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venerdì 2 Maggio 2025
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Le colpe del contante: l’esistenza di legami tra evasione, corruzione e crimine organizzato

Di Fabio Di Vizio
– Sostituto Procuratore presso il Tribunale di Firenze

Il contante costituisce tematica rispetto alla quale si delineano vedute contrapposte e, sovente, insanabili. L’oscillazione estrema spazia tra la radicale demonizzazione dello strumento e l’orgogliosa rivendicazione del diritto di utilizzarlo senza limiti per la sua valenza democratica ed inclusiva. Il contante, infatti, sembra ancora ai più la ricchezza “alla portata di tutti” e di “facile” spedita e custodia.
Ogni volta che nel dibattito economico e politico si riaffaccia l’opportunità di mantenere o di variare le forme di sorveglianza pubblica rispetto alla spesa ed al trasferimento del contante, inevitabilmente, le diverse sensibilità riemergono e si irrigidiscono. A rivelare le ragioni e gli interessi nascosti al di sotto di queste “scontrose” impostazioni possono aiutare alcune domande, quasi sempre trattenute negli studi istituzionali.
Il contante è, davvero, lo strumento tipico dell’evasione, della corruzione e del crimine organizzato e, più in generale, dei crimini da profitto? Esiste, in altri termini, un nesso tra i volumi dell’elevato tax gap riferito ai contribuenti italiani, della corruzione e del crimine organizzato nazionale — alcuni dei mali più devastanti del tessuto economico e sociale — e il rilievo dell’esistenza di una percentuale di transazioni nazionali regolate in contanti ampiamente superiore alla media europea, per numeri e volumi, assoluti e percentuali?
In secondo luogo, poi, è proprio vero che la vicenda del contante stia vivendo una fase recessiva, in ragione di un processo in atto di sostituzione in favore degli strumenti alternativi (cashless) e nel contesto di una strategica politica di “lotta al contante” voluta dai regolatori politici?
Sono probabilmente queste le questioni fondamentali che animano l’interesse di chi si avvicina al tema con l’aspirazione di riconoscere gli impieghi autentici favoriti dal tradizionale strumento di pagamento e dalla popolare riserva di valore.
Ed è a queste domande che si cercherà di rispondere.
Nella più parte dei Paesi avanzati il maggiore impiego degli strumenti alternativi al contante (cashless) nei pagamenti al dettaglio si accompagna ad una crescita sostenuta di quest’ultimo, sia in valore assoluto che in rapporto a variabili macroeconomiche, quali il PIL e i consumi.
Vengono così contraddetti, in apparenza, i risultati della dinamica immaginata del processo di sostituzione che dovrebbe accompagnarsi allo sviluppo dei primi.
Infatti, l’aumento di pagamenti tramite carta e l’introduzione di metodi alternativi di pagamento dovrebbero mettere in discussione il futuro del contante e la sua rilevanza nella società. Tuttavia, sebbene le banconote e le monete in euro siano in circolazione da 15 anni, non si sa molto sull’utilizzo effettivo del contante da parte delle famiglie.
Tale fenomeno interessa più soggetti istituzionali (Eurosistema, autorità investigative e giudiziarie, soggetti privati coinvolti o interessati all’industria dei servizi di pagamento), per le prospettive organizzative rispetto alle rispettive competenze ed aree di attività. L’esperienza dei Paesi dell’Area dell’euro si pone in linea con la tendenza anzidetta, al pari di quella nazionale, che non manca di presentare alcune peculiarità. Nella categoria degli strumenti alternativi possono essere annoverati gli assegni, i bonifici, gli addebiti diretti, le carte di debito e di credito e la moneta elettronica, nonché i sistemi di utilizzo di internet e del telefono cellulare per effettuare pagamenti (c.d. e-payments e m-payments).
Sfuggendo non detti, alcuni dati paiono prima facie sorprendenti. Anche se forse la sorpresa non è così intensa, per quanto si dirà in appresso.
Le autorità pubbliche di regolamentazione politico—monetaria e del mercato si approcciano al tema del contante secondo un’impostazione neutrale. La loro preoccupazione fondamentale è quella di assicurare al consumatore la scelta dello strumento più efficiente e confacente rispetto alle proprie esigenze.
Siano esse quelle collegate alla sua funzione transazionale, connessa all’effettuazione di pagamenti per l’acquisto di beni e servizi. Siano esse quelle precauzionali-speculative.
Il contante, in effetti, consente di far fronte comodamente a bisogni imprevisti, senza ricorrere a complicati disinvestimenti di attività, posta la natura già liquida della risorsa, prontamente riutilizzabile all’interno del sistema economico e finanziario, anche a fini di investimento (in beni mobili, immobili, aziende e altri cespiti); inoltre, è particolarmente efficiente per operazioni di importi bassi (considerando che quasi due terzi delle operazioni di pagamento sono di importo inferiore a 15 euro); al contempo, a fronte dell’incertezza del valore delle altre attività (reali e finanziarie), il contante si pone come riserva di valore e bene rifugio, almeno in prima istanza.
L’aumento dei volumi e dei valori dei pagamenti elettronici, in atto, pone sempre più in evidenza la straordinaria resilienza del denaro, anzitutto quale riserva di valore (si considerino le risultanze dell’indagine BCE del 2016 ampiamente riferite nel testo) e dunque bene rifugio,
come avvenuto all’indomani della crisi finanziaria del 2007.
La tenuta del contante è spiegata in letteratura dal calo dei tassi di interesse, dall’evoluzione del cambio dell’euro e dalla ripresa dell’attività economica.
La domanda estera, concentrata su tagli di valore elevato, ha avuto effetti contrastanti. la corrispondenza con tensioni finanziarie e fasi di incertezza economica appare più solida, anche se non esattamente determinabile, al pari della domanda originata da abitudini socio—economiche delle famiglie.
Quanto all’economia sommersa le posizioni sono in genere sfuggenti. In parte per l’obiettiva difficoltà di stimare il sommerso, in parte per evitare di esporre per questa via l’analisi alla contestazione di fragilità della base valutativa.
Ma la relazione della crescita del contante con il volumi del sommerso è più di un dubbio.
Di certo, nessun travolgente processo di sostituzione tra strumenti di pagamento e contante è in essere; profondità ed intensità della ridotta surrogazione, in ogni caso, variano da paese a paese.
Nel nostro paese, infine, i contorni del rapporto tra contante e strumenti di pagamento alternativi sono ancora più e peculiari. Il contante in circolazione cresce sempre, che il PIL fletta o si incrementi, che si abbassino o si alzino le soglie dei pagamenti. Già questo, probabilmente, dovrebbe costituire conferma immediata del fatto di quanto il denaro interessi gli italiani, anche, nella sua funzione di riserva di valore.
Al di là di timidi accenni ad interventi di governo del fenomeno, in questa straordinaria vitalità del denaro, più che quale strumento di pagamento, quale bene rifugio, i regolatori politici individuano probabilmente una ragione di tenuta del sistema economico, ovvero una straordinaria dimostrazione della capacità patrimoniale dei soggetti economici, specie quelli imprenditoriali, di mantenersi in vita nelle fasi più complicate. La preoccupazione di evitare politiche depressive di questa garanzia latente del sistema economico nazionale non sembra secondaria nelle scelte o, per meglio dire, nelle incertezze tradizionali che impediscono di condurre a termine una seria limitazione dell’uso del contante in favore di strumenti che garantirebbero, obiettivamente assai meglio, la tracciabilità e gli interessi erariali. Il tema imporrebbe di introdurre questioni assai complesse sull’esistenza di una evasione di necessità e comunque socialmente non dannosa, quantomeno in quanto difensiva delle sorti economiche dei contribuenti (da molti sostenuta) e sulla prossimità rispetto a questa area del contante.
Ma sarebbe tema troppo complesso da esaminare a questo punto dell’analisi. In ogni caso, quale sia il giudizio sul compromesso recondito, occorre non perdere la consapevolezza che l’esistenza di legami tra i mali nazionali (evasione, corruzione e crimine organizzato) e il contante è innegabile.
Se non può ricostruirsi una funzione illecita e/o criminale esclusiva del contante — che contrasterebbe contro i volumi imponenti con esso regolati — tale consapevolezza dovrebbe consentire di riconoscere la realtà della sua relazione elettiva con vaste porzioni dell’economica informale (o non osservata) e criminale. In linea con le analisi ufficiali che segnalano come «nell’insieme la robustezza del contante come proxy dell’economia sommersa e illegale si sia rafforzata (così gli esiti dell’analisi nazionale dei rischi di riciclaggio e di finanziamento del terrorismo del 2014) e che è statisticamente ricorrente una correlazione diretta tra valenza segnaletica del contante e densità criminale su base territoriale101. Lo dimostrano, come si è visto, l’evoluzione normativa sovranazionale di settore, le indicazioni tratte dall’analisi e dall’esperienza delle autorità pubbliche antiriciclaggio e di contrasto all’evasione, nonché le risultanze degli studi scientifici sin qui condotti. Ancora prima, lo dimostra l’esperienza quotidiana, per chi voglia osservarla.
In presenza di affanni tanto profondi delle finanze pubbliche, edificare una realtà economica sana e investire in scelte orientate a favorire un sistema realmente più solido e trasparente dovrebbe essere l’impellenza di ogni accorto regolatore moderno. Ma anche, occorre riconoscerlo, la prospettiva più rischiosa per le sue sorti politiche.

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