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venerdì 24 Ottobre 2025
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Def 2015, Corte dei Conti: “Fine della crisi vicina, ma riforme strutturali indifferibili”

I magistrati contabili esprimono un giudizio positivo sul documento di economia e finanza appena presentato dal Governo, ma avvertono: da troppi anni si attende una riflessione sul sistema fiscale.

Gli spiragli per un’uscita dalla crisi ci sono, ma bisogna cogliere l’attimo per fare le riforme strutturali. Questo, in sintesi, è quanto ha detto la Corte dei Conti durante l’audizione sul Def, il documento di economia e finanza 2015 appena approdato in Parlamento. Per i magistrati contabili, l’Italia deve sfruttare il momento benevolo offerto dal contesto macroeconomico internazionale, che vede il prezzo delle materie prime mantenersi su prezzi bassi e una politica monetaria nuovamente espansiva che, grazie al Qe della Bce, sta consentendo ai paesi con un elevato stock di debito di risparmiare sui tassi di interesse. Ciononostante, le previsioni macroeconomiche contenute nel Def, osserva la Corte, “restano prudenti per l’anno in corso”, sottolineando come dagli incontri con le autorità europee “sia emersa la necessità di non considerare nel tasso di crescita del Pil per il periodo fino a tutto il 2017, l’impatto positivo che il Governo stima provenire dalle riforme strutturali effettuate nel 2015”. A ciò vanno aggiunti anche altri dati incoraggianti, come la crescita attesa degli investimenti dal 2016 (+2%) e dei consumi delle famiglie (+1%), che messi insieme “suggeriscono per l’Italia uno scenario di superamento della crisi”.

Il quadro di finanza pubblica. Anche su questo versante gli indicatori sembrano promettenti. In termini tendenziali il deficit dovrebbe assottigliarsi, passando dall’attuale 2,5% all’1,4% nel 2016, fino allo 0,2% previsto per il 2017. In termini assoluti il riequilibrio di bilancio supererebbe i 66 miliardi, assorbendo un terzo dell’aumento atteso del Pil nominale, di 225 miliardi.

Sul lato delle entrate le previsioni dell’esecutivo sono molto meno prudenti, anche perché, come fa notare la Corte, “incorporano automaticamente gli aumenti di Iva e accise prevista dalla clausola di salvaguardia”. Tra il 2015 e il 2019 le entrate totali crescerebbero ad un ritmo di 2,6 punti l’anno, anche per effetto dell’aumento delle entrate tributarie dirette (+3,3% in media l’anno). Una crescita marcata, dovuta a tre fattori: l’effetto di trascinamento dei risultati 2014, il rafforzamento della congiuntura favorevole e gli effetti dei provvedimenti legislativi. Per i magistrati, tuttavia, una previsione di accelerazione così marcata dovrebbe essere evitata, perché il maggior gettito è rilevabile solo a consuntivo. Un esempio emblematico è la stima delle entrate da contrasto all’evasione, per sua natura fortemente aleatoria e incerta, cui spesso si affida la copertura di spese certe. In ogni caso, lo scenario favorevole potrebbe aiutare a mantenere positive le entrate, garantendo così il mantenimento dell’avanzo primario al 4% del Pil: condizione essenziale, questa, per ridurre il debito pubblico già a partire dal 2016.

Riforme. Tutto bene, quindi? Non proprio. Perché se è vero che la notte sembra essere sul punto di finire, è altrettanto vero che l’Italia ha bisogno di attuare riforme strutturali per uscirne sana e salva. Sul punto la Corte è critica, e rileva come restino “ancora sfocati i contorni che caratterizzano alcuni progetti di risistemazione delle competenze funzionali tra i diversi livelli di governo”. Il riferimento è al disegno federalista, ma anche all’assetto del sistema fiscale, che da decenni attende una seria riflessione. Vale lo stesso per il caso delle province, su cui si è avviata una revisione complessa ma tuttora dominata da “incertezze quanto ai tempi di realizzazione”. Né va sottovalutata la sostenibilità delle prestazioni pubbliche, che ancora oggi presentano notevoli differenze territoriali e su cui insistono frequenti tagli di risorse. Capitolo a parte, infine, per le tax expediture. Qui la Corte rileva uno strabismo politico, perché se da un lato il Governo punta a sfoltirne il numero, dall’altro continua a creare nuovi regimi agevolativi, sia utilizzando la leva tributaria (riduzioni di aliquota o imponibili), sia intervenendo sulla spesa pubblica, con i crediti d’imposta

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