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venerdì 24 Ottobre 2025
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Corte dei conti: nel 2024 accertate imposte per 72 miliardi, incassati 12. Condoni e scarsi controlli spingono ancora in alto l’evasione

Nel 2024 nelle casse dello Stato sono entrati soltanto 12,8 dei 72,3 miliardi di euro di imposte accertate. L’indice di riscuotibilità si ferma così al 17,7%, in calo di tre punti rispetto al 20,7% del 2023.

Il quadro diventa ancora più sconfortante se si restringe l’analisi alle sole somme iscritte a ruolo. Su 40,7 miliardi accertati e comunicati con una cartella esattoriale, l’erario ha effettivamente incassato appena 1,3 miliardi, il 3.1%. A certificarlo è la Corte dei conti che indica nella capacità di controllo e nella propensione al condono della politica il vero tallone d’Achille del sistema di accertamento e riscossione messo in campo dal sistema tributario.

Nel 2024 l’Amministrazione finanziaria ha effettuato controlli sostanziali su appena 1,4% dei contribuenti con attività imprenditoriali, professionali o autonome. In pratica, un contribuente su 71. Vuol dire, come già sottolineato da Fiscoequo, che con questi ritmi servirebbero 71 anni per passare al setaccio l’intera platea.

Se si volge lo sguardo su società di persone e di capitali, la percentuale effettivamente riscossa si ferma per i primi  all’8,42% del contestato e per la seconda tipologia di forma giuridica al 9,63%.

Anche l’Iva mostra numeri sconfortanti: tra il 2019 e il 2021 l’Agenzia delle Entrate ha inviato 1,4 milioni di comunicazioni, per quasi 9,6 miliardi di euro contestati. Ma i versamenti si sono fermati a 1,7 miliardi, appena il 17,26%.

Rottamazioni che incoraggiano i furbi

Quattro rottamazioni, 33 miliardi di euro effettivamente incassati e 47 miliardi di rate non versate. È la fotografia impietosa che emerge dai dati contenuti nella Relazione sul rendiconto generale dello Stato della Corte dei Conti, relativi a tutte le definizioni agevolate avviate dal 2016 al 2022.
Il meccanismo delle rottamazioni, nato formalmente per alleggerire i debiti e favorire la regolarizzazione, diventa un ulteriore incentivo all’evasione. La Corte rileva che molti contribuenti aderiscono solo per guadagnare tempo ed evitare misure esecutive, senza alcuna intenzione di pagare davvero. Emblematico il dato recente della rottamazione-quater: 11,2 miliardi di rate scadute nel biennio 2023-2024 non sono stati versati.

Per pagare e morire c’è sempre tempo, dice un antico adagio popolare, che sembra particolamente calzante al sistema fiscale italiano. Di fatto, chi vuole evadere sa che la probabilità di essere controllato è minima e che, anche in caso di accertamento, esiste sempre la possibilità di una nuova sanatoria.

Il giudizio della Corte dei Conti è netto: con un tasso di controllo dell’1,4% e riscossioni ferme al 17,7% degli importi accertati, il sistema non può esercitare alcuna deterrenza.

Dietro le cifre si nasconde anche un problema etico più grande: l’iniquità di un fisco che colpisce chi non può sfuggire , cioè lavoratori dipendenti e pensionati, mentre lascia ampi margini di manovra a chi ha più strumenti per evadere.

La cultura del condono

La Corte dei Conti sottolinea come sia “altamente probabile” la “correlazione a radicate aspettative di successive rottamazioni o al convincimento di poter eludere la successiva azione esecutiva”. Questo comportamento è particolarmente evidente come abbiamo visto rispetto alle cartelle esattoriali.
 Un altro fattore cruciale è proprio la quasi “aspettativa” dei contribuenti di poter usufruire di condoni. La storia recente del Paese, costellata di sanatorie fiscali, ha incentivato un comportamento opportunistico. Visto che siamo arrivati alla quarta rottamazione e si parla della quinta non si può dire che questa aspettativa e la ‘tattica’ poco etica di procrastinare  i pagamenti in attesa dello sconto, non generi risultati. L’’abitudine alle sanatorie ha creato la mentalità che non valga la pena pagare subito, data l’alta probabilità che in futuro possa arrivare un provvedimento legislativo che riduca l’importo da pagare o ne cancelli una parte.

La pressione sul contenzioso

 L’attesa di probabili tempi migliori porta anche ad aumentare la propensione a non pagare e a impugnare l’atto davanti alla giustizia tributaria bloccando di fatto il processo di riscossione. E non perché i contribuenti ritengano l’accertamento ingiusto o errato e decidano di contestarlo legalmente, come testimonia l’alta percentuale di cause che si concludono con il riconoscimento delle ragioni dell’Amministrazione finanziaria.

Il fenomeno delle “partite Iva apri e chiudi”

 Esistono contribuenti che operano in modo fraudolento fin dall’inizio, con l’intento di non pagare. Un esempio emblematico sono le cosiddette “Partite Iva apri e chiudi, soggetti che aprono un’attività, non versano mai le imposte e poi la chiudono prima che scatti un accertamento (in genere dopo almeno 4 anni)  per riaprirla subito dopo con un’altra identità o ragione sociale collegata.

L’inefficienza del sistema di riscossione

 L’ultima ma non meno importante causa della generale insolvenza degli evasori italiani è l’enorme carico di lavoro che l’Agenzia delle Entrate e il riscossore si trovano a gestire. Questo significa che l’enorme quantità di debiti da recuperare, il “magazzino di ruoli”, è tale che l’ente di riscossione non ha le risorse o la capacità di agire efficacemente su ogni singola posizione, finendo costretto a concentrarsi solo sulle più promettenti e lasciando inevitabilmente indietro gran parte dei crediti.

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