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martedì 17 Giugno 2025
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Sfida al contribuente con norme rompicapo, nella stabilità 204 commi sul fisco senza titolo e pieni di rinvii

Disposizioni alla rinfusa accompagnate da una serie interminabile di rinvii e richiami e un linguaggio spesso indecifrabile: la legge di stabilità 2016 è un maremagnum di norme inavvicinabile per il contribuente medio.(Vai all’elenco delle disposizioni tributarie).

Un unico articolo di 999 commi, un guazzabuglio di disposizioni di ogni genere, di cui non meno di 204 di natura tributaria messe qua e là, senza alcuna coerenza. Chi vuole leggere – e soprattutto capire- la legge di stabilità 2016 si armi di santa pazienza. Si troverà di fronte un maremagnum disordinato di norme, la maggior parte delle quali difficilmente comprensibili anche per un esperto, figurarsi per il contribuente medio. La comprensione è però uno step successivo: prima, il comma, bisogna trovarlo. Il ché richiede già di per sé una buona dose di fortuna, visto che per ciascuna disposizione manca la menzione dell’oggetto nel titolo. Il motivo? Semplice: il titolo non c’è. E guai a pensare che le norme tributarie siano raccolte in un unico capitolo. Sono sparpagliate un po’ ovunque, senza logica. Per trovare quella che si sta cercando, in pratica, occorre andare per tentativi. Bene, ma una volta trovata? Qui viene il bello. Con tutta probabilità la disposizione che ci troveremo di fronte sarà indecifrabile, perché conterrà richiami ad altre disposizioni che, il Legislatore, si è guardato bene dal sintetizzare e menzionare. Il tutto in barba ai principi di chiarezza e trasparenza delle disposizioni tributarie, che lo stesso Parlamento ha voluto inserire tra i principi fondamentali dello Statuto del contribuente.

La caccia al tesoro. Per farsi un’idea, basta leggere il comma 68: «All’articolo 6, comma 8, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, il secondo periodo e’ soppresso». Come, prego? Più che con il Legislatore, sembra di avere a che fare con un enigmista. L’unica certezza è che una frase, inserita in un articolo di un decreto che risale a vent’anni fa, è stata eliminata. Parte la caccia al tesoro. Dopo una ricerca su internet cominciamo a capire di cosa si sta parlando. È il decreto col quale venne istituita l’Irap. L’articolo 6 tratta della “Determinazione del valore della produzione netta delle banche e di altri enti e societa’ finanziari”. Bene. Scorrendo si arriva al famigerato comma 8, che già di suo rinvia ad altre disposizioni contenute in un altro decreto datato 1992. « I contributi erogati in base a norma di legge […] concorrono in ogni caso alla formazione del valore della produzione», ecco il periodo soppresso. Dieci minuti buoni, ma alla fine siamo arrivati a dama.

Temiamo di essere incappati in una giornata di grazia, serve un test più probante. Il comma 332 fa al caso nostro: « Al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 28, sono apportate le seguenti modificazioni: a) la lettera a) del comma 6 dell’articolo 2 e’ abrogata; b) l’articolo 15 e’ abrogato». Non siamo sicuri di aver capito, ma una cosa è certa: il Legislatore vuole metterci alla prova. Riparte la caccia al tesoro. Sul sito della Camera troviamo questo benedetto decreto di dodici anni fa, il cui titolo è tutto un programma: “Riforma della disciplina in materia di attività cinematografiche, a norma dell’articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137”. Scorriamo fino all’articolo 2, ha 10 commi e a noi interessa il sesto, quello che tratta dell’equiparazione di alcuni lungometraggi ai film d’essai. Tra le opere equiparabili, la lettera a (quella abrogata) menziona «I film riconosciuti di interesse culturale dalla Commissione di cui all’articolo 8». Avvertiamo un leggero scoramento. Ci dirigiamo ordinatamente verso l’art. 8, che disciplina per l’appunto la Commissione per la cinematografia. Commissione che apprendiamo essere a sua volta composta da due sottocommissioni: una per il riconoscimento dell’interesse culturale; un’altra per i film d’essai. Dopo una lotta serrata con richiami di ogni genere, arriviamo a due conclusioni: la prima è che tra i film equiparabili ai film d’essai (a loro volta individuati dalla Commissione di cui all’articolo 8) il comma 332 ha tolto quelli riconosciuti di interesse culturale dalla stessa Commissione di cui all’articolo 8. La seconda è che abbiamo dedicato parecchio tempo a una norma che di tributario ha ben poco. Sì, a saperlo prima.

“Ho visto commi che voi umani…”. E siamo solo alla seconda disposizione della giornata. Indecisi se andare avanti o meno, ci casca l’occhio sul comma 142: «Al testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) i commi da 10 a 12-bis dell’articolo 110 sono abrogati». Tutto chiaro, no? La formulazione è quasi brutale, nella sua immediatezza. Per fortuna prosegue: « b) all’articolo 167: 1) al comma 1, le parole: «di cui al decreto o al provvedimento emanati ai sensi del comma 4» sono sostituite dalle seguenti: «di cui al comma 4, diversi da quelli appartenenti all’Unione europea ovvero da quelli aderenti allo Spazio economico europeo con i quali l’Italia abbia stipulato un accordo che assicuri un effettivo scambio di informazioni». Cominciamo a farci un’idea di quello che c’è scritto, ma ci sono volute sette righe buone. Dopo un rapido passaggio sul Testo unico dell’86, la nostra ipotesi trova conferma: gli articoli abrogati disciplinavano le operazioni con i soggetti residenti in paesi “black list”. Un colpo di fortuna, ma – pensiamo- trovare ogni tanto le sintesi dei decreti ai quali si rinvia farebbe piacere.

Non è dello stesso avviso il Legislatore, che col comma 318 sembra volerci sferrare il definitivo colpo di grazia:«Al comma 1 dell’articolo 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, e successive modificazioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo periodo, la parola: «tre» e’ soppressa; b) le parole: «nella misura del:» sono sostituite dalle seguenti: «nella misura del 65 per cento delle erogazioni effettuate» e le lettere a) e b) sono abrogate».

È un tour de force, torniamo sul sito della Gazzetta Ufficiale alla disperata ricerca della legge in oggetto. Si parla di “Art Bonus”. Dopo qualche minuto passato a sopprimere parole, sostituire alcune frasi ed abrogarne altre, capiamo cosa voleva dirci il Legislatore: alle erogazioni liberali in denaro effettuate dopo il 31 dicembre 2013 spetta un credito d’imposta del 65%. In sei righe, il Legislatore ci dice che il credito che era in scadenza nel 2016 viene esteso a tempo indeterminato.

La fine è vicina. Ce ne accorgiamo con il comma 187: « Ai fini dell’applicazione delle disposizioni di cui ai commi da 182 a 191, le somme e i valori di cui ai commi 182 e 184 devono essere erogati in esecuzione dei contratti aziendali o territoriali di cui all’articolo 51 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81». Il messaggio è chiaro: il sadico Legislatore non ha intenzione di fermarsi. Noi sì: emotivamente esausti dopo nemmeno quattro commi, gettiamo la spugna.

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