Dimensioni e caratteristiche attuali dell’evasione fiscale. Elevata la «propensione a non dichiarare». Solo per quanto riguarda l’Iva, si parla di una sottrazione di imposta valutata dalla Corte dei Conti «in 46 miliardi di euro nel 2011». Idem per l’Irap. Nell’insieme dei due tributi, «il vuoto di gettito creato dall’evasione stimato dall’Agenzia delle Entrate ammonterebbe nel solo 2011 a 50 miliardi». Cifre enormi, senza considerare che con l’aggravarsi della crisi, ha osservato il presidente della Corte dei Conti, «si ricorre ad una sorta di finanziamento improprio delle attività economiche attraverso il mancato pagamento di tributi (per lo più Iva) e contributi».
Aree geografiche e per settori economici. A livello territoriale, il Sud e le Isole si presentano come le realtà ove è più intensa la “propensione all’evasione” (oltre il 40 per cento l’Iva e oltre il 29 per cento l’Irap), a fronte di livelli pressoché dimezzati nel Nord del Paese. Le differenze si invertono se, invece, si guarda ai valori assoluti: la maggior parte dell’evasione si concentra nelle aree del Nord-Ovest e del Nord-Est, nelle quali si realizza la quota più rilevante del volume d’affari e del reddito. La distribuzione per settori economici conferma, a sua volta, l’elevata propensione ad evadere in Agricoltura e nel Terziario privato, con un tasso compreso fra tre e cinque volte quello calcolato per l’Industria in senso stretto.
I limiti del modello basato sul solo controllo ex post. La denuncia è questa: Il sistema dei controlli è troppo poco approfondito e limitiato – almeno per quelle vaste categorie ove l’evasione assurge a fenomeno di massa (attività indipendenti di medio-piccola dimensione economica) – e si fonda su un apparato sanzionatorio alquanto depotenziato, almeno nei casi in cui il contribuente destinatario del controllo accolga i rilievi dell’amministrazione. Nell’impossibilità di incrementare il numero di controlli approfonditi e sforzandosi di approntare strumenti in grado di far emergere la base imponibile non dichiarata da un così grande numero di soggetti, l’ordinamento ha fatto ricorso nel tempo a molte misure la cui efficacia si è spesso rivelata inferiore alle attese. Vale la pena ricordare i principali: la bolla di accompagnamento dei beni viaggianti, gli elenchi clienti e fornitori cartacei, le ricevute fiscali, i misuratori fiscali, i coefficienti di ricavi, i coefficienti di reddito, i parametri, gli studi di settore, il redditometro, ecc. Si tratta di strumenti che, sebbene caratterizzati da un diverso grado di efficacia nella capacità di contrastare l’evasione, hanno avuto il comune negativo effetto di aumentare la complessità formale e l’onerosità del sistema, senza comunque riuscire ad incidere sulla grande massa dell’evasione.
L’uso delle tecnologie informatiche e telematiche. Le numerose fonti informative di cui dispone l’amministrazione, fino alle più recenti implementazioni del nuovo archivio clienti e fornitori e dell’anagrafe dei rapporti finanziari, in realtà consentono ampiamente, se ben utilizzate, di individuare efficacemente gran parte delle evasioni fiscali. Il problema, dunque, non è tanto quello di individuare gli evasori, che da tempo l’amministrazione sa individuare e, ove ne avesse i mezzi organizzativi, riuscirebbe ad accertare, ma quello di prevenire l’evasione, riducendo le possibilità di comportamenti scorretti nella fase dell’adempimento.
Un possibile nuovo ruolo dell’amministrazione. Analoghe considerazioni vanno svolte a proposito dell’attività dell’amministrazione fiscale, il cui ruolo di assistenza all’adempimento è oggi essenzialmente rivolto all’approntamento dei modelli dichiarativi (compito questo reso sempre più arduo dalla complessità e stratificazione delle previsioni legislative) e delle relative procedure di trasmissione telematica, nonché alla chiarificazione della normativa attraverso un’intensa produzione di circolari, risoluzioni, istruzioni e guide operative. A livello territoriale gli uffici assistono un certo numero di contribuenti, essenzialmente pensionati e lavoratori dipendenti. Sostanzialmente assente è l’interlocuzione nella fase dell’adempimento con l’universo di coloro che svolgono attività indipendenti, presso i quali si concentra la gran parte dell’evasione fiscale. Occorre allora chiedersi se, grazie al decisivo apporto delle tecnologie, l’amministrazione non possa divenire soggetto attivo del rapporto già nella fase dell’adempimento, mettendo a disposizione dell’impresa o del professionista attraverso strumenti come quello che attualmente viene denominato, con terminologia forse riduttiva, “cassetto fiscale” tutti i dati di cui l’amministrazione potrebbe disporre prima dell’adempimento. Si tratta, in definitiva, di mutare l’approccio della pubblica amministrazione, che da soggetto sostanzialmente passivo nella fase dell’adempimento, può diventare essa stessa parte attiva interloquendo in modo costruttivo con il contribuente e con i tecnici che lo assistono.
La gestione del contenzioso tributario. La definizione delle liti fiscali pendenti ha comportato la chiusura agevolata delle vertenze fiscali dell’Agenzia delle entrate di ammontare, in termini di sola imposta, non superiore a 20.000 euro. Si è trattato di una misura dettata dall’intento di definire vertenze di importo relativo che ha, tuttavia, indebolito la funzionalità del sistema che presuppone necessariamente stabilità e chiarezza delle regole.
Una ulteriore riflessione è opportuno formulare con riguardo alla mediazione fiscale. Un istituto, introdotto con il fine di contenere le controversie giurisdizionali ed operativo dal 1° aprile 2012 – attualmente al vaglio della Corte costituzionale – che dà adito ad alcune perplessità. Secondo la Corte, l’istituto della mediazione fiscale, sottintende l’obiettivo di consentire all’amministrazione il pieno esercizio dell’autotutela, superando le tradizionali esitazioni del passato, ma rischia di gravare il contribuente di un onere ulteriore per la difesa dei propri diritti. Proprio nella direzione dell’autotutela l’intervento legislativo dovrebbe tanto più affermare il dovere dell’amministrazione di correggere i propri errori e consentire al contribuente di sanare quelli scusabili da lui commessi.
Il ruolo degli enti territoriali per favorire la tax compliance nei tributi erariali. Fino ad oggi il ruolo delle autonomie territoriali nella gestione dei tributi statali è stato concepito essenzialmente in termini di partecipazione all’accertamento svolto dall’amministrazione finanziaria. Se si abbandonasse la logica meramente reattiva di un’amministrazione finanziaria che – sottolinea il documento della Corte dei Conti – interviene soltanto dopo la presentazione della dichiarazione e il versamento delle imposte, per abbracciare un sistema di confronto basato da un lato sull’uso anticipatore della tecnologia e dall’altro su una interlocuzione persuasiva nella fase dell’adempimento, questo diverso approccio potrebbe forse trovare nell’ambito degli enti locali un interlocutore attivo, fortemente interessato ad accrescere il livello di tax compliance dei propri residenti, in quanto essi stessi contribuenti dell’ente attraverso le addizionali.