di Pasquale Fabbrocini
A chi di noi non è mai capitato, ad esempio alla fine di una visita specialistica, sentirsi domandare: “avete bisogno di ricevuta fiscale?”; ed alla nostra risposta affermativa sentirsi replicare: “con fattura sono 100 euro, senza 80”, ossia, se paghi senza ricevuta fiscale monetizzi subito la detrazione che avresti in dichiarazione. All’amarezza ed alla frustrazione per il senso di impotenza di fronte ad una situazione del genere, almeno prima vi era la speranza che il Fisco, mediante le indagini bancarie, potesse ricostruire gli introiti effettivamente percepiti dal professionista. Ed invece no. Non solo la Consulta nel 2014 ha stabilito che era incostituzionale la norma che estendeva ai professionisti la presunzione relativa di avere conseguito compensi a nero ogniqualvolta gli stessi eseguivano prelievi da conto corrente non giustificati, ma adesso il Decreto Fiscale collegato alla Legge di Bilancio per il 2017 ha cancellato anche la possibilità di qualificare come compensi in nero i versamenti eseguiti dai lavoratori autonomi su conto corrente non giustificati.
E dire che l’Agenzia delle Entrate ha sempre utilizzato “cum grano salis” lo strumento delle indagini bancarie nei confronti dei professionisti, soprattutto in relazione ai prelievi da conto corrente. Basti rammentare quanto già segnalato su questo sito, ossia, che con la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 25/E del 2014 era stato ribadito (in quanto era prassi già in uso) che: “le presunzioni fissate dalla citata norma a salvaguardia della pretesa erariale devono essere applicate dall’Ufficio secondo logiche di proporzione e ragionevolezza avulse da un acritico automatismo, giovandosi in via prioritaria della collaborazione del contribuente e delle dimostrazioni che questi potrà addurre a titolo di giustificazione delle operazioni finanziarie rilevate, con riguardo in particolare ai prelevamenti.”. In definitiva, non solo il Fisco poteva utilizzare le risultanze dei conti correnti del professionista solo nell’ambito di una verifica fiscale già in atto, non potendole usare per selezionare il soggetto da controllare, ma tali risultanze dovevano essere valutate in contraddittorio con il contribuente medesimo, il quale poteva dimostrare che i prelievi erano destinati al consumo personale e familiare, essendo adeguati al tenore di vita della famiglia, tenendo conto del volume d’affari della propria attività professionale. Ma tutto ciò non è sembrato al nostro legislatore sufficientemente garantista. Se si aggiunge anche la prossima abolizione degli studi di settore per i professionisti, che, quantomeno, forniscono un ausilio alla selezione delle posizioni da controllare, si capisce che il Fisco ha davvero le armi spuntate nei confronti di una fetta importante di contribuenti italiani.













