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giovedì 23 Ottobre 2025
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Web tax, entro lunedì il primo versamento, attesi 750 mln

Digital tax alla cassa. Dopo alcuni rinvii e in attesa che arrivi il riordino globale della tassazione delle multinazionali, entro lunedì prossimo, 17 maggio, i giganti del web che operano in Italia sono chiamati ad effettuare il primo versamento dell’imposta sui servizi digitali. Il gettito atteso è di circa 700 milioni l’anno. La nuova imposta colpisce i ricavi lordi di alcuni servizi digitali e ha, tra l’altro, l’obiettivo di ridurre il vantaggio fiscale delle multinazionali del web. La prima dichiarazione periodica dovrà essere presentata, con riferimento all’anno solare 2020, entro il 30 giugno.  La nuova imposta prevede una aliquota del 3 per cento sul fatturato delle grandi imprese multinazionali che deriva da alcuni specifici servizi digitali, e si applica alle imprese che nell’esercizio di un’attività hanno realizzato, nell’anno precedente, ovunque nel mondo, singolarmente o a livello di gruppo, ricavi per almeno 750 milioni di euro e percepiscono nel medesimo periodo ricavi per servizi digitali localizzati nel territorio italiano per almeno 5,5 milioni di euro. 

La base imponibile è costituita dai ricavi percepiti (quindi, calcolati “per cassa”) per la percentuale degli stessi collegata al territorio italiano. Come criterio di collegamento al territorio la scelta legislativa è ricaduta sulla geolocalizzazione del dispositivo, di cui l’indirizzo IP (protocollo informatico) può costituire un indicatore, ma non l’unico ammissibile. L’imposta colpisce quei servizi per i quali assume maggiore rilievo il contributo degli ‘utenti’ localizzati sul territorio nazionale, come autonomo fattore di creazione della ricchezza del gruppo. In ragione di un complesso meccanismo ‘triangolare’ viene assoggettata a tassazione in Italia una quota dei profitti lordi che le multinazionali traggono dai predetti servizi digitali e, in particolare, la quota attribuibile, appunto, al valore generato dagli utenti in quanto fornitori (consapevoli o meno) di big data. L’applicazione a questa quota di profitti (lordi) di una aliquota moderata (pari, come detto, al 3 per cento) costituisce una proxy, e cioè una indiretta modalità di tassazione dei relativi profitti (netti) soggetti all’ordinaria aliquota Ires del 24 per cento; profitti che, in base agli ordinari standard di fiscalità internazionale, le multinazionali interessate – che possono operare anche soltanto da remoto senza avvalersi di stabili organizzazioni né subsidiary – non sono tenute a tassare in Italia (né, in molti casi, in nessun altra giurisdizione del mondo), nonostante che ad essi abbiano contribuito fattori di produzione autonomamente generati nel territorio nazionale.

 La digital tax ha avuto una lunga “gestazione” (si è partiti dall’articolo 1, commi da 35 a 50, della legge 30 dicembre 2018, n. 145, poi modificata dall’articolo 1, comma 678, della legge del 27 dicembre 2019, n. 160, infine integrato dall’articolo 2 del decreto legge 14 gennaio 2021, n. 3). In sostanza, il nostro legislatore ha deciso, come primo passo, di tassare i ricavi lordi, piuttosto che i profitti netti (di cui è molto difficile ricostruirne l’ammontare complessivo, soprattutto quando trattasi di imprese del web), assunti al netto dell’Iva e delle altre imposte indirette. Ma andiamo con ordine. Vediamo innanzitutto quali sono i servizi colpiti dall’imposta. L’imposta colpisce i ricavi afferenti a tre categorie di servizi digitali: 1) i messaggi pubblicitari mirati, diretti agli utenti di un interfaccia digitale; 2) la messa a disposizione di un interfaccia multilaterale che facilità la comunicazione tra gli utenti, compresa la fornitura diretta di beni e servizi; 3) la trasmissione di dati digitali, raccolti dagli utenti e generati dall’utilizzo di un interfaccia digitale nei confronti dei suoi utenti. E’ invece escluso dal campo applicativo dell’imposta tutto il c.d. “commercio elettronico indiretto”, cioè le cessioni di beni e di servizi per i quali il web funge soltanto da veicolo degli ordinativi, così come i servizi resi verso società del medesimo gruppo e tutti i servizi di pagamento.

Il provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 15 gennaio scorso ha chiarito che per “interfaccia digitale” s’intende qualsiasi software, compresi i siti web o parte di essi e le applicazioni, anche mobili, accessibili agli utenti attraverso cui sono prestati i servizi digitali; una interfaccia digitale è multilaterale quando la stessa consente agli utenti di essere in contatto e di interagire tra loro, anche al fine di facilitare la fornitura diretta di beni e servizi; mentre Per dati digitali si intendono i dati forniti in formato digitale, quali programmi informatici, applicazioni, giochi, audio, video o testi, a prescindere dal fatto che l’accesso a tali dati avvenga tramite download o streaming; per pubblicità mirata si intendono i messaggi pubblicitari collocati su un interfaccia in funzione dei dati degli utenti che la consultano. I soggetti obbligati a versare la digital tax italiana sono tutti coloro che nell’esercizio di un’attività d’impresa hanno realizzato, nell’anno precedente a quello di effettuazione delle operazioni sopra descritte, ovunque nel mondo, singolarmente o a livello di gruppo, ricavi per almeno 750 milioni di euro e percepiscono nel medesimo periodo ricavi per servizi digitali localizzati nel territorio italiano per almeno 5,5 milioni di euro. Va precisato che mentre la soglia dei ricavi a livello mondiale va calcolata secondo il criterio della competenza, la soglia dei ricavi localizzati in Italia va calcolata secondo un criterio di cassa. La base imponibile è costituita dai ricavi percepiti (quindi, calcolati “per cassa”) per la percentuale degli stessi collegata al territorio italiano. Come criterio di collegamento al territorio la scelta legislativa è ricaduta sulla geolocalizzazione del dispositivo, di cui l’indirizzo IP (protocollo informatico) può costituire un indicatore, ma non l’unico ammissibile.

Riguardo al calcolo della base imponibile, va detto che essa è determinata “per masse”, cioè, enucleando dai ricavi ovunque realizzati dal soggetto passivo la percentuale degli stessi riferibile al territorio italiano, determinata secondo criteri differenti per ciascuna delle tre categorie di servizi imponibili (si veda i parr. 3.9, 3.10 e 3.11 del succitato provvedimento). Ad esempio, per la “pubblicità mirata” si fa riferimento al rapporto tra il totale dei messaggi apparsi in un anno solare su un interfaccia in funzione dei dati di un utente che consulta l’interfaccia mentre questi è geolocalizzato in Italia e il totale dei messaggi pubblicitari apparsi sul medesimo interfaccia nel medesimo anno solare in funzione dei dati di tutti gli utenti che vi hanno avuto accesso. L’imposta va versata “a règime” entro il 16 maggio, la dichiarazione va presentata entro il 30 giugno. Il versamento dell’imposta avviene mediante delega di pagamento Mod. F24, mentre, i soggetti non residenti che non dispongono di un conto corrente presso sportelli bancari o postali situati in Italia e che non possono eseguire il pagamento con Mod. F24, effettuano il versamento mediante bonifico in euro a favore del Bilancio dello Stato al Capo 8 Capitolo 1006 (codice Iban IT43W0100003245348008100600), indicando quale causale del bonifico: il codice fiscale, il codice tributo e l’anno di riferimento.

Per approfondire l’argomento si veda anche l’analisi di Tamara Gasparri su come funziona l’imposta sui servizi digitali.

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