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sabato 3 Maggio 2025
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E tu, perché mi guardi e non riscuoti?

Di Giorgio Caraglio

Il nostro è un paese strano. Anni e anni a discutere sul problema dell’evasione, a ragionare sui deficit culturali, a incaponirsi sulla mancanza di sanzioni sociali. Si è arrivati persino a dire che sì, le informazioni per contrastarla ci sarebbero pure, ma manca la volontà politica. Anni a fare congetture, e invece.

E invece la risposta era dietro l’angolo. Il problema è l’Agenzia delle entrate, ecco il guaio. Perché insomma, parliamoci chiaro, in tutti questi anni non è che abbia funzionato granché bene, né nei compiti ordinari di accertamento né in quelli di riscossione dei tributi. E sull’evasione poi, stendiamo un velo pietoso: sì ogni tanto qualche furbetto scovato dall’attività investigativa, però se si guarda con un occhio un po’ più attento si scopre che questo “fenomeno di massa” tale era e tale è rimasto. Insomma l’impressione è che l’Agenzia stia arrancando e questo, l’Italia col segno più, non può permetterselo. C’è una rivoluzione da compiere, ed è doveroso che il governo rifletta sulla possibilità di far tornare le Entrate sotto l’ala del ministero delle finanze.

Ma la domanda a questo punto sorge spontanea: com’è possibile che una tale macchina fiscale non sia in grado di accertare, riscuotere, insomma far emergere quella larga fetta di nero ed evasione di cui si parla?  Soprattutto ora che ha accanto un governo che, fatti alla mano, pare aver ingaggiato una lotta senza quartiere nei confronti dei discepoli dell’evasione.

Un esempio? Il disfacimento della norma sul raddoppio dei termini per l’accertamento. La storia è di quelle da raccontare: il raddoppio era stato introdotto perché l’Agenzia delle entrate non riusciva a perseguire i casi più gravi e insidiosi di evasione fiscale, quelli connessi a indagini penali e perlopiù riguardanti mafie e criminalità economiche. Il motivo era semplice: la legge predisponeva un unico termine di decadenza di quattro anni, a prescindere dalla gravità della condotta dell’evasore; così, quando la notizia di reato arrivava all’orecchio del fisco – tramite la Gdf e solo dopo l’autorizzazione del pm- il termine per l’emanazione dell’atto di accertamento era già scaduto. Un bagno di sangue per l’erario, evidentemente. Che il raddoppio serviva- ed è servito- a scongiurare, consentendo al fisco di estendere i tempi dell’accertamento amministrativo anche se la notizia di reato fosse arrivata fuori tempo massimo. Una spina nel fianco per i furbetti, tanto che il governo si è sentito in dovere di infliggere il colpo di grazia. Ma no, non agli evasori, alla norma: ora il raddoppio scatta solo se la denuncia è presentata entro i primi quattro anni. Che vuol dire stop a tutti i maxi accertamenti in corso e condono gratis per i grandi evasori: Tremonti, al confronto, era un pivello. Il tutto, per di più, in barba alle prescrizioni contenute nella legge delega n. 11/2014 e in contrasto con la sentenza n. 247 della Consulta: strano ma vero, in quel caso nessun sottosegretario all’economia si è stracciato le vesti parlando di “sanatorie”, come nel caso dei dirigenti illegittimi.

Che Palazzo Chigi abbia particolarmente a cuore il tema dell’evasione si può dedurre anche da altri schemi dei decreti attuativi della delega fiscale. Già, perché mentre una mano produceva il massimo sforzo per “alleggerire” i contenziosi, l’altra si adoperava per smontare pezzo dopo pezzo il penale tributario e, non contenta, pure il sistema sanzionatorio. In un colpo solo sanzioni ridotte, soglie di punibilità innalzate per i reati fiscali più insidiosi e immunità penale per gli elusori. E si tace qui della “manina lesta” (tuttora orfana) che in mezzo a tante regalie era riuscita a inserire un codicillo ribattezzato “Salva Silvio” che escludeva la punibilità penale per evasioni e frodi fino al 3%, poi ritirato per eccesso di prudenza. Per non parlare del falso in bilancio dal quale sono scomparse le valutazioni. 

Ma anche in questo caso, la strategia di Renzi era più che giustificabile: d’altronde in un paese dove vige l’adempimento spontaneo e regna l’evasione, falciare l’attività di deterrenza è il migliore fra i rimedi. Sempre se accompagnato da una periodica proroga della finestra di rateizzazione delle cartelle esattoriali, che nella maggior parte dei casi si traduce nel medesimo epilogo: miliardi di crediti inesigibili.

E se un evasore ha emesso false fatturazioni e creato fondi neri coi quali acquistare ville, macchine e yacht? Il governo ha pensato a tutto: niente manette, perché il reato di autoriciclaggio non contempla i casi in cui i proventi illeciti siano stati utilizzati per scopi personali.

E torniamo alla domanda di partenza: perché l’agenzia non funziona? Viene il dubbio che tra fisco ed esecutivo ci sia di mezzo una buona dose di “misunderstanding”. Per colpa del primo, è chiaro. Perché il secondo, la lotta all’evasione continua a farla, col nuovo tetto al contante e l’abolizione del divieto di pagare cash gli affitti. Ecco, il punto è proprio questo: l’Agenzia forse non comprende che il Governo ha un modo completamente innovativo per combattere gli evasori. Li favorisce. Una strategia sottile, quasi un percorso di rinnovamento delle coscienze. “Ti lascio libero di sbagliare, ma promettimi che ti redimerai” ecco, qualcosa del genere.

Che poi in fondo il cambia verso è qui, dentro di noi. Il cambia verso siamo noi. E l’evasione non è più un reato, ma un’opportunità. Per esorcizzare la crisi, riempire di nuovo i ristoranti, rilanciare i consumi. E l’evasore non è più un criminale, ma un patriottico. E se fa un po’ di nero, suvvia, è per far girare l’economia, sostenere la ripresa. È questa l’Italia che riparte, quella che ci crede. Ed è l’Italia che vota, vota per legittima difesa. Ed è un’Italia nutrita, che ha perso il suo punto di riferimento e ora chiede di essere rappresentata. Anche le rivoluzioni cambiano verso, a volte anche prima di cominciare.

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