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venerdì 24 Ottobre 2025
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Accusata di maxi-elusione, Pokerstars se la cava con un assegno da 6 milioni

Sospettata di aver eluso 300 milioni di euro, a Pokerstars basta un assegno da 5,9 milioni per fare pace con il Fisco. Le piattaforme virtuali non sono stabili organizzazioni: così le grandi multinazionali del business online si fanno beffe delle normative italiane.

Inizialmente era finita nel mirino per una presunta maxi-elusione da 300 milioni di euro. Ma dopo una serie di riformulazioni la richiesta del Fisco si era abbassata a 85 milioni, interessi e sanzioni comprese. Fino all’accordo, stipulato lo scorso 14 gennaio, sulla base di 5,9 milioni di euro: tanto è bastato a Pokerstars per chiudere i conti con l’erario, a conclusione di una trattativa che durava da circa dieci mesi. Una cifra decisamente più bassa di quella inizialmente ipotizzata, che segna la vittoria di Amaya (la società che controlla Pokerstars) e la dice lunga sulla effettiva capacità del Fisco di contrastare le operazioni elusive architettate dalle ‘big’ del business online, che realizzano profitti da capogiro con piattaforme virtuali che, però, non sono riconosciute come “stabili organizzazioni”.

Il caso. Per spiegare la vicenda occorre fare un passo indietro. E tornare al 2011, quando la Guardia di Finanza di Roma mette gli occhi sugli affari di Pokerstars in Italia. Gli investigatori scoprono un’intricata rete di trasferimenti infragruppo. Al centro dell’indagine c’è la “Halfords media Italy srl”, controllata italiana di Pokerstars formalmente costituita per fare assistenza ai clienti, che secondo le Fiamme Gialle gestisce il “core business” della multinazionale sul territorio italiano: dalla gestione dei software alla stipula dei contratti, passando per l’organizzazione dei tornei di poker nei casinò italiani. Fino alle attività promozionali, come la campagna pubblicitaria con il portiere della Nazionale Buffon a fare da testimonial. Per Gdf e Procura di Roma in pratica, la controllata italiana si configura come “stabile organizzazione” e pertanto è assoggettata alla tassazione tricolore. Per la pm di Roma Margherita Pinto, che dispone il sequestro sui conti correnti del gruppo, Pokerstars avrebbe eluso oltre 300 milioni di utili tra il 2009 e il 2014 su un giro d’affari stimato dai finanzieri di circa 4 miliardi. Ricavi poi trasferiti nei paradisi fiscali, lì dove hanno sede le altre controllate della multinazionale: Malta e Isola di Man.

L’assist dei magistrati. I capi d’accusa formulati dagli inquirenti sono essenzialmente due: da un lato l’esterovestizione, dall’altro il trasfer pricing. Ma a smontare l’impianto accusatorio ci pensano i magistrati della Corte di Cassazione, che nella sentenza n. 1811 del 2014 annullano il sequestro e danno ragione a Pokerstars, stabilendo l’incompatibilità della nozione di “stabile organizzazione” con quella di “business immateriale”. Il pronunciamento pesa sulla vicenda, tanto da convincere il Fisco a spostare l’attenzione sul trasfer princing praticato dall’azienda. Senza successo, però. Perché nel contenzioso il concetto di “beni immateriali” avrebbe fatto pendere ancora una volta la bilancia dalla parte di Pokerstars. Un’ipotesi che ha convinto gli uomini del Fisco ad abbassare le pretese e accettare un assegno di 5,9 milioni, vale a dire meno del 2% rispetto alla cifra inizialmente contestata.  

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