La nuova maggioranza di governo corre a tappe forzate verso la disarticolazione di quel poco che è rimasto nel nostro ordinamento della progressività e dell’equità fiscale, come si evince da quanto anticipato dell’agenda Meloni sulla riforma del fisco. Il varo del Consiglio dei ministri dei nuovi provvedimenti è atteso entro la fine del prossimo febbraio. Al primo punto lo stop alla revisione e all’aggiornamento del Catasto in qualche modo faticosamente avviato – e contestualmente sterilizzato – dal governo Draghi. E dunque “nessun rialzo della tassazione sulla casa” si sbracciano a spiegare ministri, vice ministri con delega e le testate d’informazione governative, praticando un vero e proprio depistaggio sui reali effetti di una riforma attesa da decenni.
La principale preoccupazione dell’attuale esecutivo, anche se non dichiarata, sembra essere di tenere la banca dati delle proprietà immobiliari immersa nelle discriminazioni che il tempo e l’evoluzione dell’urbanistica hanno decretato tra i proprietari di casa, applicando ancora i vecchi estimi e le norme degli anni ‘30. Gli stessi che portano oggi a pagare imposte molto più basse sugli immobili per coloro che abitano in prestigiosi attici dei centri storici, rispetto alle famiglie che hanno acquistato faticosamente casa anche in estrema periferia, ma in edifici di nuova costruzione.
La filosofia assurta a programma politico e di governo del difendere le tasche dei ceti agiati a scapito della classe media e piccolo borghese (per intenderci quella che ancora prende uno stipendio fisso, la pensione o viene pagata con una falsa partita Iva) la troviamo ancora al punto due dell’annunciata riforma. Propagandato come “riassetto delle molteplici imposte”, l’intervento si riduce innanzitutto a mettere le mani sull’Irpef o meglio, di quel che ne rimane. Si preannuncia quindi il taglio delle aliquote da 4 a 3, con un’ulteriore riduzione nel corso della legislatura che dovrebbe portare sotto il regime della “flat tax” – di cui oggi godono tutti gli autonomi che denunciano un qualsiasi fatturato fino a 85mila euro (praticamente tutti in base alle tabelle dell’Anagrafe tributaria) – tutte le persone fisiche.
L’ingiustizia fiscale, riemersa inopinatamente dalle nebbie dei secoli bui, verrebbe così esportata anche tra lavoratori dipendenti e pensionati, che si troverebbero anch’essi a pagare tutti la stessa aliquota, fissata, si spera, in modo da assicurare lo stesso gettito, al fine almeno di salvare i conti dello Stato e con essi diritti essenziali e servizi pubblici.
Senza scomodare la nostra Costituzione che sancisce molto chiaramente il principio della progressività nell’applicazione delle imposte, Don Milani diceva che “non c’è ingiustizia più grande che fare parti uguali tra diversi”. Sempre al riguardo viene in mente la riprovazione generale che ha sollevato in questi giorni a livello internazionale il Rapporto Oxfam sulla distribuzione del reddito mondiale, dove si sottolineava che il multi miliardario Elon Musk ha pagato una “aliquota fiscale reale” di circa il 3%, contro il 40% che è costretta a corrispondere una venditrice di farina in Uganda. Facile prevedere che l’indignazione sarebbe stata la medesima anche se fosse stato prelevato a entrambi il 15% del loro rispettivo reddito, come dovrebbe risultare subito evidente, nel suo stesso interesse, anche al più ideologizzato lavoratore autonomo o dipendente.
La riforma fiscale targata Meloni allunga i suoi obiettivi anche su una non meglio definita “semplificazione del rapporto Fisco-contribuente” che potrebbe tradursi, se non interpretiamo troppo maliziosamente, in una ulteriore riduzione dei controlli, visto che non si parla di recupero dell’evasione fiscale. Inoltre si auspica una “razionalizzazione del contenzioso tributario”, con un abbassamento delle sanzioni oggi previste – per la verità già scarsamente efficaci e abbondantemente disinnescate dai ricorrenti condoni fiscali per chi non le paga – e un “restyling” (depenalizzazione?) anche di quelle penali. Ma si sa in Italia nessuno è mai finito in carcere per evasione fiscale e, vista l’aria, si prevede non accada neppure in futuro.













