Per i magistrati contabili le entrate sono incerte e gli interventi di spesa rischiano di essere inefficaci, occasione persa sulla politica fiscale.
La clausola di salvaguardia “monstre” rischia di affossare il bonus Irpef e il taglio dell’Irap. A dirlo è la Corte dei Conti, nella relazione su “Le prospettive della finanza pubblica dopo la legge di stabilità” approvata dalle sezione riunite il 18 febbraio e trasmessa al Parlamento. Per i magistrati contabili la riduzione della spesa per interessi e il calo del prezzo del petrolio, uniti all’iniezione di liquidità voluta dalla Bce che ha determinato la svalutazione dell’euro, garantiscono uno scenario “migliore di quello atteso”, ma non ancora sufficiente per uscire dalla crisi. In questo contesto si inserisce la manovra finanziaria, le cui misure in entrata e uscita “non mancano di suscitare incertezze”. Sul fronte delle spese, le pesanti correzioni contenute nella clausola di salvaguardia rischiano di minare le aspettative dei contribuenti, neutralizzando così gli effetti espansivi che il bonus Irpef e il taglio dell’Irap portano in dote. Non va meglio sul lato delle entrate, che poggiano su ulteriori inasprimenti dei tributi e non sugli annunciati “tagli” alla spesa, giunti all’ennesimo rinvio.
La clausola. Ma a preoccupare maggiormente i giudici è la clausola di salvaguardia inserita nella legge di stabilità, che si attiverebbe nel caso in cui non fossero rispettati gli obiettivi di bilancio: prevede un aumento delle aliquote Iva e delle accise su benzina e gasolio, per un gettito stimato in 12,8 miliardi nel 2016, 19,2 nel 2017 e circa 22 a partire dal 2018. Una spada di Damocle che ha un duplice effetto negativo. In primo luogo sugli operatori, i quali attendendosi maggiori imposte future sono indotti al risparmio precauzionale; in secondo luogo sulla politica fiscale, perché la tendenza sempre più marcata a “prenotare” il gettito futuro riduce gli spazi di manovra per gli anni a venire. Aspettative negative che, secondo i magistrati, rischiano di “vanificare gli effetti espansivi” degli interventi di spesa, dal bonus Irpef al taglio dell’Irap per la componente lavoro, fino alla decontribuzione per le nuove assunzioni.
Entrate incerte. Altra consuetudine italiana, secondo la Corte, è quella di affidare la copertura di spese certe a entrate incerte. Nella legge di stabilità, ad esempio, viene riposta grande fiducia sul contrasto all’evasione fiscale, per sua natura fortemente aleatorio, la reverse charge e lo split payment, i cui gettiti potenziali, stimati in 8 miliardi, sono però tutti da dimostrare. Appare un segno di netta continuità col passato anche annunciare tagli alla spesa per poi differirli a data da destinarsi, così come la scelta di coprire nuovi interventi di spesa con ulteriori inasprimenti fiscali. Nella manovra, infatti, sono previste strette su fondi pensione e polizze vita, rincari sul pellet e aumenti d’imposta sulla rivalutazione del Tfr. Non è nuova neppure l’abitudine di ricorrere a forme di anticipazione del gettito per coprire i “buchi” di bilancio; soluzione che oltre a determinare forti scompensi sul fronte delle entrate tributarie, mina la credibilità dell’intero sistema fiscale.
Delega fiscale, i limiti della manovra. Della delega fiscale, rilevano i giudici, la legge di stabilità si occupa solo marginalmente. Se da un lato sembra darne parziale attuazione con l’estensione del reverse charge e l’introduzione dello split payment; dall’altro pare evitarne accuratamente la trattazione, in particolare per quel che riguarda il prioritario riordino delle spese fiscali. Un ginepraio di oltre 720 agevolazioni, con un impatto sul gettito di circa 250 miliardi, che invece di essere sfoltito è stato addirittura rimpinguato di ulteriori 20 regimi agevolativi dal 2011 ad oggi. Non convince, poi, la modifica dell’istituto del ravvedimento operoso, che secondo i magistrati, tende a premiare l’attendismo dei contribuenti meno fedeli.
La relazione integrale sulle prospettive della finanza pubblica dopo la legge di stabilità