L’ex “dieci” argentino chiedeva l’annullamento dei debiti con Equitalia a seguito di un condono del 2002. Secco il no dei giudici, che stavolta gli addebitano anche le spese di giudizio.
Il Fisco batte ancora una volta Diego Armando Maradona. La commissione tributaria di Napoli ha rigettato il ricorso del fenomeno argentino, che attraverso i suoi legali aveva chiesto di annullare i suoi debiti con l’erario per effetto del condono concesso alla società sportiva Napoli nel 2002. Nella sentenza i magistrati tributari spiegano che fino a settembre 2012, l’ex Pibe de Oro “non espresse alcuna volontà di beneficiare degli effetti del condono, pur non sussistendo alcuna preclusione nei suoi confronti”. A carico dell’ex calciatore anche le spese per il giudizio di 15 mila euro. La battaglia col Fisco dura da più di vent’anni: all’erario l’ex fuoriclasse deve 39 milioni di euro, di cui sei per presunta evasione fiscale e 33 per gli interessi maturati. Per gli avvocati, che hanno annunciato un nuovo ricorso, la decisione della Commissione è “contraddittoria”.
L’odissea giudiziaria. La “partita” col fisco risale al 1991, quando al fuoriclasse argentino l’agenzia di riscossione notifica l’accertamento per presunta evasione fiscale relativa al quinquennio 1985-1990. L’ipotesi è che la società di calcio Napoli, oltre a corrispondergli l’ingaggio, abbia versato i compensi per lo sfruttamento dei diritti d’immagine ad una società estera, la “Diego Armando Maradona Productions Establishment” con sede a Vaduz, in Liechtenstein. Uno schema finalizzato all’evasione, secondo il Fisco. Lo è anche per i giudici, che in primo grado accolgono la tesi della prassi evasiva per interposizione fittizia di imprese estere. In appello l’Agenzia non prova la “triangolazione” a scopo evasivo e la Commissione tributaria regionale di Napoli rovescia la sentenza, annullando gli atti di accertamento nei confronti del Napoli calcio. Per i legali la decisione dovrebbe essere estesa anche a Maradona in base al principio di solidarietà fra società e calciatore. Non per i magistrati: in primo luogo perché la definizione della controversia del sostituto d’imposta non comporta automaticamente la risoluzione del contenzioso per il sostituito; in secondo luogo perché l’avviso di accertamento, notificato nel ’91 al giocatore, non è mai stato impugnato. Nel febbraio 2005 anche la Corte di Cassazione riconosce l’evasione fiscale e condanna Maradona a versare 31 milioni di euro all’erario, poi aumentati a 39 per effetto della mora.
Il condono. Alla vicenda si aggiunge un ulteriore tassello nel 2002, quando la società sportiva partenopea, ormai fallita, beneficia di un condono sui debiti tributari con la legge 289/2002. Sulla sanatoria si appendono le tesi difensive degli avvocati, fino al ricorso appena respinto. Nella sentenza i giudici spiegano che avendo “impugnato l’avviso di mora dell’11 gennaio 2011”, Maradona aveva tempo fino al 29 settembre 2012 per “definire la lite in corso aderendo autonomamente al condono, versando il 50% dell’imposta”, ma “all’epoca non espresse alcuna volontà di beneficiare del condono”.
Decisione contraddittoria. “Questo provvedimento sarà subito impugnato per la sua manifesta contraddittorietà”, così hanno commentato la sentenza gli avvocati di Maradona. “Quel presunto debito, sebbene inesistente è stato già totalmente pagato con il condono dalla Società Calcio Napoli e non può quindi essere preteso una seconda volta”.













