Impugnabile dinanzi alla Ctp il diniego del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate di disapplicare una norma antielusiva. La Cassazione ha bocciato la tesi dell’Agenzia delle Entrate che ha sempre considerato tale diniego come atto definitivo.
di Orlando De Mutiis
Il provvedimento del Direttore Regionale dell’Agenzia delle Entrate di rigetto dell’istanza del contribuente volta ad ottenere la disapplicazione di una norma antielusiva, ai sensi del comma 8 dell’articolo 37/bis del Dpr numero 600 del 1973, costituisce atto di diniego di agevolazione fiscale ed è soggetto ad autonoma impugnazione in base all’articolo 19 del D.Lgs 546/1992. Lo ha sancito la Corte di Cassazione con la sentenza n. 8663 del 15 aprile scorso che, in accoglimento del ricorso presentato da tre istituti di credito, ha cassato, con rinvio ad altra sezione della stessa Ctr, la sentenza della Ctr della Toscana la quale aveva confermato il diniego dell’Agenzia delle Entrate di disapplicare una norma antielusiva riguardante la dual income tax.
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La sezione della Ctr della Toscana, investita della vicenda, dovrà dunque riconsiderare il caso tenendo conto dei seguenti principi stabiliti con la sentenza in commento:
1) Il diniego da parte de Direttore Regionale delle Entrate alla disapplicazione di una legge antielusiva ai sensi dell’art. 37, coma 8, del Dpr 600/1973 è atto ricettizio di immediata rilevanza esterna.
2) Tale atto costituisce ipotesi di diniego di agevolazione fiscale e quindi è direttamente impugnabile dinanzi alle Commissioni Tributarie in base all’art 19, comma 1, lett.h) del D.Lgs 546/1992 che tale tipologia di atto espressamente prevede come autonomamente impugnabile.
3) Non è dubbia la sussistenza di un interesse ad agire in capo al destinatario del diniego, che con l’azione giurisdizionale è in grado di evitare un effetto a sé pregiudizievole
4) Vertendosi in tema di diritti soggettivi e non di interessi legittimi il giudizio del giudice tributario è a cognizione piena, per cui estendendosi questa al merito dell’atto e non alla mera illegittimità del medesimo è possibile una decisione di merito sulla fondatezza o meno della domanda di disapplicazione, attribuendo direttamente, ove si ritengono ricorrenti le condizioni applicative, la agevolazione fiscale richiesta.
L’art. 37/bis, comma 8 del Dpr 600/73 stabilisce che “le norme tributarie che, allo scopo di contrastare comportamenti elusivi, limitano deduzioni, detrazioni, crediti d’imposta o altre posizioni soggettive altrimenti ammesse dall’ordinamento tributario, possono essere disapplicate qualora il contribuente dimostri che nella particolare fattispecie tali effetti elusivi non potevano verificarsi”. In base a tale disposizione normativa molti contribuenti, che ritengono di pianificare operazioni penalizzate dalla vigente normativa antielusiva ma che invece sono contraddistinte da valide ragioni economiche e non da intenti elusivi, presentano al competente Direttore Regionale istanza motivata e documentata di disapplicazione della norma che li penalizza. Uno dei casi più frequenti di disapplicazione, ad esempio, è quello che riguarda l’art 172, comma 7, del Tuir ( caso di fusione di società).
In pratica la disposizione, prevista per contrastare il commercio delle bare fiscali, cioè le fusioni tra società in utile e società con grandi perdite, dettate dal solo scopo di compensare gli utili con le perdite e ridurre il carico fiscale delle società in utile, condiziona la possibilità per l’incorporante di riportare le perdite dell’incorporata al verificarsi di due condizioni:
a) che sono riportabili a nuovo le sole perdite che non eccedono l’ammontare del rispettivo patrimonio netto. b) che dal conto economico della società le cui perdite sono riportabili, relativo all’esercizio precedente a quello in cui la fusione è stata deliberata, devono risultare ricavi e proventi dell’attività caratteristica e un ammontare delle spese per lavoro subordinato più i contributi superiore al 40 % di quello risultante dalla media degli ultimi due esercizi anteriori.
Ora, capita che molte fusioni sono giustificate da valide ragioni economiche. E ciò perché realizzano economie di scala, oppure sono basate su un progetto credibile, ma non hanno i due requisiti voluti dal citato art 172; e allora nasce l’esigenza di chiedere e soprattutto di ottenere, per il caso specifico, la disapplicazione della norma antielusiva. Considerato che l’unico onere imposto al contribuente per ottenere la disapplicazione della norma antielusiva consiste nel dimostrare che, nella particolare fattispecie, gli effetti elusivi non potevano verificarsi , consegue che il contribuente:
1) ha un forte interesse ad ottenere la disapplicazione richiesta, equivalente ad una agevolazione fiscale ( la disapplicazione infatti, si legge nella sentenza della Cassazione in commento “consente di sottrarsi agli effetti pregiudizievoli della normativa antielusiva, normalmente obbligatoria per la generalità degli utenti , realizzando una deroga al trattamento generale e, in tal modo, concretando una ipotesi tipica di agevolazione fiscale” )
2) non può rimanere senza tutela dinanzi al provvedimento di diniego del Direttore regionale anche perché il diniego di agevolazione fiscale è incluso tra gli atti impugnabili dinanzi alle Commissioni Tributarie elencati nell’art 19 del Dpr 546/1992.
Le regole per la gestione delle istanze di interpello disapplicativo sono stabilite dal Dm 18 giugno 1998, n. 259, pubblicato sulla GU n. 179 del 3 agosto 1998, che attribuisce al Direttore Regionale delle entrate la competenza ad esaminare le predette istanze e che prevede, tra l’altro, all’articolo 6 che “le determinazioni del Direttore regionale delle entrate vanno comunicate al contribuente, non oltre 90 giorni dalla presentazione dell’istanza, con provvedimento che è da ritenersi definitivo”.
L’Agenzia delle Entrate, coerentemente a quanto stabilito con il citato Dm 259/1998, ha sempre ribadito , da ultimo anche con la circolare 32 del 2010, la non impugnabilità del provvedimento del Direttore Regionale riferito alle istanze di interpello disapplicativo Tale tesi risulta confermata anche dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato ( decisione del 26 gennaio 2009, n. 414). Considerati tali precedenti, la sentenza della Cassazione in commento riveste particolare importanza in quanto riconosce per la prima volta il diritto del contribuente ad impugnare dinanzi alla Ctp il rigetto dell’istanza di disapplicazione di una norma antielusiva e ad ottenere dal giudice tributario la richiesta disapplicazione, ove dimostri ovviamente che nella particolare fattispecie gli effetti elusivi della norma non potevano verificarsi.













