Le novità in materia di Isee introdotte con il decreto ‘Salva Italia’ tendono a migliorare la capacità dello strumento di misurare la ricchezza delle famiglie. Per evitare abusi sarebbe opportuno affidare la gestione e i controlli all’Agenzia delle entrate.
Analoghe considerazioni possono essere fatte a proposito dell’intenzione di aumentare l’incidenza della componente patrimoniale: l’indicatore, più che perseguire “una capacità selettiva”, deve fornire una misura oggettiva delle capacità economiche e di spesa della famiglia. Quindi, se il 20% (che attualmente è la misura che “trasforma” il valore del patrimonio mobiliare e immobiliare in capacità di spesa) è inadeguato, la revisione è necessaria e va quantificata; in caso contrario non sembra questo il contesto corretto in cui scontare la maggior capacità dello Stato di controllare la componente patrimoniale della ricchezza dei propri contribuenti, rispetto a quella reddituale. Semmai, per salvaguardare una impostazione corretta, sarebbe più opportuno introdurre meccanismi esplicitamente correttivi, tipo una deduzione per i redditi di lavoro dipendente e pensione, esterni all’algoritmo di calcolo e finalizzati in modo trasparente a tener conto di una aberrazione (l’evasione) da rimuovere. Per quanto riguarda la “differenziazione dell’indicatore per le diverse tipologie di prestazioni”, il suo campo d’azione sembrerebbe doversi limitare a casi particolari, quali, ad esempio, le spese universitarie, per le quali occorre superare, in qualche misura, il concetto di nucleo familiare per dar conto di situazioni nelle quali la famiglia partecipa/sostiene spese per soggetti facenti parte di un nucleo autonomo. Nei casi più generali è comunque la disponibilità economica oggettiva a dover essere misurata, a prescindere dalla tipologia di prestazione per la quale la misura è richiesta.
In generale è auspicabile evitare (o limitare all’indispensabile) interventi sull’indicatore che sopperiscano alle debolezze degli altri anelli della catena: quello dichiarativo, sul quale grava il peso dell’evasione fiscale, e quello del controllo, oggi compromesso da una strumentazione inadeguata e da una cattiva individuazione degli attori responsabili della verifica. L’Isee copre un segmento limitato del processo e sconta necessariamente i limiti di ciò che sta a monte (la dichiarazione dei redditi), ma necessita del supporto di strumenti di gestione e controllo che oggi mancano. Sul primo aspetto (l’evasione), non è ovviamente questo l’ambito nel quale cercare le soluzioni. Per la parte dei controlli, invece, è utile fare qualche riflessione, tenendo presente che il potenziamento dell’attività di controllo ai fini dell’Isee avrebbe ricadute positive anche sulla lotta all’evasione in generale. Il governo Prodi (L. 244/2007) aveva attribuito la responsabilità dei controlli in materia di Isee all’Agenzia delle Entrate. Questa attribuzione va ripristinata in virtù sia della competenza professionale del personale dell’Agenzia sugli elementi e le logiche alla base del calcolo, sia del fatto che le banche dati nelle quali sono conservate le informazioni in questione risiedono, in massima parte, nell’Anagrafe Tributaria. In seno all’Anagrafe Tributaria, quindi, potrebbero essere sviluppati organicamente strumenti di supporto informatico come applicazioni di sportello per la verifica (anche parziale) in tempo reale di quanto dichiarato dai contribuenti, o di controllo massivo di quanto autocertificato dai contribuenti.
Inoltre, fatto forse anche più rilevante, potrebbero essere mossi passi significativi per quanto riguarda la qualità dei servizi resi ai cittadini. In sede di calcolo dell’ISEE, oggi viene richiesto di produrre nuovamente informazioni, quali quelle reddituali o quelle riguardanti le locazioni o l’abitazione principale, già fornite, spesso anche telematicamente, in adempimento di precedenti obblighi. È normale, ad esempio, che per il servizio di calcolo fornito dai Caf, il contribuente produca il modello 730 già presentato e documentazione bancaria. Molte delle informazioni sono già in possesso dell’Anagrafe Tributaria. Il loro utilizzo con applicazioni di sportello risolverebbe alla radice parte del problema dei controlli e darebbe al cittadino un’immagine di efficienza ed equità dell’Amministrazione decisamente migliore. Infine, senza affrontare organicamente l’aspetto della disponibilità delle informazioni, vanno segnalate le carenze informative riguardanti il c.d. reddito familiare. I dati reddituali sono gestiti in Anagrafe Tributaria, mentre le composizioni dei nuclei sono di competenza dei comuni e non esiste, a tutto oggi, una integrazione organica e strutturata tra amministrazioni centrali e periferiche per la ricostruzione del reddito complessivo del nucleo come somma dei redditi dei suoi componenti. Qualcosa può essere fatto autonomamente dall’Anagrafe Tributaria utilizzando i dati indicati in dichiarazione dai contribuenti relativamente al coniuge e ai familiari a carico, ma è certo che norme di grande rilevanza sociale nelle quali il ruolo del nucleo familiare è così centrale, meriterebbero una strumentazione di supporto informatico adeguata.













