I proventi della prostituzione vanno tassati. A stabilirlo è la recente giurisprudenza della Cassazione secondo cui il mestiere più antico del mondo non sfugge al fisco.
Per Ruby e le giovani animatrici delle allegre serate del primier nelle sue ville e residenze a base di bunga bunga presto potrebbe arrivare il conto dell’Agenzia delle entrate. La Cassazione con una recentissima sentenza dell’ottobre scorso ha stabilito infatti che anche i proventi provenienti dall’attività di prostituzione debbano essere sottoposti a tassazione. Pur essendo una attività discutibile sul piano morale, hanno sentenziato gli ermellini, non può essere certamente ritenuta illecita. In pratica i giudici di legittimità hanno ritenuto che i relativi proventi sono espressione di un’ attività economica non diversamente da altre.
Anche volendo considerare illecito, in quanto contrario al buon costume, l’accordo che ha ad oggetto una prestazione sessuale verso il pagamento di denaro o di beni in natura, i relativi proventi sarebbero comunque ugualmente tassabili ai fini delle imposte dirette. Difatti l’art. 14, comma 4, della legge 537/93, prevede che nell’ambito delle categorie reddituali (reddito di lavoro autonomo, reddito d’impresa, etc.) devono essere ricompresi, se in esse classificabili, i proventi derivanti da fatti, atti o attività qualificabili come illecito civile, penale o amministrativo se non già sottoposti a sequestro o confisca penale. Qualora, poi, i proventi illeciti non siano classificabili nelle predette categorie di reddito vanno comunque considerati come redditi diversi .
Pubblicato il 18 gennaio 2010













