“L’obiettivo della neutralita’ richiede che i redditi da investimento (da
attivita’ finanziarie, immobili, dividendi) siano assoggettati allo stesso
trattamento impositivo, idealmente con aliquote simili a quelle previste per
il reddito d’impresa, che dovrebbe tendere al 20%”. Cosi’ il presidente di
Assonime, Innocenzo Cipolletta, e il direttore generale, Stefano Micossi,
ascoltati sulla riforma dell’Irpef dalle commissioni Finanze di Senato e
Camera.
“Da questo punto di vista – aggiungono – mantenere il trattamento di
favore attualmente accordato ai titoli di Stato (tassati ad aliquota del
12,5%) aggrava la distorsione a danno dell’investimento in attivita’
produttive e dei flussi di intermediazione verso le imprese; allinearne
l’aliquota al 20% non avrebbe oggi significative ripercussioni sui prezzi
dei titoli, visto l’attuale basso livello dei rendimenti. Piuttosto, per i redditi
finanziari occorre ripensare anche alla distinzione tra i redditi di capitale e
i redditi diversi di natura finanziaria: nonostante si tratti di redditi da
investimento del capitale sostanzialmente equivalenti, infatti, gli uni sono
tassati senza riconoscimento dei costi, mentre per gli altri assumono
rilevanza anche le minusvalenze. Sarebbe opportuno unificare questi
regimi, consentendo l’utilizzo in compensazione delle perdite ‘da realizzo’
anche sui redditi di capitale, per evitare che questo gap determini
ingiustificate penalizzazioni o, al contrario, comportamenti elusivi”.
Nella relazione depositata in parlamento da Assonime si legge che il primo
compito della riforma fiscale dovrebbe essere quello di assicurare al
sistema tributario affidabilità e stabilità nel tempo: in questa prospettiva,
occorrerebbe proteggere il sistema fiscale da interventi disarticolati ed
estemporanei, poco meditati e, a volte, persino a carattere retroattivo. In
sostanza, occorrerebbe circoscrivere l’eccessiva discrezionalità dei
Governi che si susseguono alla guida del Paese, evitando che i sistemi
fiscali possano essere modificati di anno in anno per motivi di gettito e/o
elettorali. In questo senso, si potrebbe intervenire dando maggior forza
precettiva ai principi dello Statuto dei diritti del contribuente.
La riforma dell’Irpef
Le criticità di questo tributo attengono per l’associazione che rappresenta
le società per azioni sostanzialmente a tre profili: la determinazione della
base imponibile, la progressività delle aliquote e le spese fiscali, cioè le
spese di varia natura che possono dar luogo a deduzioni e detrazioni nella
determinazione dell’imponibile e dell’imposta.
Il problema della base imponibile è senz’altro quello prioritario poiché
incide sull’equità orizzontale dell’imposta: la base imponibile dell’Irpef,
infatti, è costellata da un numero esorbitante di regimi che ne erodono la
determinazione, attraverso tassazioni separate, cedolari, forfettizzazioni,
esenzioni, crediti di imposta e via dicendo. Ad avviso di Assonime, vanno
riconsiderati ed eliminati alcuni regimi di tassazione proporzionale e
forfettaria che derogano in modo clamoroso all’equità orizzontale
dell’Irpef, favorendo il sottodimensionamento delle attività economiche (il
cosiddetto “nanismo”) e la propensione all’evasione. Valga come esempio,
per tutti, la flat tax sulle partite Iva fino a 65 mila euro di fatturato.
L’imposizione patrimoniale
Molto si discute sull’opportunità di introdurre o meno un’imposta
patrimoniale di carattere personale, con aliquote contenute ma progressive
e con un’esenzione per i patrimoni di minore entità. Per Assonime l’idea
non è priva di fondamento, tenuto conto che il patrimonio esprime una
ricchezza “concentrata” e una sua tassazione, affiancata all’Irpef, potrebbe
realizzare meglio quel principio di progressività dell’imposizione che è
alla base del nostro sistema tributario. Tuttavia, sotto il profilo pratico,
appaiono notevoli le controindicazioni, vuoi perché un’imposta
patrimoniale di carattere personale, se istituita in via ordinaria, potrebbe
colpire la stessa ricchezza sottoposta all’imposta sul reddito, vuoi perché
potrebbe essere facilmente evasa (con la frammentazione del patrimonio,
la sua collocazione all’estero, ecc.) e vuoi anche per le complicazioni
amministrative che ne deriverebbero.
Ad Assonime sembra per ora sufficiente mantenere le imposte patrimoniali
di tipo reale vigenti.
La tassazione delle imprese tra presente e futuro
Sul fronte della tassazione delle imprese, l’esigenza di affermare criteri di
semplicità e neutralità “impone di intervenire con decisione sulla materia
delle deduzioni e dei crediti di imposta, limitandoli a obiettivi chiari e
normativamente predeterminati (ricerca e sviluppo, innovazione,
produzione green, incremento dell’occupazione)”. Assonime ha da tempo
proposto di prevedere – con l’esclusione delle imprese in fase di start up –
un unico plafond in percentuale sui ricavi, in relazione al quale ciascuna
impresa potrebbe scegliere quali spese dedurre tra quelle individuate dal
legislatore.
Riflessioni avviate in Assonime indicano alcune direzioni di cambiamento.
La prima potrebbe essere quella di ancorare la tassazione del reddito
d’impresa al bilancio civilistico circoscrivendo per quanto possibile il
gioco annuale delle modifiche dei trattamenti fiscali “contrattate” in sede
di legge di bilancio.
Gli interventi per l’Iva
Ulteriori risorse per ridurre il carico fiscale su lavoro e imprese potrebbero
essere ottenute per Assonime attraverso un incremento della tassazione sui
consumi. Nel nostro Paese il gettito Iva è più basso, in rapporto al totale
delle entrate tributarie, rispetto agli altri Paesi europei. L’Iva in Italia
rappresenta il 14,8% delle entrate fiscali (dati 2018) rispetto al 18,2%
medio dell’Europa a 28 e al 17,1% medio dell’Area euro. A questo
risultato concorre certamente la diffusa evasione dell’imposta nel nostro
Paese, ma anche l’utilizzo estensivo delle aliquote agevolate in luogo di
quella ordinaria: utilizzo che nel nostro Paese è superiore alla media dei
Paesi europei.
La razionalizzazione delle aliquote Iva potrebbe essere realizzata
eliminando l’aliquota super ridotta del 4%, consentita solo come deroga
alla vigente disciplina europea, e aumentando l’aliquota intermedia al
12%. Le aliquote diventerebbero a questo punto tre: il 5%, il 12% e il
22%.