal comune.

Concretamente si potrebbe:

– orientare decisamente l’intervento dei comuni verso il controllo di elementi che vengono trascurati per mancanza di risorse, di tempo o semplicemente per un rapporto costi/benefici non conveniente. Quindi verifica dei parametri strutturali degli studi di settore su richiesta nominativa dell’agenzia oppure controllo degli scontrini, soprattutto se affiancato da una norma che permetta ai comuni di sanzionare l’esercizio commerciale anche con la chiusura temporanea per infrazioni reiterate;

– lasciare la possibilità di proporre elementi di accertamento autonomi limitatamente agli elementi di incongruenza che scaturiscono dalle attività istituzionali. Quindi soggetti che sono titolari di licenze commerciali, pagano tasse sulle insegne pubblicitarie o dichiarano Ici/Imu senza dichiarare i relativi redditi, oppure (e soprattutto) soggetti per i quali risultano elementi di capacità contributiva non riscontrabili da altre fonti (es. iscritti a circoli privati, clienti di alberghi/residence di lusso per residenze estive o invernali, ecc.);

– richiedere obbligatoriamente la comunicazione dei dati relativi agli accertamenti Ici/Imu qualora la medesima incongruenza venga riscontrata anche in dichiarazione dei redditi, predisponendo però già la bozza di accertamento con relativa proposta di motivazione (con facsimile).

Inoltre sarebbero opportune alcune misure per creare un contesto generale più favorevole all’attività:

– prevedere interventi formativi (da fruire online) mirati alle fattispecie di segnalazioni previste per trasferire in modo sistematico al personale degli enti locali il know-how necessario (in qualche caso già previsti dai protocolli d’intesa Agenzia-Enti a livello regionale);

– prevedere supporti informatici ai processi amministrativi. Ad esempio strumenti per il monitoraggio (anche economico) della partecipazione e per la predisposizione automatica dell’avviso di accertamento nel caso di riscontri quantitativi certi, completo di motivazione dell’accertamento proposto con il dettaglio dei riscontri effettuati.

Sullo stesso tema: Pa, sciogliere nodi cooperazione informatica e banche dati partendo da investimenti in atto

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