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giovedì 1 Maggio 2025
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Continua la balcanizzazione dell’Irpef ora serve riforma radicale

Di Ruggero Paladini

Vincenzo Visco

La misura di riduzione del cuneo fiscale decisa dal Governo dovrebbe essere l’occasione per una discussione e una riflessione sullo stato della nostra principale imposta che, come hanno sottolineato anche numerosi commenti giornalistici, è progressivamente diventata il luogo della più assoluta discrezionalità, una giungla inestricabile fonte di iniquità e di discriminazioni gratuite. E non c’è dubbio che il nuovo decreto aumenti ed acceleri il processo di disarticolazione dell’imposta. Si tratta infatti di un intervento a favore di un sottoinsieme di una unica categoria di contribuenti (i lavoratori dipendenti) varato senza considerare le conseguenze di sistema e la logica dell’imposta. Un’idea degli effetti reali dell’intervento si può ricavare dalla tabella che segue che riporta le aliquote marginali effettive calcolate per il solo caso di un lavoratore dipendente senza carichi di famiglia. Invece delle 5 aliquote formali previste dalla legge, si può verificare che, a causa degli effetti delle detrazioni o delle agevolazioni (bonus) decrescenti ci troviamo di fronte a 8 scaglioni ed altrettante aliquote effettive, diverse da quelle teoriche, molto più elevate (salvo che per i livelli di reddito più alti), e con un andamento erratico per cui redditi più elevati possono risultare soggetti ad aliquote inferiori (si veda tabella sotto). È difficile trovare una qualche giustificazione logica o economica per i dati contenuti nella tabella che riflettono in realtà una tendenza ben nota, e rilevata fin dal lontano 2002 su questo giornale dagli autori di quest’ articolo, ad utilizzare le detrazioni decrescenti come escamotage per ridurre una perdita di gettito che sarebbe stata insostenibile se si fosse intervenuti in maniera razionale e tecnicamente corretta, concentrando i benefici di uno sgravio solo su un numero ridotto di contribuenti ritenuti però rilevanti dal punto di vista del consenso politico. Va anche notato che il costo della nuova misura unito a quello del bonus degli 80 euro è tale da rendere molto problematico un loro assorbimento indolore in sede di ulteriori riforme future. Se si considerassero anche i carichi di famiglia, emergerebbe una nuova e diversa struttura delle aliquote. Così come ancora diverse risultano le aliquote effettive per i lavoratori autonomi e per i pensionati. Sostanzialmente è avvenuta negli anni passati, e continua ancora oggi, una sorta di balcanizzazione dell’imposta per cui oggi esiste un trattamento specifico per i lavoratori autonomi fina a 65.000 di fatturato, uno diverso per gli altri lavoratori autonomi, e poi trattamenti specifici e differenti per lavoratori dipendenti e pensionati, in spregio e in violazione di ogni principio di equità orizzontale (parità di trattamento di contribuenti con lo stesso reddito) e verticale (principio di progressività, vale a dire che a redditi più elevati dovrebbero corrispondere aliquote più elevate). In sostanza la struttura dell’Irpef non risponde più al dettato costituzionale, e la situazione, invece di venire gradualmente migliorata, peggiora anno dopo anno. L’imposta necessiterebbe quindi di una riforma radicale, che si potrebbe attuare anche gradualmente, ma all’interno di una strategia organica esplicita e condivisa. Tutti i redditi di qualsiasi fonte dovrebbero essere assoggettati alle medesime aliquote e le basi imponibili determinate in base agli stessi criteri. Le eventuali differenziazioni di trattamento dovrebbero essere affidate a detrazioni uniformi e non decrescenti. Al fine di evitare salti di aliquote sarebbe utile ricorrere per il calcolo dell’imposta ad una funzione matematica continua che determini le aliquote medie per ogni livello di reddito superando la logica degli scaglioni, come avviene in Germania, e come è condiviso da un numero crescente di studiosi. Il contrasto all’evasione di massa dovrebbe essere sempre più determinato, coerente e costante. Gli interventi a sostegno delle famiglie (detrazioni, bonus vari, assegni familiari) dovrebbero essere unificati in un unico strumento razionalmente costruito in base ad una scala di equivalenza ed estesi a tutti i contribuenti il che oggi non avviene. Le spese fiscali andrebbero calcolate in riferimento all’aliquota base del sistema (quella più ridotta) in modo da allargare la base imponibile. L’incidenza dell’imposta (e il suo gettito complessivo) andrebbe ridotta concentrando gli sgravi soprattutto sulle classi medie di reddito, mentre per i redditi molto alti non andrebbe escluso il ricorso ad aliquote più elevate di quelle attuali. Ma soprattutto andrebbe affrontato il problema della tassazione dei redditi di capitale che sono esclusi dalla progressività e tassati in modo estemporaneo, distorto e discrezionale . Le possibilità di intervento sono diverse: o l’inserimento, previa una correzione, nella base imponibile dell’Irpef o il modello di tassazione duale utilizzato dai Paesi scandinavi e che provò ad introdurre, senza successo, con la riforma Visco del 1997, o l’introduzione a fianco di un’Irpef che tassi solo i redditi di lavoro, di una imposta personale progressiva che colpisca i redditi patrimoniali e di capitale. In ogni caso sarebbe opportuno che venisse iniziato un confronto aperto e un dibattito pubblico sulle questioni qui indicate in modo da evitare ulteriori interventi frammentari e dannosi sia da un punto di vista dell’equità che da quello dell’efficienza economica.

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